La Chiesa cattolica in Georgia (Mondo e missione)

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È un “piccolo gregge” numericamente esiguo ma spiritualmente tenace e attivo, quello della Chiesa cattolica in Georgia. Venticinque le comunità presenti in questo lembo del Caucaso. E un parroco cattolico al servizio di alcune decine di fedeli nella città natale di Stalin, Gori, dove rimane in piedi - unica in tuttol'ex Urss - la statua dell'ex dittatore. Ma la Georgia vanta anche un altro unicum: la chiesa cattolica di San Pietro e Paolo, nella capitale Tbilisi, la sola, fuori dalla Russia, rimasta aperta durante i settant'anni di ateismo sovietico, grazie al coraggio di un sacerdote polacco, padre Adam Ochal. Entrare oggi in questa chiesa, dove grandi foto ricordano la storica visita del Papa nel 1999, permette di rendere omaggio a quella schiera anonima di testimoni che hanno professato il loro credo anche in tempi di ateismo di Stato.

I segni del passato sovietico si vedono ancora. Entrando in Georgia dalla vicina Turchia ci si imbatte in Bitumi: un tempo fiorente località turistica frequentata dai «papaveri» di Mosca, ora giace trascurata, tra le coltivazioni di tè che abbondano in questa zona dal clima subtropicale. Nelle vicinanze di Kutaisi, nel centro del Paese, la più grossa industria siderurgica del Caucaso sovietico è passata da 20mila a 500 dipendenti e oggi produce martelli. Gli anziani tirano avanti con pensioni da fame: 17 larial mese (l'equivalente di 6 euro), quando un chilo di zucchero ne costa 2 e il pane 1. La corruzione resta una piaga endemica, nonostante il giro di vite del presidente Mikhail Saakashvili, in carica dal novembre 2003. Spesso del malaffare elevato a sistema ne fanno le spese gli stranieri: ai posto di blocco, lungo le strade, si viene tartassati da insistenti richieste di mazzette.

Ma non è solo l'eredità sovietica a preoccupare i cattolici di Georgia. Da qualche tempo i vertici della gerarchia ortodossa sono scossi da spinte fortemente conservatrici, con inevitabili riflessi sul piano dei rapporti con la Chiesa cattolica. Episodi singoli, fors’anche marginali, ma che se inseriti in un quadro più ampio danno l'amara sensazione che la Chiesa ortodossa georgiana rischi di diventare ostaggio di un'avversione contro i non ortodossi, fomentata da frange oltranziste. Tali sentimenti derivano - spiega l'amministratore apostolico dei latini del Caucaso, mons. Giuseppe Pasotto - «dalla mancanza di cultura e di conoscenze adeguate». Il fanatismo religioso di alcuni, in altre parole, si nutre di ignoranza e semina inimicizia.

Incontrando i cattolici di Georgia, la sensazione è di preoccupazione diffusa. Famoso è rimasto l'incidente diplomatico dell'ottobre 2003, quando una serie di manifestazioni di piazza contro la Chiesa cattolica indussero l'ex presidente Eduard Shevardnadze a non concedere il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica. Proprio al momento della firma il governo georgiano comunicò al rappresentante vaticano, l'allora segretario per i rapporti con gli Stati, cardinal Jean-Louis Tauran che, causa l'esplicita opposizione della Chiesa ortodossa, l'accordo non sarebbe stato siglato. Alla guida delle proteste in strada un gruppo di monaci ortodossi e il vescovo Zenone di Dmanisi, autore di duri pronunciamenti contro Roma.

Ebbene: a leggere gli appelli di alcuni esponenti ortodossi - ad esempio il vescovo di Bitumi, Dimitri - colpiscono e amareggiano i toni delle accuse e i clamorosi errori storiografici con i quali si motiva l'avversione alla presenza cattolica in Georgia. «Purtroppo - commenta mons. Pasotto - in Europa l’immagine dell'ortodossia georgiana viene influenzata da questi fatti e dall'operato di persone non equilibrate. Un'ingiusta rappresentazione della realtà, che mi fa piangere il cuore per il tradimento verso questa terra i suoi cristiani che amo, da quando, più di dieci anni fa, ho messo piede qui».

L'episodio citato è sintomatico dell'involuzione che rischia di subire l'ortodossia. I segnali preoccupanti non mancano: di recente, due preti polacchi di Bale, sul confine con la Turchia, «rei» di essere andati a fare visita ad alcuni cattolici in un villaggio ortodosso, hanno ricevuto minacce di morte da parte di fanatici.

Ma il clima potrebbe, fortunatamente, cambiare: un gruppo di sacerdoti «riformisti», insoddisfatti della piega anti-moderna e anti-ecumenica assunta dall'ortodossia del Caucaso, pare stia per attuare una «rivoluzione delle rose» in seno alla Chiesa georgiana. Una sorta di replica in chiave ecclesiale del cambiamento politico avvenuto a novembre 2003, quando l'ex presidente Shevardnadze è stato spodestato da una sommossa denominata appunto «rivoluzione delle rose» (dal fiore che i rivoltosi portavano al momento dell'occupazione del Parlamento). Una rivoluzione ancora in itinere, come dimostra la vicenda del primo ministro Zurab Zhvania, trovato morto poche settimane fa in circostanze poco chiare.

Kutaisi è la seconda città del Paese, con i suoi 250 mila abitanti. Qui i cattolici hanno ricevuto dai fratelli ortodossi l'ultimo rifiuto - in ordine di tempo - di vedersi restituire le loro chiese confiscate dal passato regime comunista. Non potendo rientrare in possesso delle vecchie chiese, i cattolici georgiani, ne hanno costruite due ex novo: una, a Bitumi, inaugurata in occasione del Giubileo del 2000; l'altra, ad Akalsheni. piccolo villaggio a una ventina di chilometri da Kutaisi. Andandoci in automobile, in compagnia di padre Carlo De Stefatti, che cura questa comunità cattolica, si entra nel cuore della Georgia profonda, dove la povertà dei centri rurali testimonia la realtà di un Paese che resta in bilico fra progresso e sottosviluppo e che, pur desiderando l'Europa, è ancora attanagliato da sacche di disoccupazione e miseria.

La distanza fra ortodossi e cattolici nel Caucaso non si misura solo sugli edifici sacri, ma anche su una questione cruciale come il battesimo: «Non è facile vivere l'ecumenismo con una Chiesa che non riconosce la validità del tuo battesimo, come avviene con quella ortodossa georgiana oggi», afferma mons. Pasotto. Che, però, nutre una certezza: la strada del dialogo fraterno è la sola per attuare l'impegnativo motto episcopale («Ut unum sint») che si è scelto nel 2000. Pasotto si mostra ottimista: «È nel campo caritativo, della pace e della solidarietà che il dialogo diventa più facile. Dobbiamo insistere su questo e favorire incontri di base, tra fedeli e sacerdoti, ora che quelli ufficiali si sono un po' raffreddati».

Più roseo il futuro dei rapporti fra ortodossi e cattolici nel Caucaso appare dalle parole del nunzio apostolico, mons. Claudio Gugerotti: «Noi speriamo che il clima fra le due Chiese torni a essere sereno come era una decina di anni fa. Il dialogo e l'incontro, qui in Oriente, avvengono soprattutto fra persone, e non primariamente fra istituzioni», rimarca il nunzio. «La conoscenza e la stima fra individui possono essere decisive».

Proprio nell'ottica di un più efficace incontro con la tradizione locale, un attempato ma sagace religioso si è lanciato in un'avventura culturale di tutto rispetto. Padre Luigi Mantovani, stimmatino, per molti anni preside di una prestigiosa scuola di Verona, a metà anni Novanta - facendo la spola in estate fra Italia e Georgia - si è cimentato nella stesura della prima grammatica italo-georgiana, con tanto di audiocassetta e libro per gli esercizi. Ultimata la fatica, padre Mantovani nel 1998 si è trasferito in pianta stabile a Kutaisi per curare la monumentale opera di un vocabolario italo-georgiano (25 mila voci), ormai pronto per la stampa: «Ho impiegato quattro anni, ma finalmente l'ho terminato», dice soddisfatto mentre ci mostra alla fioca luce di una pila i fogli del dizionario che ingombrano il suo tavolo.

La presenza dei religiosi stimmatini (in buona parte provenienti da Verona) si colloca nel servizio alla Chiesa cattolica locale, in vista di una sua piena maturità dopo la rinascita della chiesa cattolica nel 1993, avvenuta con l’invio del primo nunzio, mons. Jean-Paul Gobel.

L’amministratore apostolico Pasotto ha aperto nel 2003 il seminario diocesano a Tzerovani, 20 chilometri da Tbilisi: «Per noi è il segno di un cammino fatto, di una crescita di Chiesa che non è numerica, ma di identità e consapevolezza». In formazione sono una mezza dozzina di seminaristi: nel miscuglio di lingue ed etnie, questi chierici danno già un’idea palpabile di quanto questo Paese sia cerniera tra Oriente e Occidente. C’è un ragazzo ebreo, profugo dell’Abkhazia (la regione nordoccidentale, ancor oggi nella morsa della guerra civile), due armeni, un russo. Tre soli i georgiani “puri”. «Questi ragazzi hanno tutti storie particolari. C’è chi è venuto alla fede in maniera personale, attraverso una vera e propria conversione; chi ha vissuto l’esperienza della guerra civile e dell’esilio della propria casa; chi ha alle spalle una famiglia cattolica», sottolinea don Mauro Bozzola, responsabile della formazione dei futuri preti. Dopo essere stato vicerettore del seminario della diocesi scaligera, don Bozzola è stato “prestato” alla chiesa georgiana per alcuni anni.

Nello stesso stabile del seminario, assediato da continui disagi e black out, si sta per ultimare la realizzazione di un centro di spiritualità che sarà uno spazio per l’approfondimento biblico e spirituale. La formazione dei futuri sacerdoti georgiani si tiene nello Studio teologico Saba, a Tbilisi, ed è diretta da un sacerdote francese, padre Pierre Dumoulin, con trascorsi in Russia (ha insegnato a S. Pietroburgo e Mosca – M.M., aprile 1995, pp. 61-63). Da poco è rientrato in patria, dopo gli studi in Polonia, l’unico prete cattolico georgiano, don Zurab Kakachishvili, parroco di Akalkizizhe, al confine con la Turchia.

Un’altra istituzione importante per la vita della Chiesa cattolica nel Caucaso, fortemente voluta da mons. Pasotto, è il Centro per la famiglia di Kutaisi. Oltre al supporto pastorale, qui vengono offerti i corsi di regolazione naturale della fertilità grazie all’Istituto internazionale per la conoscenza dei metodi naturali. La direttrice del centro, Lali Ciarkviani, ha studiato due anni in Italia e ora si divide tra Kutaisi e Tbilisi per tenere lezioni a una trentina di donne, che in futuro saranno anch’esse insegnanti dei metodi naturali. Un’urgenza sociale, quella di educare a una sessualità consapevole, spiega la Ciarkviani: «In Georgia l'aborto, anche se illegale, è molto diffuso. Basta scucire 17 lari (6 euro) a un medico compiacente».

La carità concreta è un altro tratto delta Chiesa cattolica in Georgia: la presenza di cinque suore di Madre Teresa e l'ospedale dei camilliani a Tbilisi, nonché l'importante presenza di Caritas Georgia sono gli esempi più eloquenti di una solidarietà pratica che si mette a servizio di tutti: la maggior parte dei dipendenti Caritas sono ortodossi; i poveri nelle mense, negli ambulatori o nelle case per bambini vengono aiutati senza alcuna distinzione di confessione religiosa. «Quando nel 1993 partii per Tbilisi il Papa mi disse: "Fate tutto affinché i cattolici diventino buoni cattolici, e gli ortodossi buoni ortodossi. Mettetevi al servizio della gente"», ricorda padre Witold Szulczynski, salesiano polacco, responsabile della Caritas locale. «Qualche tempo dopo venimmo ricevuti dal patriarca Ella II e gli riferimmo le parole del Papa: se ne compiacque. Lo stesso patriarca ha riconosciuto che noi aiutiamo i poveri senza guardare alla toro confessione religiosa».

 (da Mondo e Missione, marzo, 2005)

 

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La Georgia: il Paese che da oggi visita il Papa

Radio Vaticana

Ma che Paese è oggi la Georgia, ex repubblica sovietica indipendente dal “91? E soprattutto, come le autorità guardano all’arrivo di un secondo Pontefice dopo S. Giovanni Paolo II nel 1999? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Marilisa Lorusso ricercatrice esperta dell’area per l’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

 

  1. – Sicuramente è un Paese che è cresciuto: ha vissuto un periodo iniziale estremamente turbolento, con due guerre di secessione, una guerra civile, grandi lacune di capacità di sovranità e un tracollo economico completo, dovuto, come molti altri Paesi post-sovietici, alla crisi della struttura economica dell’Urss. Rispetto a tassi di crescita che avevano superato l’8% annuo, adesso siamo sul 3% rispetto al Pil. Quindi è un Paese che, con grande fatica, sta cercando di riproporsi come agente economico, di sfruttare la propria posizione sia dal punto di vista del turismo sia da quello della differenziazione della produzione, sia industriale che agricola, in un contesto che non è facilissimo. Ci sono infatti tensioni tra i Paesi vicini che generano delle difficoltà di trasporto e di comunicazione; tra l’altro tutta la Regione del Mar Nero è un po’ in sofferenza, e dalla crisi in Ucraina ancora di più. E quindi, tra mille difficoltà, la Georgia sta comunque stabilizzando il proprio quadro economico e politico.
  2. – Il Papa arriverà a pochi giorni dalle elezioni: cosa il Paese, e il popolo anche, si aspettano da questo voto? Cosa chiede la gente?
  3. – Quello che ci si aspetta a livello di sondaggi è che il governo in carica venga bene o male confermato. C’è un effettivo dibattito politico: non abbiamo più lo strapotere di un partito, quindi sono elezioni effettivamente discusse e dibattute. Per quello che riguarda invece le reali tematiche che stanno a cuore alla popolazione, il primo posto in assoluto è occupato dall’occupazione. È da vedere se questa stabilizzazione politica continuerà, e questo potrebbe incoraggiare gli investitori stranieri ad essere più presenti. È molto probabile quindi che non ci siano grandi cambiamenti di strategie economiche; così come è difficile che queste elezioni portino cambiamenti dal punto di vista dell’orientamento, non solo nella politica interna, ma anche in quella estera. La Georgia sembra abbastanza saldamente ancorata a un percorso euro-atlantista. Il riconoscimento da parte della Russia delle sue due regioni secessioniste dopo il 2008 – l’Abkhazia e l’Ossezia – di fatto ha creato una frattura molto profonda nei confronti della Russia che non è ancora stata normalizzata dal punto di vista diplomatico, e ha consegnato un po’ la Georgia a quell’orientamento filo-occidentale, nelle corde del Paese fin dalla prima indipendenza.
  4. – La Georgia è ancora un Paese che vive essenzialmente di agricoltura o no?
  5. – Assolutamente no. Il terziario è in crescita: si stanno creando dei poli di produzione abbastanza all’avanguardia. Relativamente invece al discorso degli idrocarburi che sono presenti nella Regione ma non nel suo territorio, la Georgia è un Paese di transito, cosa che potrebbe garantirle una certa rilevanza anche strategica.
  6. – Come i politici georgiani guardano a questa visita del Papa? Ricordiamo che quando andò San Giovanni Paolo II c’era il suo amico Shevardnadze: dunque la situazione era diversa…
  7. – Sicuramente la visita del Papa è una riconferma dell’identità europea per la Georgia. Poi ci sono piani che riguardano la politica interna georgiana: accogliere il rappresentante di un’altra religione cristiana nel proprio territorio è anche, in un certo senso, un atto di superamento di forme di nazionalismo che tendono poi alla fine a minare la coesione sociale. Questo riguarda non solo le minoranze cristiane, ma anche quelle musulmane che, rispetto a questo far coincidere la georgianità con la chiesa ortodossa, sono forse più esposte a processi di radicalizzazione. C’è poi un discorso anche di rapporti bilaterali: questa sarà tra l’altro la prima visita del Papa dopo che la Georgia ha riconosciuto la presenza di altre Chiese nel proprio territorio non come associazioni ma proprio come “Chiese”; quindi sicuramente anche questo è un dato importante. E in generale – a livello internazionale – la visita in un Paese che ha una così forte coincidenza tra la Chiesa nazionale e lo Stato di un leader straniero è di nuovo un voler ribadire un percorso di pace e di dialogo interreligioso, che è nel Caucaso più che mai necessario, in un momento in cui l’intera area è scossa dall’onda lunga del conflitto siriano, in un momento che rimane delicato e che, molto probabilmente, sarà anche di lunga durata.

 

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