Il soldato dimenticato: Padre Perlo

Mons. Filippo Perlo Mons. Filippo Perlo Foto Archivio IMC
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L'unità nella diversità è una cosa lodevole. Ogni volta che si parla di “unità nella diversità” si cerca di trasmettere l’idea che, anche se spesso siamo molto diversi, possiamo comunque stare insieme e trattare di raggiungere un obbiettivo comune. È un altro modo per dire che la diversità di idee, visioni del mondo e prospettive non significa necessariamente inimicizia o rivalità. Quando non c'è diversità, possiamo metterci d'accordo molto velocemente su ogni tipo di questione ma solo perché la pensiamo allo stesso modo. Ma sai qual è il lato negativo di tutto questo? Quando non ci sono punti di vista divergenti, non c'è nemmeno crescita o progresso; la mancanza di punti di vista divergenti può sembrare inizialmente gradevole, ma prima o poi le persone si annoiano per la monotonia e perdono interesse per una unità insipida: se non viene introdotta una visione divergente si corre il pericolo che l’intera costruzione crolli.

Nel nostro Istituto, quando si parla del Beato Giuseppe Allamano e di Mons. Perlo, c'è un disagio che attraversa la mente della maggior parte dei missionari. Non è infatti un segreto che i due avessero modi molto diversi di vedere le cose, ma credo che a prescindere dalle loro differenze di personalità, carattere e modo di fare le cose, la loro unità era evidente nel desiderio di vedere crescere un Istituto migliore e più forte. Non so se sei d'accordo oppure no, ma io sarei dell’idea di chiamare Mons. Perlo il “soldato dimenticato” del nostro Istituto. Nella mia responsabilità come formatore in alcune occasione gli studenti mi hanno chiesto: “perché diamo tanto credito al padre Allamano per l'Istituto quando in verità quando si parla di missione l'unico di cui sentiamo parlare è di Mons. Perlo?” Non chiedermi come ho risposto alla loro preoccupazione e lasciamo questo tema per un’altra occasione. Per adesso voglio solo spiegare perché chiamo Mons. Perlo in questo modo. Lo chiamo “Soldato” perché la sua combattività a favore della missione è fuori discussione; e lo considero “dimenticato” perché molto spesso non ricordato, ignorato e trascurato. Nella vita di Mons. Perlo mi sembra che bisogna riconoscere alcuni aspetti che sono importanti.

In primo luogo, anche se la decisione di fondare un Istituto Missionario è legata al carisma di Giuseppe Allamano, lui sapeva che la sua salute non gli avrebbe permesso di andare in missione; aveva bisogno di bisogno di qualcuno forte che andasse ad aprire le missioni in Africa; detto in termini “militari” il padre Allamano aveva bisogno di qualcuno che andasse in trincea. Padre Perlo fu tra i primi quattro missionari che Giuseppe Allamano ha inviato nelle trincee della missione ed è stato un pioniere nel nostro primo approccio a una concreta realtà di missione. Il pioniere è una persona che crea un percorso, è un innovatore, uno che assicura che le cose funzionino con le buone o con le cattive. Un pioniere è qualcosa di simile alle fondamenta che in una casa né sono visibili né sono belle come le pareti esterne, ma senza di loro nessun edificio può sostenersi. I primi quattro missionari che hanno aperto la missione a Tuthu sono autentici pionieri; nonostante le loro debolezze sono grandi uomini degni di ammirazione. Sfortunatamente nella nostra narrazione il loro credito sembra svanire.

In secondo luogo, da buon “soldato” il padre Perlo era molto esigente nel compiere il suo dovere. Quando le persone sono dure con gli altri ma indulgenti e morbide con se stesse li chiamiamo dittatori ma padre Perlo non era così: era duro con gli altri, ma lo era soprattutto con se stesso. Forse avrebbe dovuto capire che non tutti erano forti come lui ma qualsiasi leader ti dirà che se sei un pioniere e le persone devono dipendere dalla tua direzione per la crescita e il progresso, la morbidezza è una debolezza. Quando nella mente dei tuoi seguaci si insinua l’idea che un progetto “è difficile per non dire impossibile”, questo è morto in partenza. La stessa cosa è successa con Giovanni Marco e San Paolo; quando questo iniziò a mostrare rallentamenti mentre accompagnava San Paolo nel suo secondo viaggio missionario, questi lo congedò e scelse Sila come suo compagno di viaggio (cf. Atti 15,37-39). Padre Perlo era un bulldozer come San Paolo, entrambi uomini dal carattere forte. Era necessario esserlo se l'Istituto doveva prendere forma e impiantarsi tra le popolazioni Kikuyu e Meru in Kenya, una terra nella quale il padre Allamano non ha mai messo piede. 

In terzo luogo spero che tu sia d’accordo con me sul fatto che le idee senza azioni sono inutili. È vero anche che senza una buona idea non si può fare nulla, ma abbiamo mai pensato a cosa sarebbe successo con le buone idee del padre Allamano se non avessero trovato una brava persona per metterle in atto? Cosa sarebbe successo se i quattro missionari pionieri fossero stati dei deboli che non potevano sostenere nessuna idea? Ti dirò io cosa sarebbe successo: i cento ventidue anni di esistenza dell'Istituto sarebbero nel migliore dei casi pochi anni, nel peggiore solo pochi mesi. Se le idee di Giuseppe Allamano non si fossero incarnate nel carisma del padre Perlo, oggi il Fondatore sarebbe stato un altro padre Ortalda, l'uomo delle scuole apostoliche per la formazione dei missionari, morto nel 1880 frustrato dopo il fallimento dei suoi progetti. Senza l’impegno del padre Perlo il progetto dell’Allamano sarebbe rimasto solo un’idea. Lui era pratico e pragmatico fino il fondo ed è buono ricordare che poi è anche diventato il fondatore di un fiorentissimo istituto religioso femminile in Kenya: le Suore dell'Immacolata!

Insomma, non è mia intenzione elevare padre Perlo sopra il nostro Fondatore. Come hanno notato più volte i miei studenti, quando si parla di missione, si parla di padre Perlo e non potremmo parlare dell’Istituto Missioni Consolata, nei suoi primi passi in Africa, senza fare riferimento a Lui. Giuseppe Allamano ha fatto molto nel gestire tutto da Torino ma l'uomo che aveva gli stivali per terra era padre Perlo e i suoi primi compagni. La sua influenza non può essere sottovalutata dato perché, anche se andò inizialmente in missione come economo del gruppo, in breve tempo ne fu il superiore. Ogni impresa che l'Istituto conseguì in quegli anni fu da lui intrapresa o da lui ispirata: è l'uomo che ha dovuto sopportare le punture delle spietate zanzare africane; l'uomo che ha attraversato i fiumi prima di costruirvi ponti; l'uomo che ha dato forma a quello che oggi chiamiamo con orgoglio IMC. Le sue impronte segnano la grande storia del nostro Istituto missionario.

Non sorprende che il padre Allamano lo abbia rispettato per quanto fosse difficile assecondarlo. Quelli che sono abbastanza onesti ti diranno che i due erano complementari: l’Allamano rappresenta lo stile religioso dell'Istituto e invece Perlo ne rappresenta quello missionario; era pregevole il suo desiderio di vedere predicato il vangelo ovunque, immediatamente e con qualunque mezzo a disposizione. Pensando alla cattiva immagine che abbiamo di lui nell’istituto vale la pena citare un detto swahili: "Mnyonge muue lakini haki yake mpe" (anche se devi uccidere l'uomo debole, almeno riconosci il suo diritto). Sarebbe come dire che, indipendentemente dai molti punti che potresti avere contro una certa persona, almeno devi riconoscere ed apprezzare ciò che di positivo c’è in lui. A questo missionario, “soldato dimenticato”, dovremmo essere assolutamente grati e come persone riconoscenti, credo che sia giunto il tempo per noi, come Istituto, di fare qualcosa per ricordarlo... magari anche una statua, ma è una mia opinione.

 

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