XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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Nella vigna non mancano gli “svignaioli”.

 

Is  55,6-9. Dobbiamo seriamente considerare come attua Dio. Il nostro modo di misurare le cose non è certamente il suo. Dio come padre non ha misure verso i figli e si aspetta che anche i fratelli tra loro si comportino allo stesso modo.

Fil  1,20-27. Per me vivere è Cristo.È come dicessimo: la mia vita è quella di Cristo. Questa frase va letta assieme a quella di Gal 2, 19,20: “Vivo, ma non io, Cristo vive in me”. Io aggiungerei anche un altro insegnamento chiave: i carismi valgono se servono a tutti..

Mt  20,1-16. Trattare gli ultimi alla stregua dei primi sconvolge l’abituale logica umana. In effetti la nostra società quando riesce ad applicare la giustizia, dà a ciascuno secondo i suoi meriti; al contrario il Vangelo dà a ciascuno secondo i meriti di Gesù Cristo. La carità non da quello che si merita ma quello di cui si ha bisogno.

 

Ci troviamo spiazzati e reagiamo male davanti alle decisioni del Signore. Perché questa differenza è così vistosa e ci lascia amareggiati? Forse perché rimaniamo prigionieri del nostro cuore troppo angusto, delle nostre visioni così ridotte, della nostra giustizia così limitata. Il suggerimento è di lavorare il nostro cuore per renderlo cristiano, legato a Cristo; farlo pulsare con i suoi ritmi così che possiamo finalmente abbandonare tante invidie immotivate e  aprirci ad un modo nuovo di giudicare e agire. Per chi è padre di tutti, i praticanti fedeli e operosi, se hanno un cuore di figli debbono rallegrarsi, quando diventano fratelli preoccupati che non manchi niente a chi non ha potuto lavorare, o si era perso cercando da un’altra parte la vigna del Signore. Se viviamo totalmente dentro il giro di Dio, e questo è a forma di croce, possiamo ridurre la croce a una sola asta, quella verticale e ridurre ai minimi termini quella orizzontale? Essere cristiano vuol dire essere passato da una economia basata sulla mentalità del “salvo io salvi tutti” che vuole dire in tutti i campi “vivi e lascia perdere”. Quindi il discorso cristiano mai e poi mai deve considerare che la chiesa lontana geograficamente è lontana anche per impegno, attenzione, sollecitudine, preoccupazione, finanziamento. Nella economia di Cristo io sono legato e collegato a tutti. In ragione del mio sacerdozio comune debbo aiutare a costruire la chiesa comune. Poi a motivo del mio sacerdozio ordinato, ho dei ministeri particolari, quello del matrimonio per rendere servizio alla chiesa domestica; quello dell’ordine per rendere servizio alla chiesa universale. I ministri-genitori debbono dare alla famiglia la caratteristica di chiesa; i ministri-sacerdoti debbono fare la chiesa sempre più famiglia di famiglie, comunità di comunità. A livello universale il carisma del Papa sarà rendere la Chiesa popolo di popoli.

 

I cristiani coltivano l’agape. Tutti lavorano per tutti. Tutti per uno, uno per tutti. La ragione è in quel commento di chi non aveva trovato lavoro, la drammatica risposta: nessuno ci ha presi a giornata. La risposta di Gesù è: vi si darà quello che è giusto. E quello che è giusto non viene dalla somma ma dal cuore buono. Perciò abbiamo tre elementi per capire la difficile parabola: la bontà di Dio, quello che è giusto per la bontà di Dio, la tristezza di rimanere fuori dalla considerazione comunitaria. Se uno guadagna niente ha solo diritto di vivere una vita da niente? Gli ammalati, gli invalidi, gli anziani, gli incapaci, i meno fortunati debbono appoggiarsi su quello che da la capacità produttiva?

 

 

 


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