Questo messaggio viene introdotto dal brano di Isaia (Is 35,4-7) che ci trasporta in un mondo di pace e gioia, dopo l’esperienza di sofferenza vissuta dal popolo nella schiavitù della Babilonia. La marcia degli esuli ebrei si trasforma in un pellegrinaggio gioioso.
Il deserto dell’esistenza umana è percorso dalla felicità e dalla vita. È la nuova vita del popolo che, dalla miseria, pellegrina verso la speranza e la libertà. Ecco perché, invece di continuare a lasciarsi abbattere dalla prova, è necessario farsi coraggio. Le vicende liete e tristi devono essere illuminate dall’alleanza tra Dio e il suo popolo. Ciò che il Signore farà evoca un’opera di salvezza: guarigione dei cechi, dei sordi, degli zoppi. Sono i segni che compirà il Messia. Gesù ne parlerà in occasione della prima predicazione a Nazareth. È la cecità che non consente di vedere la luce, la sordità che chiude il cuore alla Parola, la claudicazione che impedisce di seguire colui che ha detto: “Io sono la via” (Gv 14,6).
Per rivelare la sua salvezza Dio sceglie i poveri e i sofferenti, ci ricorda il brano di Giacomo (Gc 2,1-5) che costituisce la seconda lettura di oggi. Questo testo si preoccupa di far emergere l’attenzione ai poveri, spesso dimenticata dalla comunità cristiana, e il nesso intimo tra liturgia e vita, tra fede ed impegno (temi della domenica scorsa). Questa lettura ci ricorda l’assoluta uguaglianza dell’umanità davanti a Dio.
Dio, infatti, non fa differenze tra gli uomini. Quindi i favoritismi personali sono incomprensibili con la fede in Gesù Cristo. Si tratta di avere comportamenti concreti e non intenzioni generali e di bei sentimenti. Presso Dio non c’è parzialità (Rm 2,11). Anzi, se c’è un privilegio da parte di Lui è proprio riservato ai deboli e a chi non ha nulla.
Riassumendo, il messaggio di Giacomo ci chiede di onorare i poveri come gli altri. Lo esige la fede in Cristo. Il modo di accoglierli e di trattarli nelle assemblee liturgiche e altrove é particolarmente rivelatore. Questo obbligo s’impone in tutti i campi.
Marco (Mc 7,31-37), ci racconta la guarigione di un sordomuto anonimo. L’evangelista intende suggerire ai lettori: “Potresti benissimo essere quel sordomuto o uno di quelli che lo conducono a Gesù”. Questa guarigione appare così come una parabola della guarigione di un’altra sordità e di un’altra difficoltà a esprimersi che solo la grazia può guarire.
La lode suscitata dalla guarigione ricorda le meraviglie compiute dal Signore, le “gesta” compiute un giorno da Dio in occasione dell’esodo e che, oggi rinnoviamo continuamente attraverso i sacramenti.
Questa guarigione diventa il segno dei tempi nuovi. Tutti coloro che fino allora erano sordi, ora possono sentire la sua parola e confermare che Gesù è il messia promesso, il Dio con noi che ha fatto bene ogni cosa: arricchisce i poveri con la fede, li fa eredi del regno a coloro che lo amano, abolisce tutte le frontiere, raduna tutti attorno alla mensa della parola e del pane condiviso.
Spunti pastorali
La speranza: il deserto dell’esistenza può fiorire sotto l’azione dell’amore di Dio e nostro.
Accanto “all’apertura” fisica dell’udito, c’è l’apertura interiore: disponibilità sempre più ampia ad una fede sempre più luminosa ed impegnata.
Nel nostro cammino di aprirci alla fede non siamo soli né abbandonati alle nostre energie: la fiducia in Dio Padre e nei fratelli è fondamentale