II Domenica Quaresima - C

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Del Signore possiamo fidarci

Quando Dio ci chiama per una missione, generalmente lui cambia i piani, che ci potevamo prefiggere. Ciò comporta disorientamento e sofferenza. Nello stesso tempo il Signore ci lascia intravedere delle strade nuove, e sopratutto ci fa capire che Lui è l’unica nostra forza. Con Lui siamo in grado di andare dappertutto, anche “in capo al mondo”, e non ci sentiamo soli.



Abramo, padre dei credenti

Oggi abbiamo di fronte agli occhi l’esempio d’Abramo. Lui lascia il suo paese, la sua patria, la sua famiglia estesa, per andare in una terra ignota, fidandosi di Dio che gli promette un paese, una discendenza numerosissima e un futuro così brillante, che sarà addirittura fonte di vita abbondante e di benedizione per tutte le famiglie della terra.
Dopo vari anni, e dopo aver affrontato con coraggio molti problemi, Abramo non vede neanche l’ombra delle promesse. Non ha figli, non possiede neanche un pezzo di terra e si muove come un nomade, dipendendo dalle grazie dei Signori del luogo. Non ha una posizione sociale onorevole.

Nella prima lettura d’oggi, il Signore fa notare ad Abramo che le stelle del cielo sono così numerose che non riescono ad essere contate. Il Signore gli afferma solennemente che tale sarà la sua discendenza. Abramo pone la sua fiducia assoluta nella Parola di Dio, nonostante il fatto che lui non vede alcun segno di come avverrà la promessa.

Poi il Signore lo fa entrare in un’esperienza particolarissima. Secondo la cultura dei tempi, un patto solenne era talvolta sancito in una maniera cruenta. Un animale veniva spaccato in 2, e coloro che s’impegnavano a tenere fede a quel patto, passavano in mezzo alla carcassa divisa. Era come affermare solennemente: – M’impegno totalmente in questo patto. Se vengo meno a qesto impegno solenne, possa io essere spezzato in 2, come questo animale! – Ora Abramo, dietro ordine di Dio, divide in 2 una giovenca e una capra. Ma colui che passa in mezzo alle 2 parti dell’animale ucciso, non è Abramo, bensì il Signore stesso, colui che aveva fatto la promessa ad Abramo, specialmente la promessa della terra. In questo modo, Dio s’impegna solennemente a mantenere la promessa. È come se Dio dicesse: – Con questo gesto, io m’impegno in pieno a mantenere la mia promessa. Se non la mantengo, possa io essere distrutto come questo animale. –

Abramo ha fiducia nella parola di Dio. Questa esperienza gli dà la forza per superare anche tentazioni e le situazioni più terribili, come quando sente la necessità di sacrificare addirittura Isacco, il figlio prediletto della promessa. Abramo non dimenticherà mai la sua assoluta fiducia in Dio. Così Abramo diventa per noi il prototipo dell’uomo di fede.


La Trasfigurazione di Gesù

Nel Vangelo odierno vediamo un altro esempio in cui Dio da forza ad alcuni uomini, in questo caso a Gesù e ai suoi 3 amici intimi: Pietro, Giacomo e Giovanni.

In un contesto di preghiera, Gesù si trasfigura in modo strabiliante e con lui si trovano improvvisamente Mosè ed Elia, che rappresentano rispettivamente la Torah (cioè la Rivelazione della Volontà di Dio sul Sinai) e i Profeti dell’Antico Testamento. Questo significa che tutto l’Antico Testamento ha il suo compimento nella persona di Gesù, il Messia.

L’argomento della conversazione di Gesù, Mosè ed Elia è l’“ESODO” di Gesù stesso, cioè la sofferenza atroce, la sua morte infame e la sua Resurrezione. Questo evento Pasquale darà a tutti la possibilità di accedere a Dio attraverso Gesù Cristo. Questo mistero si compirà a Gerusalemme, centro della Storia della Salvezza.

L’esperienza è così coinvolgente che Pietro, “non rendendosi conto di ciò che diceva”, vorrebbe bloccarla nel tempo. Infine interviene la voce di Dio Padre che dà conferma alla persona di Gesù, suo figlio eletto, e chiede di ascoltarlo.

Questa esperienza straordinaria di trasfigurazione di Gesù darà forza ai 3 amici intimi di Gesù di superare il terribile scandalo della croce, quando Gesù fu deriso, abbandonato e rigettato anche dalle autorità religiose. La seconda lettera di Pietro infatti afferma: “1:16 Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesú Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà. 17 Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». 18 E noi l’abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo.” La lettera insiste proprio su questa esperienza della Trasfigurazione di Gesú sul monte, per dire che il messaggio cristiano non è una favola da bambini, ma è qualcosa di vero e solido, perché fondato su un’esperienza vera.


Il Missionario

Noi Missionari sperimentiamo che il Signore cambia, addirittura travolge i nostri piani puramente umani. E questo travolgimento può avvenire varie volte nella vita.

All’inizio della vita missionaria, quando decidiamo di seguire la nostra vocazione, siamo sbalzati in un’avventura di fede, in cui i parametri normali di successo e di affetto sono scardinati. Quello che conta è solo seguire Cristo, dovunque e in qualunque situazione lui ci porti. Parecchie volte nella vita, quando ormai ci sentiamo “a posto”, quando conosciamo discretamente una cultura e una lingua, quando riscuotiamo un po’ di successo, affetto e stima, spesso dobbiamo ricominciare daccapo, cambiare luogo e talvolta cambiare anche di continente, per affrontare situazioni nuove in cui siamo “nessuno”, e ricostruire da capo faticosamente una vita, basandoci su Dio. Dio cambia veramente i nostri piani, se sappiamo accoglierlo.

Dio, se lo accogliamo sul serio, sforzandoci di dargli fiducia, si fa presente a noi in una maniera chiarissima, talvolta anche in circostanze drammatiche. Credo che tutti noi godiamo di tali esperienze in cui “sentiamo” la presenza di Dio, sentiamo che il Vangelo è “BUONA NOTIZIA” sul serio, e in primo luogo per noi stessi.

Un piccolissimo esempio personale. Nel 1975, a Wasa (Tanzania) P. Virgilio Panero, Franco Bertolo e io subimmo un processo politico contro di noi. Durante quel processo, in cui sentimmo la nostra debolezza in quanto nessuno prendeva le nostre difese contro accuse false, sentimmo che il Signore ci era vicino, e che le parole del Vangelo erano verissime: “Quando poi vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi del come e del che risponderete a vostra difesa, o di quello che direte; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento stesso quello che dovrete dire» (Luca 12: 11-12). Al termine del processo abbiamo recitato il “Magnificat” con grande fiducia.

Certamente tutti noi abbiamo momenti simili in cui “sentiamo” la verità e la bellezza del Vangelo. Facciamo tesoro di questi momenti e “sentiamo” la presenza di Dio. Essi ci daranno forza di continuare il nostro cammino di fede e di donazione a Dio.


Gn 15,5-12.17-18;
Sal 26;
Fil 3,17-4,1;
Lc 9,28b-36


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