XXVI Domenica T.O. - C

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Scegliere la vita

Anche questa domenica il Signore, invitandoci al suo banchetto, ci vuole nutrire con il pane della Parola di vita, perche’ possiamo affrontare con vigore il cammino della settimana che si apre.

Ci viene data una parabola, quella ben nota del povero Lazzaro e del ricco stolto. Cerchiamo di non appiattirla subito in un facile discorso di condanna della ricchezza tout court! Così facendo, toglieremmo alla parabola il suo potere di scuoterci davvero, di raggiungerci dove siamo per chiamarci a una conversione personalissima; ci accontenteremmo di uscire da messa con il pensiero: “lo sapevo già” e riprenderemmo a vivere senza infamia e senza lode. E’ vero, il ricco che veste di porpora e di bisso ci ricorda lo scandalo del mondo opulento, reso sordo e cieco al grido dei poveri: “cesserà l’orgia dei buontemponi!” (1° lettura, Amos 6, 7). Ma cerchiamo prima di entrare nel mistero che ogni parabola cela, come un invito a smuoverci per andare incontro al Signore che ci parla; allora avremo luce sufficiente per riconoscere da dove cominciare per cambiare il mondo.

Il Papa, nel suo libro “Gesù di Nazaret”, lo dice con chiarezza: a Gesù che ci parla dobbiamo sempre e di nuovo chiedere che cosa ci vuol dire con ognuna delle parabole (cfr. p. 219), e non prendere per scontato un generico messaggio edificante che ricordiamo dalle spiegazioni sentite da bambini. E’ il contrario di quello che una certa interpretazione moralistica del vangelo ci ha fatto credere, secondo la quale Gesù avrebbe usato parabole ed immagini per insegnare verità già note, come qualunque altro maestro della storia; perche’ allora lo avrebbero crocifisso? La realtà è che ogni parabola di Gesù è sì un discorso umano, basato su riferimenti accessibili all’immaginazione degli uditori, teso a comunicare un insegnamento, ma che soprattutto si pone come misterioso riferimento alla sua persona, che genera contraddizione, spesso rifiuto. Rifiuto talvolta “culturale” (per la mentalità sciamanica dell’Asia centrale un uomo morto di morte violenta, a 33 anni, celibe, povero è il massimo della maledizione…), ma ancor più rifiuto individuale ad entrare dentro noi stessi e fare quel passo per cambiare qualcosa.

Lo conferma nel nostro caso il riferimento che si legge pochi versetti prima della parabola: i farisei “ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui”. Ed ecco il ricco, senza nome, descritto come l’uomo che affoga nell’abbondanza di beni le inquietudini del cuore che non sa più ascoltare; questa scelta di vita lo porta al vuoto, di più, al tormento. Lazzaro e’ il suo opposto: le sofferenze della vita sono il suo pane quotidiano. Il racconto evita di fornire qui una giustificazione consequenziale della diversa sorte dei due personaggi; o meglio, è chiaro che una vita chiusa nell’egoismo della ricchezza conduce alla disperazione, ma non viene detto per esempio che la povertà in se stessa come assenza di beni e condizione di disagio generale sia auspicabile in quanto capace di procurare la felicità eterna; no, non e’ questo il punto. Dopo aver sottolineato come la morte introduca alla verità totale della persona, senza più maschere o veli, la tensione letteraria si sposta sulla domanda del ricco, che in vita era obnubilato dai piaceri e che ora vede con chiarezza: manda qualcuno dai miei perche’ si ravvedano! E’ la domanda che tutti segretamente rivolgiamo a Dio: rivelati in modo più evidente, rendi razionalmente dimostrabile quanto richiedi! Che vuol poi dire: toglici il fastidio di credere, rendi automatico il nostro aderire a Te. Sì, perche’ il cammino della fede ci appare scomodo, mentre e’ l’avventura più stupenda che si addica alla nostra condizione di figli. Un ascolto della Parola di Dio sullo stile di certi farisei (mettersi davanti alla Scrittura) ci rende ciechi alla più grande manifestazione dell’amore del Padre, la morte e risurrezione del suo Figlio unigenito: “se non ascoltano (davvero) Mose’ e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

Ecco allora emergere più chiaramente il mistero della persona stessa di Gesù celata nella parabola: siamo disposti noi ad ascoltare Dio fatto uomo, vissuto come un povero, per iniziare con lui un cammino quotidiano, una relazione di amicizia intima che ci porta a maturare come persone e a portare luce e verità agli altri? Gesù condivide personalmente la sorte di Lazzaro, nel rifiuto che lo porta alla morte; e’ il “segno di contraddizione perche’ siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 34-35). Accogliere il suo invito a seguirlo significa andare incontro alla vera libertà, che smaschera i nostri tentativi di soffocare la coscienza nel possesso di beni (ma anche di persone, situazioni, idee) e riporta alla sapienza del cuore, quella che rende accettabile la povertà perche’ aiuta il possesso dell’unum necessarium e che insieme spinge a lottare perche’ le ingiustizie non schiaccino i giusti.

{mosimage}La “luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto ne’ può vedere” (2° lettura, 1Tim 6, 16) si irradia su di noi in questa domenica attraverso la parola di Gesù e la sua offerta di se’ al Padre, che ci viene partecipata nell’eucaristia.

Ci spinge a rivedere la nostra vita per poter combattere la “buona battaglia della fede” (1Tim 6, 12), fatta di piccoli passi, giorno per giorno.

Come le due sorelline di Nisekh, il quartiere dell’aeroporto di Ulaanbaatar, che dopo aver camminato un’ora a meno venti pregano nella nostra cappella: “Grazie, Signore, per questo meraviglioso giorno che ci hai dato!”.


Am 6, 1a.4-7;
Sal 145;
1 Tm 6, 11-16;
Lc 16, 19-31



Dalla comunita’ MC-IMC della Mongolia il nostro saluto piu’ affettuoso a tutti voi con cui in questi mesi abbiamo condiviso il pane della Parola. Sentiamoci uniti nel servire sorelle e fratelli a cui siamo mandati nel nome del Signore. Alleluia!

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