Le acque videro il loro creatore
e arrossarono
Is 62,1-5;
1 Cor 12,4-11;
Gv 2,1-12
All’attenzione delicata di Maria non sfugge che ad un certo punto il vino sta per finire; si affretta a segnalare il fatto a Gesù “non hanno più vino”, lo fa con preoccupazione perché la situazione era senza via di uscita e quella festa sarebbe finita nella tristezza e nell’umiliazione degli sposi se non si fosse trovato un rimedio.
Maria ha pensato che solo suo figlio avrebbe potuto risolvere quel problema. Risultò chiaro che la Madre intendeva proporre qualcosa al Figlio.
Gesù accetta la constatazione della Madre, e la prende seriamente e risponde con parole misteriose “che ho da fare con te o donna! Non è ancora giunta la mia ora”, è un appello a mettersi sul piano dei voleri di Dio, sua preoccupazione suprema è quella di fare la volontà del Padre; Gesù si fa educatore della fede di sua Madre portandola alle vette più alte, già come fu in occasione del suo smarrimento nel tempio: “perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
“Che ho da fare con te o donna? Non è ancora giunta la mia ora!”, quasi Gesù non può più tirarsi indietro dalla richiesta di sua Madre.
Maria capì le parole di Gesù, ma col suo agire mostrò che Lei sola credeva in cuor suo che suo figlio Gesù era il Dio onnipotente e misericordioso anche se non aveva ancora compiuto alcun miracolo, per questo disse ai servi: “fate quello che vi dirà”.
E Gesù che conosce i segreti del cuore, si compiacque della fede di sua madre, tanto che decise di fare, senza più ritardare, il miracolo di cambiare l’acqua in vino, in modo da esaltare la fede di sua madre e mostrare davanti agli uomini la forza della di Lei mediazione.
C’erano là sei pesanti idrie di pietra, destinate a contenere l’acqua per le abluzioni prescritte dalla legge. Erano di grande capienza (l’una conteneva da ottanta a centoventi litri) ed erano vuote.
Gesù le fa riempire d’acqua fino all’orlo; al momento di servire risultano piene di vino prelibato; un autore dice “le acque videro il loro Creatore ed arrossirono”. Tutti restano stupiti per la quantità del vino e per la sua bontà; il primo a congratularsi con lo sposo è il maestro di tavola.
Gesù ha così procurato il vino nuovo ed ha assicurato la gioia degli sposi e quella di sua Madre e di tutti i convitati.
A Cana quindi non si tratta soltanto di un miracolo fatto da Gesù a favore di quella coppia di sposi, bensì un miracolo che manifesta l’intenzione di Dio e la missione di Gesù.
Gesù è venuto a portare a compimento le nozze dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.
Si andava preparando queste nozze in tutto l’Antico Testamento, ma saranno realizzate quando “giungerà la sua ora”, quando sul Calvario manifesterà tutto il suo amore dando la vita per la Sposa, quando dal suo costato trafitto sgorgherà sangue ed acqua. È risaputo infatti che per Giovanni l’‘ora’ è precisamente l’ora della croce, l’ora decisiva e fatale in cui si consumano l’obbedienza del Figlio al Padre e la salvezza degli uomini.
La sua ora è quella della sua morte, allora sarà sancita nel suo sangue la nuova ed eterna alleanza, allora celebrerà le nozze d’amore con tutta l’umanità imbandendo il vero banchetto del suo corpo e del suo sangue. A Cana Gesù dà inizio ai suoi ‘segni’ (i miracoli, Giovanni non li chiama miracoli ma ‘segni’ che vogliono indicare una realtà più profonda), quella festa di nozze sta a significare l’amore più grande di Cristo per gli uomini, la sua immensa capacità di donarsi e di sacrificarsi per tutti noi; in ultima analisi si può dire che sono le nozze di Cristo con l’umanità quelle a cui rimanda l’episodio di Cana.
Ma Gesù in queste nozze di Cana accetta di compiere quasi una anticipazione - uno svelamento preliminare della sovrabbondante pienezza del tempo della salvezza. Giungiamo così alla scena decisiva, quella del vino, un simbolo fondamentale nella Bibbia; esso parla di orizzonti sconfinati di felicità messianica quando sul colle di Sion il Signore imbandirà “un banchetto di vini eccellenti, di vini succulenti, di vini raffinati” (Is 25,6).
Anche nell’ultima cena Gesù parla di un misterioso vino e dice che ne berremo con Lui nel regno di suo Padre (Mt 26,29).
Il miracolo non consiste solo nella conversione dell’acqua in vino ma anche nel fatto che il vino del miracolo sia abbondante e migliore di quello gustato fino a quel momento “tu hai conservato il vino buono fino ad ora”.
Il Cristo che, secondo Giovanni, inaugura la sua attività con il miracolo delle nozze di Cana, sta a significare che con Lui sono venuti i tempi nuovi: il Vecchio Testamento cede il posto al Nuovo come l’acqua che diventa vino; Dio, il vero sposo, propone al suo popolo un rapporto che supera quello dell’Antico Testamento, quello della legge, stipulato sul monte Sinai, per immergersi nella nuova legge (il vino) dell’inebriante comandamento nuovo dell’amore. All’acqua delle purificazioni giudaiche è ora contrapposto il vino del Vangelo, all’ordine della legge quello della grazia, al simbolo la realtà definitiva.
San Giovanni in questo miracolo vuol fare presente il carattere nuziale della missione messianica di Gesù: “il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14) è la totalità dell’esperienza ‘umana’ che egli intende appropriarsi e santificare tutto riportando alla trasparenza dell’originario disegno di Dio.
Sant’Agostino diceva: “anche noi eravamo acqua e ci ha convertiti in vino” – viene a proposito una frase di santa Teresa de los Andes “c’è una fusione fra le nostre piccolissime anime e un Dio infinito”.
San Tommaso “in queste nozze spirituali come consiliatrice è presente la Madre di Gesù, la Vergine Maria, per suo intervento avviene la comunione di grazia”.