ASCENSIONE DI N.S. GESÙ CRISTO

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Due mani benedicenti
At 1,1-11
Eb 9,24-28
10,19-23 [o Ef 1,17-23]
Lc 24,46-53

Dopo la sua risurrezione Gesù rimase ancora quaranta giorni qui in terra con i suoi apostoli, li preparò a ricevere lo Spirito Santo; gli apostoli si erano abituati a rivedere il loro maestro che dava ad essi delle prove della sua risurrezione.
Poi li radunò sul Monte degli Ulivi, verso Betania. Salutò tutti, specialmente sua madre, “e, alzate la mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo”. È il cielo che strappa a questi discepoli il loro maestro. Due mani benedicenti: è questa l’immagine ultima che Gesù ha voluto lasciare per sempre. Questo suo gesto di benedire alzando le mani è significativo, perché è il gesto del Sommo Sacerdote dopo il sacrificio quando entrava nel Santo dei Santi (Sir 50,20 - Eb 4,14) nella festa dell’Espiazione (Kippur) una volta all’anno. (Ha ormai compiuto la sua missione di Salvatore con il suo sacrificio in croce). Così Luca ci fa capire che la morte di Gesù è stato il sacrificio più perfetto, perché grazie ad essa egli è diventato il Sommo Sacerdote che benedice, propaga le grazie del Signore, effonde lo Spirito Santo, e trasforma tutta la nostra vita (Albert Vanhoye).

Luca è, tra gli evangelisti, quello che dà più rilievo all’Ascensione di Cristo al cielo. Con essa egli termina il Vangelo e con essa inizia il libro degli Atti degli Apostoli. Un modo, questo, per affermare che l’Ascensione chiude ‘il tempo di Gesù’ e inaugura ‘il tempo della Chiesa’.
Se l’incarnazione era stata la discesa del Figlio di Dio dal cielo sulla terra, l’Ascensione segna il ritorno del Figlio di Dio dalla terra al cielo.
In questo cerchio tra cielo e terra la grande novità è rappresentata dal corpo di Cristo in cielo. In cielo anche con la sua umanità si riprese quella gloria che aveva dall’eternità come Figlio del Padre.
“Oggi celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre” (san Leone Magno).
Il cielo è abitato dalla nostra umanità. Ormai non è più possibile pensare che terra e cielo siano due mondi distanti e separati, ma bisogna piuttosto vederli come due mondi strettamente uniti e comunicanti (Luigi Pozzoli). Storia ed eterno si incontrano sempre da quando il Figlio di Dio si è incarnato (Gianfranco Ravasi).

L’Ascensione è appunto il solenne atto di ingresso nel santuario celeste ove si celebra l’eterna liturgia dell’Agnello. Sulla sua scia si muove tutta la comunità credente che si incammina per “questa via nuova e vivente” (Eb 10,20) inaugurata dal Cristo per ottenere piena salvezza e liberazione. La prima creatura ad avviarsi su questa strada è stata Maria, la madre del Signore, con la sua Assunzione al cielo (Gianfranco Ravasi).
Gesù è asceso, Maria è assunta: tutto è compiuto, il traguardo è stato raggiunto, ci troviamo all’interno della vittoria, la fine della storia è un fatto compiuto per Gesù e Maria; ci hanno preceduto, noi siamo lì per seguirli.
San Paolo (Ef 2,6) ci ricorda che su di noi c’è questo piano: risorgere, salire al cielo e sedere con Lui nella gloria.
Dal momento del battesimo siamo uniti a Cristo in un modo così intimo e totale che dove è Lui siamo anche noi. Perché Cristo è risuscitato ed è salito alla destra del Padre, con Lui siamo risuscitati anche noi e c’è un posto per noi accanto a Lui. La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, siamo già penetrati nel seno della Trinità. Viviamo su questa terra, ma abbiamo già cominciato ad essere quello che saremo per sempre (un teologo dice: i cristiani devono sapere che con Gesù già qui incomincia l’aldilà). Quando Cristo si manifesterà alla fine dei tempi nel giorno del suo ritorno, allora anche noi saremo manifestati insieme con Lui nella gloria.

Gesù che sale al cielo non è che ci lascia, ma la sua ascensione segna un suo nuovo modo di essere presente presso il Padre e presso di noi.
“Non abbandonò il cielo quando venne qui in terra, così non si è allontanato da noi quando è salito al cielo” (sant’Agostino).
Non è più presente in maniera fisica, ma in maniera spirituale, maniera preferibile alla prima come Gesù ha detto: “è meglio che io vada perché venga a voi lo Spirito” (Gv 16,7).
È partita e venuta: viene in un modo superiore alla sua prima venuta, estendendo il suo influsso sull’umanità; è una venuta universale, riempie della sua presenza l’intero universo.
Quando gli angeli dicono loro “uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?” vogliono concentrare la loro attenzione sulla venuta essenziale che si produrrà con questa partenza definitiva.
Davanti al Sinedrio quando il Sommo Sacerdote gli disse “ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto, gli rispose Gesù, anzi vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo” (Mt 26,64).
“D’ora innanzi” è una venuta legata all’Ascensione; si tratta della venuta di Cristo che viene inaugurata alla Pentecoste con le meraviglie compiute dallo Spirito Santo e che si svilupperà nel corso dei secoli. È una venuta nella quale Cristo rimane invisibile, ma è una venuta reale, che manifesta i suoi effetti nella crescita della Chiesa e nella trasformazione dei cuori.
Con il battesimo siamo inseriti in questa presenza nuova di Gesù e con il ricevere i sacramenti ci incontriamo sempre più con Gesù fino a che entriamo nel nuovo stato, il cielo, che sarà il perfezionamento della nostra vita.
“Tutto ci è possibile in Cristo, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutrimo per Lui, il Signore Gesù” (sant’Agostino).

L’Ascensione di Gesù al cielo, ad opera del Padre, è l’inizio del tempo dello Spirito che guiderà gli apostoli e i credenti di tutti i tempi a rendergli testimonianza davanti a tutti gli uomini “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Per Luca l’Ascensione non è un addio, ma un ‘coinvolgimento’ più profondo, anche se misterioso, di Cristo nella vita dei credenti.
L’Ascensione, perciò, più che un invito a evadere dalla terra è un invito ad assumerla come luogo di salvezza, dove già risplende, sia pure parzialmente, la luce dei ‘cieli nuovi’ e della ‘terra nuova’, “nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3,12).

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