DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO

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sarepta

Pregare senza mai stancarsi

 

 

Es 17,8-13a 2

Tim 3,14 – 4,2

Lc 18,1-8

Gesù insegna ai suoi apostoli, un po’ depressi e scoraggiati, la necessità della preghiera assidua: “di pregare sempre senza stancarsi”. L’evangelista Luca tra i suoi temi principali c’è anche quello della preghiera: diciannove volte usa il termine pregare; soprattutto egli è il contemplativo di Gesù, il grande orante, la preghiera punteggia tutta l’esistenza del Cristo soprattutto nei momenti più decisivi della sua missione. Ora pone l’accento specialmente sull’atteggiamento del discepolo nella preghiera.

 

Per inculcarci questo insegnamento sulla preghiera Gesù detta la parabola della vedova e del giudice iniquo. La parabola ci parla che in una città c’era un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’è anche una vedova che andava da lui e gli diceva: “fammi giustizia contro il mio avversario”. Le sue possibilità di essere ascoltata sono quasi nulle perché il giudice la disprezza, ed ella non può fare nessuna pressione su di lui. Non va dimenticato che nelle parabole di Gesù vengono riprese situazioni ricorrenti in quel periodo e in quella società; a quei tempi la donna vedova era una nullità, solo qualche giudice che aveva a cuore la vera giustizia poteva aiutarla.

La vedova ha in mano una sola carta e la gioca: importuna il giudice andando e ritornando da lui in continuità, con ostinazione. Questa donna spacciata non si rassegna, anzi contro un nemico tira fuori una forza da combattente (la preghiera è fatta per chi deve vivere la vita e una vita dura e amara; è la risorsa, è la bandiera, è l’arma di chi soffre e combatte per far fronte a inimicizie e a prove) (Carlo Bazzi).

La qualità fondamentale della vedova è la sua inarrestabile costanza che non conosce le oscurità del silenzio del giudice, l’amarezza della sua indifferenza e persino la durezza della sua incallita ostilità (Gianfranco Ravasi).

La preghiera è un’avventura misteriosa che spesso ha la fisionomia di una lotta come insegna l’episodio di Giacobbe al fiume Iabbok (Gen 32).

San Paolo (Rm 15,30): “vi esorto o fratelli a combattere con me nella preghiera”. Come dice il vocabolo greco, l’orazione è una ‘agonia’, è un combattimento estremo e misterioso con l’infinito (Gianfranco Ravasi).

La figura della vedova che insisteva nei confronti del giudice iniquo ricorda i tratti di due giganti della storia di Israele: Abramo che sperava contro ogni speranza (Rm 4,18) e Mosè con la forza di intercessione della sua preghiera espressa attraverso il suo atteggiamento: “quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere era più forte Amalek...” (Es 17,10).

Ci sono risultati che non possono essere ottenuti se non mediante la preghiera. Le braccia vanno mantenute alzate fino a sera, fino al termine della vita, senza stancarsi.

La costanza anche nell’aridità (santa Teresa per circa vent’anni sopportò l’aridità di spirito - la sua preghiera era tuttavia audace, continua e gioviale) e la necessità di non spezzare questo legame di parole e d’amore tra Dio e la sua creatura sono qualità indispensabili all’esperienza di preghiera (Gianfranco Ravasi).

 

Dopo aver presentato i due personaggi la parabola continua con il soliloquio del magistrato che un giorno decide: “anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giusti229 zia perché non venga continuamente a importunarmi”. A questo punto Gesù fa una riflessione: se un giudice disonesto alla fine si lascia convincere dalla preghiera di una vedova, quanto più Dio che è buono esaudirà chi lo prega. Se il motivo che spingeva il giudice ad agire era la tutela del suo onore e della sua posizione sociale, possiamo capire anche il paragone con Dio: ‘l’interesse’ di Dio è che tutti lo riconoscano per ciò che Egli è: l’Amore disinteressato (come evidenzia anche la preghiera di Mosé Es 32,11). A differenza del magistrato inerte, Dio non ci esaudisce per non essere più seccato: egli ama la nostra insistenza ‘fastidiosa’, gradisce le nostre richieste ribadite, desidera essere importunato. Dio che è pieno di amore vuole trasformare il mondo per mezzo dell’amore. La preghiera è proprio il mezzo per stabilire relazioni personali con ciascuno di noi, per questo Dio ci fa un po’ aspettare perché la preghiera perseverante rafforza la nostra relazione personale con Lui, che è la cosa più importante di tutte (Albert Vanhoye).

Sant’Agostino dice che se non otteniamo quel che domandiamo non dobbiamo pensare di essere stati dimenticati da Lui, ma piuttosto sopportando con pazienza dobbiamo sperare beni maggiori.

La necessità di pregare sempre senza stancarsi deriva non tanto da un comando del Signore, quanto dalla intrinseca necessità in cui viene a trovarsi costantemente il cristiano. Si noti che il testo parla degli eletti che gridano a Dio giorno e notte: il discorso perciò più che agli uomini in genere, è rivolto ai cristiani che si trovano in necessità in quanto cristiani (persecuzioni ed emarginazioni, ma anche sotto forma di tiepidezze e di abbandoni nella sequela del Maestro). Si tratta dunque di una parabola che vuole insegnare sia la costanza nella preghiera, sia la fiducia di essere esauditi: i due insegnamenti si compenetrano e si richiamano a vicenda (Settimio Cipriani).

La vedova è venuta a trovarsi in una situazione insostenibile, e su questa situazione Gesù vuol richiamare l’atten230 zione. Essa è la condizione in cui i discepoli si vengono a trovare in questo mondo, che è ancora dominato dal maligno e profondamente segnato dalla morte. La preghiera è il più grande mezzo per non perdere la testa anche nei momenti difficili e drammatici, quando tutto sembra congiurare contro di noi e contro il Regno di Dio.

 

Si può pregare sempre senza stancarsi perché si prega e con il labbro e con il lavoro e con tutto noi stessi.

Sant’Alfonso diceva che la preghiera mai abbastanza la si inculca, mai abbastanza la si suggerisce, mai abbastanza se ne fa peso. Anche il Concilio di Trento dice che la prima cosa da insegnare è la preghiera, la necessità della preghiera. Sant’Agostino parlando della grazia dice che ne abbiamo bisogno per ogni verso come i pesci hanno bisogno dell’acqua; ciò che ci è rimasto è pregare: “...perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Il santo curato d’Ars che diceva che la felicità dell’uomo sulla terra è pregare e amare, vedendo un uomo che stava a lungo in chiesa gli chiese il perché, e quell’uomo rispose: io guardo Lui e Lui guarda me.

 

Gesù al termine della parabola pone una domanda: “ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. La fiducia nella paternità di Dio è la radice della preghiera e ne comanda lo stile e l’atmosfera. Se è legittimo un dubbio non è tanto da cercare sul ‘versante Dio’ quanto piuttosto sul nostro: è questo il senso della drammatica ed inquitante domanda finale. Gesù vedendo la storia delle indifferenze umane, delle freddezze, dell’incubo delle cose materiali, ci lancia sconsolato questo amaro interrogativo (Gianfranco Ravasi).

Forse, come scriveva Bernanos, le voci che salgono dalla terra a Dio stanno divenendo sempre più flebili, forse si stanno spegnendo. È il silenzio dell’amore nella notte dell’indifferenza.


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