DOMENICA XXXII DEL TEMPO ORDINARIO

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Dio non è Dio dei morti
ma dei vivi

 

 

(2 Mac 7,1-2. 9-14; 2 Tes 2,16 - 3,5; Lc 20,27-38)


L’anno della Chiesa volge al termine e in questa domenica la liturgia ci parla della risurrezione. La risurrezione di Gesù getta la sua luce nell’Antico Testamento. Nell’Antico Testamento già in alcuni salmi viene espressa la speranza di una vita che continua con Dio. Alcuni episodi straordinari, come l’ascensione di Elia (2 Re 2): il profeta non era morto ma era stato rapito in cielo da Dio in modo miracoloso, confortavano questa speranza di avere una vita con Dio, una vita piena, non una esistenza miserabile come lo si pensava negli inferi (sheol), così chiamato dagli ebrei.

Questa speranza nella risurrezione si è andata confermando a poco a poco e in particolare si è manifestata nel tempo dei Maccabei. I Maccabei sono membri di una famiglia che guidò l’insurrezione giudaica contro la persecuzione religiosa del re di Siria Antioco IV Epifane per i quindici anni che vanno dal 176 al 161 a.C.

Il re voleva unificare tutti i popoli, e quindi imporre a tutti le stesse credenze, le stesse usanze e la stessa religione, perciò perseguitava gli ebrei credenti che avevano una religione diversa dagli altri, voleva imporre loro le usanze greche proibendo quelle giudaiche.

In questa occasione molti ebrei hanno resistito in modo veramente eroico. La prima lettura ci parla del martirio dei sette fratelli arrrestati con la loro madre. Piuttosto che rinnegare la loro fede preferiscono rinunciare alla vita presente, vivono nella speranza che Dio un giorno li risusciterà per la vita eterna. Ciò che dà a quei giovani ed alla loro madre tanta sicurezza di fronte alla morte è la convinzione profonda di un misterioso ritorno alla vita mediante la risurrezione del loro stesso corpo ora così tristemente dilaniato dal carnefice.

Giuda Maccabeo raccolse duemila dracme d’argento da recare a Gerusalemme per offrire sacrifici per i morti (2 Mac 12,43), compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione: è santo e salutare pensiero, dice il testo, pregare per i morti perché siano liberati dai loro peccati.



La questione sulla risurrezione dei morti era molto sentita ai tempi di Gesù. I farisei e la grande maggioranza del popolo credeva alla risurrezione, invece i sadducei negavano che vi sia la risurrezione, sostenevano che nella Torah (il Pentateuco) gli unici libri della Bibbia che riconoscevano come sacri, non c’è alcun accenno a questo argomento.

Il Vangelo d’oggi introduce un nuovo gruppo politicoreligioso del quale finora nel Vangelo di san Luca non si è ancora parlato, i sadducei. Di loro sappiamo che costituivano la classe dei ricchi, si dimostravano piuttosto concilianti con i romani più per forza di cose che per convinzione, che non godevano di buona considerazione presso il popolo e che, dal punto di vista religioso, erano dei conservatori. I capi dei sacerdoti che erano i principali responsabili della morte di Gesù appartenevano tutti a questa setta.

Gesù ha professato questa certezza della risurrezione, anzi ha annunciato la propria risurrezione.

Questi sadducei si avvicinano a Gesù quasi per sfidarlo su questo argomento della risurrezione. Partendo da una legge di Mosè (legge detta del levirato - Dt 25,5: Mosè aveva previsto che se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello) inventano una storia in cui compaiono sette fratelli, i quali uno dopo l’altro applicano questa legge. I sadducei allora formulano questa domanda: “questa donna dunque nella risurrezione di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta come moglie”. Ma Gesù dà una risposta al tempo stesso luminosa e decisiva: fa notare ai sadducei che essi hanno un falso concetto della risurrezione; la risurrezione finale non è il ritorno alla vita terrena, ma una risurrezione che inaugura una vita completamente nuova di relazione con Dio (Albert Vanhoye).

Gesù risponde che la difficoltà posta dai sdducei non esiste proprio perché la risurrezione introdurrà ad un nuovo modo di vivere in cui lo stesso matrimonio scomparirà, là saremo uguali agli angeli, cioè saremo immortali e avremo una nuova qualità di vita.

Non c’è bisogno di costruire un caso difficile quale è quello della moglie di sette fratelli. Il vivere eterno non somiglia a questo nostro vivere terreno ma al vivere stesso di Dio. “Lui è tutto “ (Sir 43,29), quando arriveremo alla tua presenza cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a te. Resterai tu solo, tutto in tutti, divenuti anche noi una sola cosa con te (sant’Agostino).

Gesù, spezzando questa rete ipocrita, coglie l’occasione per esaltare lo splendore della comunione con Dio e per far balenare il vero volto di Dio e il vero atteggiamento del credente (Gianfranco Ravasi).



Dio non è un Dio dei morti ma dei vivi, perché tutti vivono per Lui. Lo ha rivelato Dio stesso a Mosè presso il roveto ardente, chiamandosi: “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” (Es 3,6).

Il fatto che Dio si presenta a Mosè come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe vuol dire che nel momento stesso che egli parla egli si sente in rapporto ‘vitale’ coi patriarchi morti ormai già da centinaia di anni: questo sta a significare che essi devono continuare a vivere misteriosamente in comunione con Lui, costituendone come la corte celeste (Settimio Cipriani).

I morti sono vivi in Dio, come in Lui sono vivi Abramo, Isacco, Giacobbe. Anche nella Trasfigurazione sono apparsi Mosè ed Elia, anch’essi nella gloria.

È chiamato il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, cioè il Dio che protegge Abramo, Isacco, Giacobbe; ora se essi sono morti per sempre, si sono sottratti alla sua divina protezione: ora è il Dio dei vivi e non dei morti.

Gesù dunque per fondare questo discorso biblicamente in modo adatto ai sadducei, fa una citazione del Pentateuco, leggendo un versetto dell’Esodo (3,6) con particolare profondità. Con questa citazione Gesù riconduce il dibattito all’amore di Dio e alla sua fedeltà. Se Dio ama l’uomo ed è fedele all’uomo non può abbandonarlo in potere della morte: è certo invece il fatto che Dio ama troppo l’uomo per rassegnarsi a vederlo scomparire nel nulla. Dire a uno che lo si ama, vuol dire dirgli tu non morrai (Marcel).

Pascal portava sempre addosso una piccola scritta: “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti, certezza certezza, pace e consolazione, ti si può trovare solo nel Vangelo”. La nostalgia dell’Eden, del paradiso perduto, faceva scrivere a Pascal che l’uomo è un re decaduto tormentato dalla nostalgia per il regno del quale è stato privato.



Il Cristo risorto, dunque, è il centro, la causa e l’obiettivo di tutto. L’eterno amore si espanse in nuovi amori nella creazione perché aveva di mira la risurrezione del Signore; e Dio che in modo mirabile ci ha creati, in modo ancor più mirabile ci ha riformati avendo di mira la risurrezione che è l’atto definitivo della redenzione con cui anche il corpo entrerà nella gloria e nella gioia.

Sant’Ignazio d’Antiochia scriveva: “un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice vieni al Padre”, e sua è la frase “è bello tramontare al mondo per risorgere nell’aurora di Dio”.


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