XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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vigna

Gli ultimi e i primi

Is 55,6-9

Fil 1,20c-27a

Mt 20,1-16

 

C’è la vivacissima parabola degli operai invitati a ore diverse a lavorare nella vigna, parabola che è esclusiva di Matteo.

Un padrone mosso da un desiderio vivissimo di inviare il numero più vasto possibile di lavoratori nella sua vigna, esce lui stesso a cercare braccianti. Se già Gesù esorta i discepoli a pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe, (Mt 9,38), ora in questa parabola ci consegna il volto di un Dio premuroso e pieno di cura per la sua vigna, cioè per il suo regno. Il padrone stipula un contratto verbale soltanto con i primi assunti: un denaro per una giornata di lavoro, con gli altri invece dice “vi darò ciò che è giusto” (vuol far sì che tutti abbiano di che provvedere alla propria famiglia e che nessuno si senta inutile – c’è già qualcosa della misericordia divina e del suo ostinato desiderio di comunicare il suo amore agli uomini anche ai più lontani ed esitanti).

Secondo san Gregorio Magno i primi ad essere chiamati furono gli Ebrei, il popolo eletto che Dio scelse per farlo depositario del suo piano di salvezza, salvezza destinata a tutti gli uomini. Dio è partito dal popolo eletto per raggiungere tutti i popoli. Gesù aveva riconosciuto il diritto di precedenza del popolo di Israele, di fatti ha limitato il suo ministero alla sua terra, ma doveva anche dimostrare che il Padre amava tutta l’umanità senza distinzione.

Pio XII nella sua Enciclica sul Sacro Cuore dice che nell’Antico Testamento la bontà di Dio verso il popolo di Israele è esaltata con immagini tali da commuovere potentemente gli animi, tuttavia questa bontà di Dio non fu che un preludio di quell’ardentissima carità che Gesù avrebbe riversato su tutti gli uomini.

Il padrone vuol far assistere i primi operai al pagamento degli altri, successivamente assunti al lavoro: “chiama gli operai, dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Egli vuole preparare una sorpresa che si manifesta nel modo sconcertante del pagamento. Ai primi dà un denaro come aveva con loro convenuto, e anche agli ultimi dà un denaro – dimostra così ai primi la sua generosità verso gli ultimi, per ricordare loro che l’averli invitati a lavorare nella sua vigna è un segno del suo amore e della sua attenzione anche verso di loro, perché altrimenti sarebbero rimasti disoccupati; se essi hanno lavorato di più, è già sua grazia, è già sua benevolenza: la vita cristiana non si fonda sui calcoli, ma si fonda sulla grazia di Dio, sulla libera azione salvifica di Dio non determinata da alcuna prestazione d’opera umana. Alla sera la ricompensa fu uguale per tutti, il denaro dato loro è il denaro della salvezza uguale per tutti. Sant’Ambrogio dice che il denaro è Gesù stesso: dato in speranza agli antichi, e dato in verità ai presenti.

Ma i primi pensavano che avessero diritto di precedenza e anche di esclusività sul denaro: ma Dio aveva promesso la salvezza universale, che il profeta Isaia ha visto sotto l’immagine di un grande banchetto a cui tutti sono chiamati (Is 25, 6). Dio conserva la sua fedeltà e il suo amore al popolo eletto, ma il suo amore e misericordia deve raggiungere anche i più lontani a cui non si era ancora rivelato, non certo per loro demerito.

Santa Teresa d’Avila dice che sua maestà dando la medesima paga sia agli ultimi che ai primi ci insegna che ricompenserà il bene che facciamo (noi diamo solo un soldo mentre riceveremo da Lui mille ducati), ma non dobbiamo vantarci del bene fatto né voler pretendere doni dal Signore perché tutto quanto possiamo fare è nulla in confronto ad una sola goccia di sangue sparsa dal Signore per noi.

Dobbiamo rimanere piccoli e semplici, comprendere il rovesciamento evangelico: gli ultimi saranno i primi; riempie di bene gli affamati, rimanda i ricchi a mani vuote. Non dobbiamo giudicare la bontà del Signore secondo i nostri criteri, né imprestargli i nostri sentimenti “le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55, 8).

I primi si lamentano perché anche agli ultimi dà un denaro. Ai primi dà un denaro come aveva con loro convenuto, e anche agli ultimi dà un denaro facendo dono della sua bontà: di fronte alla bontà del Padre non si può guardare con occhio cattivo il fratello.

Il disappunto dei primi verso gli ultimi arrivati richiama quello del fratello maggiore nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,11); questi non voleva entrare in casa perché il padre faceva festa al figliol prodigo tornato vivo e salvo. Gli uni dicono “noi abbiamo sostenuto il peso della giornata e il caldo”, mentre il fratello maggiore dice “io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo precetto”. L’Amore che il Padre ha verso il figlio prodigo non sottrae nulla all’amore che egli continua ad avere verso il maggiore. Accettando però gli ultimi, non escludeva i primi: soltanto voleva togliere loro la presunzione di particolari meriti o privilegi davanti a Lui come pensavano i farisei. Dio non guarda ai meriti, ma ai bisogni – anche gli ultimi avevano atteso per ore il lavoro e finalmente hanno trovato il lavoro in modo da aiutare la propria famiglia.

Sembra così che il Signore voglia farci fare una conversione: Dio non è un padrone che dà un salario, ma un padre che dà un dono – l’uomo non è un operaio che lavora per interesse, ma un figlio che serve per amore – la salvezza non è un salario di cui l’operaio possa vantarsi, ma una grazia di cui il beneficiato deve essere riconoscente.

Non è mai presto mettersi a lavorare per l’anima perché la fine può arrivare quando non si sà – così non è mai tardi a incominciare a lavorare per l’anima, perché finché c’è un respiro l’undicesima ora non è scoccata, come fu per il buon ladrone.

In Gesù si rivela il volto nuovo di Dio: un Dio che accetta tutti, anche gli ultimi perché non vuole discriminare nessuno e vuole offrire davvero la salvezza a tutti, facendo entrare tutti nella sua vigna a qualsiasi ora della giornata.


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