II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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L'Agnello di Dio

 

Is 49, 3.5-6

 

1 Cor 1,1-3

Gv 1,29-34

 

San Giovanni evangelista ha scritto il suo Vangelo con lo scopo di portare alla fede in Cristo; l’unica beatitudine che porta nel suo Vangelo sono quelle parole dette da Gesù a San Tommaso “perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,29). Il quarto Vangelo dà particolare rilievo alla testimonianza del Battista, testimonianza che doveva portare alla fede in Cristo.

Vari studi hanno mostrato numerosi e interessanti parallelismi fra Giovanni Battista, il primo testimone del Cristo, e il discepolo amato che è simbolo per eccellenza del credente in Cristo; entrambi vedono e testimoniano che Gesù è colui che possiede lo Spirito, e può perciò donarlo in pienezza.

 

L’evangelista Giovanni non racconta il battesimo di Gesù nel Giordano, ma vi si riferisce con sufficiente chiarezza quando dice che il Battista vede Gesù “venire” verso di lui, e lo indica alle genti come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo – e quando afferma che il Battista ha visto lo Spirito scendere dal cielo e posarsi su di Lui.

Questa testimonianza-proclamazione è un evento, una rivelazione che sorprende, per primo, lo stesso testimone che per due volte dice “io non lo conoscevo”: la rivelazione divina è evento di grazia, e non una conquista dell’uomo; la provenienza della conoscenza che improvvisamente il Battista riceve è indicata in colui che l’ha inviato a battezzare, cioè in Dio stesso “io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo”.

Non si tratta di qualsiasi conoscenza personale che egli certamente aveva, ma perché si trattava di riconoscere in Lui l’Agnello di Dio, l’autore del battesimo nello Spirito Santo, e ciò era possibile soltanto per intervento divino, per una comunicazione dall’alto, in base alla quale egli poteva dare a Cristo pubblica e autorevole testimonianza (Gv 5,32).

Il precursore “ha visto” e perciò può proclamare che Gesù “è il Figlio di Dio”. Con questa denominazione “Agnello di Dio” il Battista sul Giordano richiama l’attenzione su questo uomo giovane e forte che viene, il falegname di Nazaret che viene a lui.

“Agnello di Dio” è un titolo cristologico che si trova nel solo Giovanni ed è il primo attributo a Gesù dopo quello di Verbo di Dio.

 

Giovanni Battista lo chiama “Agnello di Dio” ossia sacrificio che viene offerto a Dio per pagare per i peccati. Quando ad Abramo fu chiesto da Dio di salire sul monte a sacrificare suo figlio Isacco, Isacco aveva chiesto al padre: “ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?” (Gn 22,7), e Abramo ispirato da Dio gli aveva risposto “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”, ecco preannunciava la venuta del vero Agnello di Dio, Gesù.

Quando Mosé fece uscire dalla schiavitù d’Egitto il popolo eletto, si ebbe la prima pasqua con l’agnello pasquale, il cui sangue salvò i primogeniti ebrei dallo sterminio (Es 12,3-28) – l’agnello pasquale era figura di Gesù che verrà. Il profeta Isaia profetizzò il Messia come “un agnello portato al macello e il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53,7).

Egli è l’Agnello di Dio venuto a cancellare il peccato dal mondo, che è l’essenza stessa del Vangelo, la missione propria e insostituibile di Cristo; “Gesù nel quale non c’è peccato, apparve per togliere i peccati” (1 Gv 3,5).

Questo Agnello è il rimedio che Dio pone di fronte al peccato del mondo, cioè al male radicale che si oppone alla presenza di Dio nell’umanità. Nel titolo di Agnello di Dio è già compreso quanto diranno i samaritani in Gv 4,42 “questi è davvero il Salvatore del mondo”; e quanto commenta l’evangelista nell’inconsapevole profezia di Caifa “essendo sommo Sacerdote, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,51).

Ogni anno gli ebrei celebravano la Pasqua; la immolazione e la manducazione dell’agnello pasquale, che per gli ebrei costituiva il gesto culminante e come l’anima della loro festa, tendeva a significare una realtà più grande che si è compiuta in Cristo – per questo Giovanni dirà che Gesù muore proprio quando gli ebrei stavano per immolare l’agnello pasquale (Gv 19,31), ancora san Giovanni nel suo Vangelo si dimostra attento a rilevare in Cristo crocifisso il nuovo Agnello pasquale: Gesù fu trapassato da una lancia perché si adempisse la profezia: “non gli sarà spezzato alcun osso” (Es 12,46) come già era prescritto di mangiare l’agnello pasquale senza spezzargli alcun osso; e un altro passo della Scrittura dice ancora: “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Zc 12,10).

È più che mai necessario intensificare il discorso sul peccato e la salvezza, nella ferma convinzione che soltanto così possiamo parlare in nome del Vangelo e contare sulla sua certa potenza salvifica (Rm 1,16). Padre Turoldo al cardinal Schuster: “la mia ambizione è quella di fare dei peccatori”, voleva dire quella di restituire agli uomini quel senso del peccato che hanno perduto.

 

Cristo dunque è venuto a sradicare il peccato del mondo, nel pieno e costante possesso dello Spirito, che elargirà ai credenti senza avarizia e non soltanto perché siano salvi, ma perché diventino realmente i figli di Dio (1 Gv 3,1). Giovanni rese testimonianza dicendo: “ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di Lui” (Gv 1,32).

Lo Spirito scende e rimane su Gesù: equivale a dire che il battesimo non è stato un momento passeggero di ispirazione, e che l’opera di Gesù nella sua globalità dovrà essere compresa come attuata in comunione con lo Spirito; l’intera attività di Gesù è intesa perciò un immergere (battezzare) l’umanità nella stessa sfera della vita e della santità di Dio. Attraverso Gesù lo Spirito è entrato nel mondo, nessuna forza avversa lo potrà mai scacciare o vincere, e da Lui sarà effuso su ogni uomo. L’opera di Gesù si può definire: “Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.

 

Il mistero della divina redenzione è primariamente e naturalmente un mistero d’amore (l’Agnello ha redento il gregge, Cristo innocente ha riconciliato con il Padre gli uomini peccatori). Nel presepio con l’incarnazione si era abbassato fino all’uomo per trarre l’uomo fino a Dio, l’abbandono sulla croce completò l’annientamento per annientare nella morte la massa dei peccati, così Gesù concluse il ciclo della collera e dalla piaga aperse il ciclo dell’amore.

Origene: non è l’Agnello di Dio che toglierà ma non ha ancora tolto, o che ha tolto e non toglie più, ma che toglie sempre i peccati del mondo.


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