V DOMENICA DI QUARESIMA

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Lazzaro

La vittoria della vita

 

Ez 37,12-14

 

Rm 8,8-11

Gv 11,1-45

 

Il biblista dice che di tutta la Bibbia questo è il miracolo descritto più ampiamente, per condurre il lettore a meditare il mistero di Cristo attraverso le sue folgoranti parole e i suoi imprevedibili gesti.

Gesù si trova nella regione oltre il Giordano, aveva lasciato la Giudea perché a Gerusalemme l’atmosfera si era fatta incandescente, i suoi nemici lo cercavano a morte. E qui lo raggiunge la notizia che la famiglia dei suoi amici: Lazzaro, Marta e Maria (abitavano nel villaggio di Betania a tre chilometri da Gerusalemme sul versante orientale del monte degli Ulivi) è stata visitata dalla malattia. Lazzaro è gravemente ammalato e le sorelle lo fanno sapere a Gesù: “Signore, colui che tu ami è ammalato”. Ma Gesù dice ai suoi discepoli “questa malattia non è per la morte, ma per manifestare la gloria di Dio e perché sia glorificato il Figlio di Dio” Gesù lascia che la malattia di Lazzaro abbia il suo decorso, fino a morire, per poi far risaltare l’intervento di Dio.

Ma dopo due giorni decise di ridiscendere in Giudea “ritorniamo in Giudea”. Vogliono dissuaderlo perché là la sua vita è in pericolo, ma Egli dice “quando si cammina di giorno il cammino è sicuro, invece se si cammina di notte si può inciampare”, voleva dire che finché non era giunta la sua ora nessuno gli poteva nuocere. C’è in Gesù una libertà sovrana che si regola unicamente con la volontà del Padre. Egli sa bene quello che vuole e rimane sempre padrone assoluto della situazione. E di fronte all’irremovibilità di Gesù, Tommaso conclude con parole significative “andiamo anche noi a morire con Lui” è uno sprazzo di luce e di generosità sulla linea di un orizzonte che si sta offuscando minacciosamente. Il Vangelo di Giovanni riconoscerà ben motivata questa valutazione perché la decisione di uccidere Gesù sarà presa dal Sinedrio proprio in conseguenza della risurrezione di Lazzaro.

 

Arrivato a Betania gli andò subito incontro Marta che consolò dicendo: “il tuo fratello risorgerà”. Marta pensò che questo era un generico conforto riferendosi alla risurrezione finale che era di fede comune tra il popolo, solo i Sadducei, appartenenti alla classe sacerdotale, non la credevano. Ma Gesù non intende parlare della risurrezione finale, bensì di una risurrezione molto vicina che avverrà in quello stesso giorno; modifica la prospettiva e precisa che essa dipende dalla sua persona, propone una più luminosa rivelazione “io sono la risurrezione e la vita” ponendosi sul piano stesso dell’“io sono colui che sono” (Es 3,14); Gesù si proclama la fonte della vita, la risurrezione personificata. Marta sollevata dal suo dolore, librandosi sulle ali della fede, riconosce nell’amico di casa sua il Messia che deve venire. “Se Cristo non fosse Dio non si dovrebbe credere in Lui, solo Dio è il termine della fede” (san Tommaso d’Aquino).

Ecco che sia la morte del corpo come quella dell’anima cede il passo a Gesù e a chi crede in Lui. I credenti sono in possesso di una vita pienissima, indistruttibile, di tutta la vita, inaccessibile alla corruzione (Salvatore Garofalo). Ci si domanda: come sarà l’aldilà? Ecco con Gesù già qui incomincia l’aldilà “chi vive e crede in me non morrà in eterno”. Poi Gesù vuol vedere anche Maria e la manda a chiamare; e quando la vide piangere e piangere anche i giudei che erano venuti con lei si commosse profondamente e avvicinatosi alla tomba di Lazzaro non riuscì a trattenere le lacrime e pianse silenziosamente (ecco Gesù ha davanti a sé il quadro delle malattie e delle morti, non approvava questo stato di dolore e di morte, stato in cui anche Lui volle entrare col patire e morire) – ma l’intervento di Gesù sta a dimostrare che la sofferenza e la morte non sono un segno dell’abbandono di Dio, bensì rientrano in un disegno di salvezza e di amore.

 

Gesù arriva a Betania quando Lazzaro è sepolto da quattro giorni (gli ebrei pensavano che al terzo giorno dopo la morte lo spirito abbandonasse il corpo alla corruzione, proprio per certificare la realtà della sua morte anche Gesù risusciterà al terzo giorno).

Il pianto di Gesù è segnalato due volte nel Vangelo: presso il sepolcro di Lazzaro e in vista di Gerusalemme (Lc 19,41) – si è fatto veramente solidale con l’umanità partecipando alle sue angoscie e sofferenze. Lo scopo per cui Gesù assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile – triplice è quindi l’amore di Gesù: divino, spirituale e umano (affettivo, sensibile).

“‘Signore, colui che tu ami è malato’, Gesù voleva molto bene a Marta a sua sorella e a Lazzaro; infine l’osservazione dei giudei di fronte al pianto di Gesù ‘vedi come lo amava!’”. Perché questa insistenza: non certo per dare al brano di Lazzaro il senso di una avventura privata, ma piuttosto per collocare l’azione di Gesù nel suo contesto corretto, quello dell’amore sincero per l’uomo. Lazzaro diventa in questo caso simbolo di ogni discepolo di Gesù.

Il rapporto di fede che unisce il discepolo a Gesù costituisce soprattutto un vero rapporto personale di amicizia e di amore. Gesù si trova davanti al sepolcro, una specie di grotta in cui vien deposta la salma e contro la quale viene posta una grossa pietra. Chiese che fosse rimossa la pietra del sepolcro e mentre tutti sono in silenzio ringrazia il Padre che lo ha ascoltato a beneficio della fede di coloro che gli stanno intorno, poi con voce più forte comandò a Lazzaro di uscire dalla tomba e la morte cede il passo a Gesù che è la vita stessa, padrone della vita sia nel suo sorgere (creazione) sia nel suo risorgere.

Impedire di morire è tutto quello che i giudei potevano attribuire a Gesù “costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva far sì che questi non morisse?”. Ma Lui aveva promesso a coloro che credono nella sua persona di far vedere la “gloria di Dio”.

“Lazzaro vieni fuori” e avvenne il miracolo imprevedibile, preparato dalla fede delle due sorelle – e il morto esce con i piedi e le mani avvolti di bende e il volto circondato da un sudario. È un evento veramente meraviglioso, una vittoria straordinaria sulla morte.

“Scioglietelo e lasciatelo andare” – vivendo senza fiducia, con apatia, col vuoto dentro, con l’angoscia del nulla è come già una morte, ma Gesù nel suo amore ci chiama per nome “Lazzaro vieni fuori” riprendi a respirare la vita con tutta la sua pienezza. Ora procederà verso la sua morte che sarà poi la gloriosa vita per Lui e per noi, i battezzati in Lui risorti (san Giovanni Crisostomo).

La fede ci introduce nel mondo divino, le cui frontiere sono state aperte dal Risorto perché tutti i suoi fratelli possano seguirlo. Il battesimo è potenza viva e di vita; il cammino terreno del rigenerato, lungi dall’essere un declinare verso la palude della morte, è continua ascesa vero la vita in tutta la sua pienezza, fino alla risurrezione del nostro corpo mortale, vivificato dallo Spirito che abita nei battezzati (Rm 8,11) (Savatore Garofalo).


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