Attorno alla Parola: XXXI Domenica del Tempo ordinario

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{mosimage}La liturgia si apre con una terribile requisitoria del profeta Malachia contro i sacerdoti: condanna il loro servizio liturgico che è un misto ibrido di pratiche religiose e di disimpegno della vita; un culto ridotto a magia: “siete d’inciampo a molti con il vostro insegnamento”. E contro di loro riporta la condanna e il rigetto di Dio: “Vi recido il braccio, vi spargo in faccia gli escrementi delle vostre feste”.

Anche Gesù denuncia con violenza i maestri della legge, scribi, farisei, sacerdoti: “Opprimono i fedeli e taglieggiano le loro offerte; impongono pesanti fardelli e loro li scansano”. Incoerenza delle nostre esortazioni, che don Mazzolari giustificava: “Basta essere uomini per essere dei poveri uomini”. Quindi ascoltiamo Gesù: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo”.

Si presentò un giorno una mamma a Gandhi preoccupata per la golosità della figlia. Gandhi imbarazzato l’invitò a tornare dopo tre settimane. Solo allora le diede una risposta. E motivò la lunga attesa dicendo: “Tre settimane fa anch’io avevo il vizio dei dolci”.


E continua Gesù: “Guai a voi maestri ipocriti, guai a voi ciechi, guai a voi serpenti, razze di vipere, come potete scampare alla condanna dell’inferno?”. E laggiù li trova Dante: “… elli avean cappe con cappucci bassi, di fuor dorate, ma dentro tutte piombo e grevi”.

Ipocrisia, maschera greca, che il vocabolario definisce simulazione di bontà. Il suo ideale terreno di cultura è un ambiente ad intensa vitalità religiosa.

Il discorso di Gesù, detto discorso dei sette guai, è di una durezza insuperabile. E’ un discorso antifarisaico, ma emblematico e significativo per noi sacerdoti, religiosi e per chi si dice gente di chiesa. L’accusa centrale che ricorre continuamente è quella di ipocrisia. Gesù mette a nudo il cancro di una dottrina e di una pratica religiosa staccata dall’onestà della vita.

Osservava il sociologo Acquaviva: “Il sentimento religioso si è indebolito e istituzionalizzato. Bella la preghiera di Karl Barth du F.C.: “Signore liberami dalla religione e dammi la fede. Liberami cioè da quella religione che si esprime in un culto che sa di magia, in una serie di liturgie fatte per convenzione e non per convinzione, per pura osservanza all’orario e al calendario. Ridate intensità spirituale alle nostre eucaristie, partecipazione viva, attenzione alla Parola dello Spirito Santo”. È l’invito del capitolo, riproposto dal nostro progetto comunitario di vita.

E Gesù osserva ancora: “Fanno di tutto per essere ammirati e amano essere chiamati maestri”.

Doppio l’orientamento indicato da Gesù: orientamento all’umiltà, alla comprensione. “Non amate posti d’onore, non consideratevi direttori, maestri, padri; non imponete fardelli, regolamenti, pratiche che voi non sopportate. Uno solo è il vostro maestro, uno solo è il vostro Padre e voi siete tutti fratelli”.

E i suoi dodici li inviò senza titoli, e così li accolsero le prime comunità. Francesco, conformato a Cristo, chiamò i suoi 12, frati, minori, ministri.

Vi è un secondo orientamento che propone; “Chi tra voi è superiore, sia vostro servo”. Lo disse e lo fece: e nella cena del memoriale, Gesù, chinatosi, cintosi i fianchi con un panno, lavò loro i piedi e li asciugò.

Commentava mons. Tonino Bello: Gesù, per esprimere il suo servizio sacerdotale, sceglie non la bella stola d’oro, ma il panno di cucina. Al prete novello, non fate il regalo di una stola, un panno simbolo del suo ministero, della sua disponibilità a servire”. Servizio, diaconia, è oggi parola d’ordine nella Chiesa del Concilio: servizio dell’eucaristia, servizio della carità, servizio dei poveri. “Fate strada ai poveri, non fatevi strada per mezzo dei poveri”, avvertiva don Mazzolari.

Pafnuzio, monaco eremita della Tebaide, dopo anni di penitenza e di preghiera, volle un giorno sapere da Dio a che grado di perfezione fosse giunto. E Dio gli disse: “Sei allo stesso grado del suonatore del villaggio. È sì un poco di buono, ma un giorno si è dato da fare per aiutare una famiglia povera”.

E Pafnuzio tornò nel deserto e dopo anni ripeté la stessa domanda al Signore. E il Signore gli indicò il capovillaggio. Da trent’anni non aveva mai torto un capello a nessuno. E Pafnuzio tornò nel deserto ad esercitarsi nella giustizia tanto gradita al suo Signore.

E dopo anni di macerazione interpellò nuovamente Domineddio che lo indirizzò ad un mercante, abilissimo trafficante, ma generosissimo verso i poveri.

Pafnuzio accettò tutte e tre queste lezioni e giunto, all’epoca definita dal Papa privilegiata per la saggezza, alla vigilia della morte disse ai suoi monaci: “Chissà che molti atti oscuri, compiuti in campagna o in città da semplici cristiani, atti di bontà, di generosità, di disponibilità, di servizio, non sorpassano in santità tutti i nostri sforzi, i nostri digiuni, le nostre preghiere?”.

Questo Pafnuzio disse e con animo sereno affrontò il definitivo passaggio.

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