Attorno alla Parola: XXXIII Domenica – anno B

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{mosimage}Tutta la liturgia della fine dell’anno liturgico è sotto il segno della venuta ultima del Cristo nella gloria. In tal modo la Chiesa intende sottolineare, ormai al termine del ciclo liturgico, la meta a cui tende tutto il suo itinerario di celebrazione attraverso i segni sacramentali e la parola delle meraviglie di Dio: la vittoria finale delle forze dell’amore su tutte le negatività della storia.

Gesù descrive oggi il suo ritorno in modo apocalittico e cosmico. Sole, cielo, terra… Verrà sulle nubi come in tutte le visioni e le epifanie di Dio descritte dalla Bibbia. Ma prima vi saranno grandi tribolazioni, angosce. Già i profeti l’annunciarono.

Il Signore Gesù ritornerà sulla terra. È un evento certissimo, è già stabilito, anche se futuro (nell’attesa della sua venuta, la beata speranza…). È un ritorno che caratterizza fin d’ora la vita della comunità cristiana.


Siamo alla fine dell’anno, momenti di attesa. Le tre letture ci aiutano a rinfrescarne la consapevolezza e ravvivare l’attesa.

Nella comunità dei primi cristiani c’era una grande ansia di sapere quando sarebbe ritornato il Signore. Alcuni lo credevano imminente, contemporaneo: apostoli imprigionati, uccisi, perseguitati… Non erano questi i segni predetti dal Signore? Non aveva detto: non passerà questa generazione? Gesù parlava della fine di Gerusalemme e del mondo, senza specificare distinzione di date.

Il vangelo ci richiama tempi di sofferenze e di afflizione, ma mai vien meno la certezza: il Signore è vicino.

In questa certezza, in questa attesa vigilante si radica il mistero della speranza cristiana.

In questo tempo di attesa, di speranza, occorre essere pronti, attendere Gesù e prepararsi al suo giudizio quali servi fedeli. Un cristiano aspetta Dio, attende il Signore che gli viene incontro in ogni situazione della sua esistenza e nell’attesa getta semi di vita e opere buone. Un cristiano è un uomo che attende ed è certo che non resterà deluso nella sua attesa: Cristo Gesù è alle porte.

La comunità cristiana non può dimenticare che il signore verrà. Sarebbe un cristianesimo dissestato, mancherebbe qualcosa di essenziale. I primi cristiani vivevano questa attesa troppo intensamente ed erano soggetti anche a false interpretazioni. Ma oggi i cristiani attendono troppo poco e questo causa altri inconvenienti ancor più dannosi. Si infiacchisce la testimonianza dei cristiani.

Un cristiano che non attende non vale nulla, perché nulla dice al mondo e finirebbe per conformarsi a questo mondo.

Un cristiano non è estraneo al mondo; sa che deve soffrire, ma sa pure che Dio non lo abbandona, lo salva mediante la fede. Una fede che lo avvolge continuamente al pensiero escatologico: vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà. In attesa della salvezza e del giudizio finale, deve essere vigilante.

Chi è senza preoccupazioni aspetta tranquillo l’arrivo del signore. Infatti che sorta di amore per cristo sarebbe il temere che egli venga? Non ci vergogniamo: lo amiamo e temiamo che Egli venga? Ma lo amiamo veramente o amiamo di più i nostri peccati? Ci si impone perentoriamente la scelta.

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