Come non poteva essere altrimenti, il benvenuto di Suor Gloria Cecilia Narváez in Colombia è stato segnato da una sentita eucaristia celebrata nella parrocchia “Madre delle Missioni” dei Missionari della Consolata di Bogotá alla quale hanno partecipato le Suore Francescane di Maria Immacolata, la famiglia religiosa Suor Gloria Cecilia che hanno nella parrocchia la sede principale della loro congregazione, oltre a alcuni sacerdoti, parenti, amici, membri della polizia nazionale e anche rappresentanti del governo.
Suor Gloria Cecilia, liberata in Mali all'inizio di ottobre dopo quasi 5 anni di sequestro, ha ringraziato tutte le persone che hanno pregato per lei durante la sua prigionia e le autorità che hanno lavorato per il suo rilascio. Alla fine dell’eucaristia ha detto: "il Signore è stato veramente grande con me, mi ha protetto, mi ha nascosto come la pupilla dei suoi occhi, è la mia luce e la mia salvezza, chi devo temere?” e poi ha anche invitato la comunità a "seminare fiori nel deserto. Il deserto è arido, abbiamo bisogno di molti missionari, uomini e donne impegnati nel Vangelo, capaci di dare la loro vita per gli altri, per chi soffre, per chi ha sete e fame. Che Dio continui a darci la forza di rispondere alla Chiesa missionaria che ci chiama ad essere una presenza nelle periferie".
Nel 2010, Suor Gloria era stata assegnata alla missione di Koutiala, una piccola città a circa 400 chilometri a est della capitale del Mali, dove ha lavorato con i bambini piccoli che non potevano essere accuditi dai loro genitori e si è occupata della promozione delle donne attraverso strategie di alfabetizzazione, piccoli prestiti destinati alla produzione agricola e attività di ricamo, cucito.
"Il 7 febbraio 2017, ricorda, quattro uomini armati di fucili e machete sono entrati nella missione dalla porta principale, mai chiusa, per facilitare l’arrivo delle ambulanze che trasportavano bambini o madri in gravi condizioni di salute". Questi uomini cercarono di portare via le due sorelle più giovani, ma Gloria Cecilia si oppose: "guardate, sono molto giovani, hanno appena iniziato la loro vita religiosa e la loro vita missionaria in Mali, se volete far loro del male, fatelo a me, io sono quella che è in Mali da più tempo e la responsabile della comunità".
E fu così che, con una bomba al collo e la minaccia di morte se avesse detto o fatto qualcosa, la misero su quattro moto e la portarono nel deserto.
"Sai chi ti ha preso? Siamo Al Qaeda", furono le parole che rivelarono alla sorella chi erano i suoi rapitori. "Sei un cane da chiesa, non vali niente", era una delle frasi che usavano più spesso quando si rivolgevano a lei.
Durante la sua prigionia, i maltrattamenti erano il suo pane quotidiano: la maggior parte del tempo era tenuta in catene e con lucchetti ai piedi; riceveva poco cibo e acqua; non mancavano continue percosse e insulti.
"Mi hanno insultato, ma non ho detto nulla, ricordando ciò che diceva la nostra madre Fondatrice: "State zitte, state zitte in ogni momento, affinché Dio ci difenda". Ho mantenuto la calma, sempre con grande rispetto per la loro religione, perché per l'Islam Dio è il creatore dell'universo, e anche per noi”.
"Ogni giorno la mia preghiera era scrivere lettere a Dio nelle quali dicevo: “grazie Dio per essere ancora viva, un giorno in più che mi dai per lodare e benedire il tuo santo nome. Prego anche per coloro che mi tengono in ostaggio, aiutali a vivere il loro impegno verso la loro religione e a liberare molte persone che tengono in ostaggio. Ti ringrazio per l'opportunità che mi dai di vivere, sicuramente hai per me un'altra missione, e mi darai la possibilità di continuare ad essere missionaria come tu desideri”.
In diverse occasioni ebbe l’opportunità di scappare ma le condizioni inclementi del deserto non glielo permisero. In una occasione fu lasciata sola in mezzo al deserto per tre giorni insieme a una donna francese con la quale condivise parte del suo sequestro: “mi sono arrampicata sulle dune di sabbia, tutto attorno era deserto e non si vedeva nessuno, ma lei era molto debole, così siamo rimaste lì".
Nonostante le condizioni subumane in cui si trovava, suor Gloria Cecilia non ha mai perso la sua fede in Dio: "Oggi lo ringrazio perché con la sua infinita misericordia si è preso cura di me e grazie alla grande fede che avevo in Lui sono libera e sono riuscita a uscire dalle mani dei miei rapitori".
Nel messaggio finale, pieno di perdono e misericordia, la suora ha detto: "Non serbo rancore, anzi, quando c'era un grande pericolo ho pregato il Magnificat e ho chiesto agli angeli custodi di proteggerci tutti, anche loro. Non si può giudicare se una persona è cattiva o buona, davvero nel mio cuore non c'era rancore verso nessuno, l'unica cosa che chiedevo era la libertà".
*Paula Martínez è una comunicatrice sociale.