«Una Casa di Santificazione»

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LA CASA MADRE DEI MISSIONARI COMPIE 100 ANNI

Conferenza Tenuta a Torino in occasione dell'anniversario: ottobre 2009

La Casa Madre voluta dall'Allamano

Nel 2009 la Casa Madre dei Missionari della Consolata, Corso Ferrucci 14, Torino, copie 100 anni. Essa fu voluta espressamente dall’Allamano, iniziata nel 1907 e inaugurata nel 1909. L’Allamano la frequentò con regolarità, considerandola il luogo più adatto per curare la formazione missionaria dei suoi figli.

Per queste ragioni. Ecco le parole con le quali l’Allamano e il Camisassa informarono ufficialmente la Congregazione dei Religiosi, a Roma, della nuova sede dell’Istituto: «La prima casa madre [chiamata popolarmente “La Consolatina”], nonostante le continue partenze di missionari, era divenuta presto insufficiente. Per cui si pose mano alla costruzione di una sede adatta alle necessità presenti e future, capace di oltre 150 allievi, e fornita di tutti i requisiti alla vita di diverse comunità: dei collegiali, novizi e studenti, tutti con locali propri perfettamente distinti, e consoni alle moderne esigenze dell’igiene».[i]

In effetti, come affermò il p. L. Sales, «fin dal 1905, divenuta insufficiente la prima [casa madre], s’era acquistato un ampio appezzamento di terreno in località allora fuori cinta daziaria, nella così detta via di Circonvallazione, oggi corso Ferrucci. Due anni dopo, nel 1907, s’iniziarono i lavori. Fu [il Camisassa] a studiare il disegno della nuova sede e curarne l’esecuzione. Ogni giorno, per più anni, fu visto andare e venire dal santuario della Consolata alla fabbrica in costruzione, salir sui ponti, rendersi conto del progresso dei lavori, esaminare il materiale impiegato, interessarsi di tutto».[ii]

Per la casa madre vendette quanto possedeva

Riferì ancora il p. Sales: «Per sostenere le spese ingenti di tale costruzione [l’Allamano] dovette non solo mettere tutto il suo disponibile, ma vendere altresì tutto quanto possedeva di immobili, compresa la cascina “La Morra”, dove egli, da sacerdote, soleva andar a passare qualche tempo di vacanza; vendette persino la catena d’oro, che gli avevano regalata; più tardi [nel 1914] fu costretto a vendere la prima sede dell’Istituto [la Consolatina], quantunque ciò gli rincrescesse assai».[iii]

La presa di possesso della nuova casa madre avvenne il 9 ottobre 1909: «Oggi - si legge nel “Diario” del seminario maggiore - vi fu qui il sig. Rettore, Vice Rettore, Economo della Consolata. Alle 6 vi fu il santo Rosario, quindi il sig. Rettore benedice la nuova cappella».[iv]

La Casa Madre regolarmente visitata dall'Allamano

Quando la comunità si trovava ancora alla Consolatina, l’Allamano aveva fatto una promessa: «Nella nuova casa avrò la mia camera, avrò più comodità d’andarvi e voglio esservi abitualmente: chiunque senza bisogno di nessun permesso può venire a parlarmi, o anche per udire qualcosa da me».[v] Il “Diario” qualche tempo dopo annotò: «Dacché siamo nel nuovo Istituto, il rev.mo sig. Rettore ben difficilmente manca di venirvi ogni giorno, generalmente dalle 5 circa pomeridiane fino verso le 7,30; i due primi giorni li passò quasi interi, e vi dormì due notti consecutive, il che fece ancora qualche altra volta».[vi]

Nel 1912, l’Allamano dovette affrontare con il Camisassa, appena tornato dal Kenya, il problema della casa madre anche le missionarie: la Consolatina, nella quale erano ospitate fino allora, si dimostrò ormai inadeguata a contenere una comunità in continua crescita. Come sistemazione provvisoria fu destinata alle missionarie parte della nuova casa dei missionari. Un primo gruppo di otto suore ne prese possesso il 1 ottobre 1912, sostituendo le suore di S. Gaetano, che l’Allamano aveva ottenuto dal loro Fondatore, il parroco di Pancalieri Giovanni Maria Boccardo, per curare la prima comunità fin dal 1901. Di loro scrisse la superiora generale: «Per i Missionari della Consolata, nei primi tempi della fondazione, le mie figlie furono madri, sorelle, infermiere».

Accanto cresce un'altra Casa Madre

L’Allamano, recatosi a benedire la loro cappella, incoraggiò così le sue missionarie: «Felici voi, mie care figlie, se in questi anni di preparazione all’apostolato sarete vere devote di Gesù Sacramentato. Egli vi formerà a tutte le virtù, ed accenderà in voi il fuoco che è venuto a portare sulla terra».[vii]

Ecco come la cronaca redatta dal ch. Borello Mario sul “Diario”, inviato ai confratelli in missione, descrisse l’inizio dei lavori della Casa Madre per le missionarie: «Sapete ben che accanto al nostro “casone” vi sono due orti. Orbene, nell’“orto Nord” stamani s’è dato a scavare… si vuol fare un gran buco per farci una casa. La Provvidenza […] non cessa di vegliare sulle opere sue e su chi in Lei sola confida. […]. E quest’opera di Dio è l’Istituto delle nostre suore missionarie, e quest’uomo pieno di fede è il sig. Rettore nostro Padre comune. Fuori si grida carestia [siamo all’inizio del 1915 e l’Italia sta per entrare in guerra]… anche i nostri fratelli di Torino la sentono un poco… via quel poco di superfluo ancora, ma “nelle cose necessarie” Dio non manca, ed il sig. rettore dà principio alla casa delle nostre suore missionarie proprio accanto a noi, così le grazie del cielo avranno un solo indirizzo: via Circonvallazione 514/515 - (ora corso Ferrucci, 14 e via Coazze, 1), così un solo spirito, un’opera sola».[viii]

La Casa Madre requisita dal governo. Nel frattempo, l’Allamano dovette prendere in considerazione un’altra realtà piuttosto difficile. Durante la prima guerra mondiale del 1915-1918, parte della casa madre dei missionari, come pure la nuova sede delle Missionarie quasi ultimata, vennero requisite dal governo per necessità belliche. L’Allamano non gradì questo fatto. Si oppose più che poté, fece pregare perché la requisizione fosse evitata, ma alla fine si rassegnò. I due gruppi dei missionari e delle missionarie accettarono con serenità il disagio di doversi adattare in ambienti più ristretti.

Ecco il commento dell’Allamano: «Come avete veduto, la Madonna non ha creduto di fare il miracolo e ci farà tante altre grazie […]; e poi, coraggio nella prova; dobbiamo ringraziare il Signore che ci ha lasciato la cappella! […]. Davanti a Dio dobbiamo essere contenti di tutto; più si è poveri e meglio è, ma davanti al mondo bisogna tenere la nostra personalità».[ix] «Siamo stati costretti a cedere una parte della casa ai soldati; con ciò non è detto che siamo contenti […]. Io il miracolo non l’ho chiesto alla Madonna, ma ho lasciato tutto nelle sue mani e la Madre sa quello che fa. Se ha permesso così, il suo giudizio è retto».[x]

Finalmente il 7 dicembre 1918 la parte della casa dei missionari occupata dai soldati fu sgombrata e nel 1919 anche quella delle suore. Quando i missionari sotto le armi furono rientrati, l’Allamano invitò la comunità a riprendere il cammino formativo con regolarità e impegno: «Tutti, ex-soldati o non, incominciamo perché questa casa prenda subito l’aspetto esterno ed interno di una casa di santificazione in ordine a riuscire tutti Apostoli di Nostro Signore Gesù Cristo».[xi]

 Le visite si rallentano alla fine

Negli ultimi anni di vita l'Allamano rallentò le visite alla Casa Madre, solo per motivi di salute. Sono stati i medici a prescriverglielo, anche per conservargli le forze necessarie per andare a Roma per la beatificazione del Cafasso. Lui avrebbe voluto recarsi regolarmente, ma le forze non glielo permettevano e ne era cosciente e rassegnato. Ad un gruppo di missionari che erano andati a trovarlo alla consolata disse: «..... (parole ai ragazzi: adesso venite voi)

Nel Marzo del 1925, in occasione del suo onomastico, l'Allamano pensò di fare dono ai missionari della grande statua della consolata che stava nel corridoio del Convitto perché venisse collocata nella facciata centrale della Casa Madre, in un'apposita nicchia. Il “Da Casa Madre” scrive: «Sopra un magnifica camion dei pompieri municipali arriva la nostra statua della Consolata, dono onomastico del nostro Ven.mo Fondatore, e per la quale si sta ultimando la grandiosa nicchia».[1]

 Ecco una bella testimonianza del “Da Casa Madre del 1925 su una delle ultime visite dell'Allamano alla Casa Madre. Dopo la beatificazione del Cafasso, l'Allamano aveva promesso una visita, anche per dare la benedizione pasquale alla casa. Ecco la descrizione del “Da Casa Madre”: «Dopo i Vespri ossequiamo in cortile il Ven.mo P. Fondatore venuto dopo circa sette mesi di assenza a rallegrarci della sua desiderata presenza e a portarci la s. benedizione pasquale. Dopo contemplata con visibile compiacenza la statua della Consolata nella bella nicchia centrale e trattenutosi famigliarmente coi chierici, presente Monsignore, indossa la cappa canonicale» e passa a benedire i vari locali.

«Poi, nel salone – continua il “Da Casa Madre” - assiste alla festa preparata in onore del nuovo Beato […]. Il Sig. Rettore risponde brevemente […]; promette di ritornare presto, favorendo il tempo. […]. Casamadre s'è rallegrata d'un sorriso luminoso e festevole quale da molto tempo non aveva più goduto; ci conceda il signore per tanti anni ancora questa oasi di gioconda letizia».[2]

 L'Allamano ritorna per sempre in Casa Madre

Dal cimitero, da Uviglie....

La Casa Madre semidistrutta dalle bombe. Anche all’inizio della seconda guerra mondiale la nostra Casa Madre dovette pagare un grosso contributo. Durante la notte dell’8 dicembre 1942, una bomba cadde sulla casa distruggendola per metà. Ecco parte della cronaca redatta da p. Giovanni Piovano, che si trovava nel rifugio assieme ad altre persone: «Già le prime bombe si sentono cadere in lontananza; la casa ad ogni colpo, ha un sussulto. […]. Si inizia la recita del Rosario. Arriviamo al terzo mistero, quando un fragore indescrivibile ci scuote tutti come fuscelli. Il rifugio piomba nella più completa oscurità, e una folata di vento ci schiaffeggia. Sul nostro capo si sentono cadere massi su massi; un puzzo di polvere pirica mozza il respiro, e il polverone delle macerie ci avvolge. Passato il primo momento di sgomento, si accendono le pile di sicurezza; non si può vedere per il polverone.

 Ci chiamiamo; siamo tutti, nemmeno un ferito. Il p. Gallea imparte a tutti l’assoluzione, poi distribuisce la Comunione, avendo portato con noi il SS. Sacramento. Ci comunichiamo forse per l’ultima volta, sotto le macerie che continuano a cadere fragorosamente. Su noi volteggiano gli aerei che continuano la loro giostra infernale; li sentiamo sul nostro capo in modo chiarissimo: era segno che la nostra casa era caduta. Le candele non potevano illuminare la scena; il dolore era grande su tutti noi. La casa crollò vero le ore 21.

 Appena gli aerei si allontanarono, si esaminarono le uscite. Quella di sicurezza era stata asportata: rimaneva quella ordinaria, ma ostruita di calcinacci. Si esce come si può dal rifugio e si scruta il paesaggio: una parte del fabbricato, quella prospiciente il corso Ferrucci, non c’è più; i porticati sono spazzati via; dappertutto rovine su rovine. Prima cosa, fuori, si ringraziò la SS. Vergine d’averci salvati tutti, poi si fece un primo giro d’ispezione per avere un’idea del disastro. L’edificio principale presentava un largo squarcio nella parte centrale, e conseguente svuotamento di alcuni piani; alcune camere avevano avuto le volte soffiata via, altre le avevano ancora, ma staccate e pericolanti, erano inservibili. L’unica che non aveva subito danni fu la cappella dove riposava la salma del Padre. La statua della nostra Patrona, la Consolata, era spezzata. Pareva che la Vergine si fosse buttata davanti alla bomba per proteggere i suoi figli. […].

Quando il sole spuntò, e si fece largo tra la nuvolaglia di fumo che avvolgeva Torino, la nostra Casa giaceva muta e interte. Era uno spettacolo triste. La nostra carissima Casa Madre non c’era più!. Sarebbe risorta? Non lo sapevamo. Però quella stessa notte s’avvicinò timidamente un uomo. Era un operaio, non ci disse di più; egli ci voleva bene e ci diede quanto aveva ancora in tasca: due lire, sicuro che si si sarebbero trovati altri che ci avrebbero aiutati. Più tardi giunge una giovane impiegata. Anch’essa dà tutto quello che ha: cento lire per la ricostruzione della Casa Madre. Al mattino presto giunge a trovarci il can. Barberis, che ha parole di conforto per la prova venutaci ed anch’egli viene in nostro aiuto. Questi sono i primi che vollero con noi la ricostruzione della Casa Madre, e devono essere ricordati. La Casa Madre ebbe sempre con sé, anche nelle ore più tragiche, qualcuno dei suoi figli. Non fu mai abbandonata. Deve risorgere: risorgerà!».[xii]

 La Casa Madre ricostruita fu inaugurata dieci anni dopo, l’8 dicembre 1952.

CASA MADRE PER LE FESTE

Mons. Vacha Emilio scrive: «Ricordo ancora del Canonico Allamano la sua S. Messa d'oro celebrata nel settembre del 1923 al Santuario Basilica della Consolata. La pietà con cui lo vidi celebrante, la corona dei superstiti compagni ed il magnifica discorso d'occasione detto dal suo compagno Mons. Ressia Vescovo di Mondovì, e l'accademia che la sera stessa ebbe luogo alla Casa Madre delle Missioni della Consolata. L'impressione rimastami fu tanto soave per la cordialità degli ossequi e la gioia dei suoi figli radunati a festeggiare l'amatissimo Padre».

Testimonianza del 15 ottobre 1943, (2), f.

CASA MADRE CHE RICEVE LE SPOGLIE MORTALI

Dal cimitero

Da Uviglie

L'attuale urna

BRANI CHE POSSONO SERVIRE

PORTICINA PER ACCETTARE E PORTONE PER DIMETTERE

Il p. Domenico Ferrero nella testimonianza afferma che fu il card. Vives a dare al Fondatore questo consiglio, al quale lui fu sempre fedele.

Testimonianza del 26 novembre 1933, n. 6.

In altra testimonianza p. Ferrero ripete la stessa notizia, aggiungendo che il card. Vives , «quando gli faceva le congratulazioni per la compiuta costruzione della nuova grande sede in Corso Ferrucci», disse queste parole: «Ci ha fatto anche il portone?». Poi riporta il commento del Fondatore: «Non avvenga mai che si abbia a dire del nostro Istituto “multiplicasti gentem, sed non magnificasti laetitiam”».

Testimonianza, senza data, “Sua bontà”, 2-3.

Volendo qualche citazione di parole del Fondatore su “non è il numero che conta”, cfr. Allamano – Studi e Documenti, 14. Note Varie.

ANNO SABBATICO AL TEMPO DEL FONDATORE

Secondo la testimonianza processuale di Mons. Giuseppe Nepote, l’Allamano intendeva che i missionari, dopo un quinquennio di lavoro in Africa, passassero un lungo periodo in Italia, per riprendersi soprattutto spiritualmente. Rispondendo alla domanda n. 13 sull’Istituto, disse: «Agli inizi la preparazione dei missionari fu alquanto breve, per la necessità delle spedizioni del personale nelle missioni nel Kenya. Il Servo di Dio a malincuore si adattò alla necessità, ma era sua intenzione che i missionari, i quali tornavano in Patria dopo un quinquennio di lavoro in Missione, - come disposto dal Regolamento di allora – passassero circa un anno in Casa Madre, come in una specie di Noviziato, per rifarsi nello spirito. I primi missionari ritornati in patria non vollero assoggettarsi. Il Servo di Dio trovò tali difficoltà ed opposizioni, rese più gravi dall’asserzione che le missioni avrebbero avuto danno dalla lunga assenza dei missionari, che finì per adattarsi a rinunziare a questo giusto provvedimento che gli stava a cuore. Fu questa a mio parere la prima delusione dolorosa che il Servo di Dio ebbe nell’Istituto”» (Processus Informativus, II, 737).

ARIA BUONA SOLO PER FARSI MISSONARI

«C’è venuti vari altri a rinforzare la famiglia, a spingere gli altri che partono per l’Africa, e i giovani vengono su. E perché siete venuti? Perché siete qui?...Perché stai qui? Tutti rispondete: Per farmi Missionario: e se qualcuno avesse altro scopo, sbaglierebbe: l’aria qui è buona solo per quelli che vogliono farsi Missionari, se no non è buona per i vostri polmoni: Ma perciò bisogna farsi santi. Se no il Signore non si serve di regola per convertire che di quelli che sono santi: prima cosa adunque santificare noi stessi, se no andremo là e in vece di convertire pervertiremo. Dunque farci santi» (Conf. IMC, II, 82).

L'EBREO DI NOME “SACERDOTE”

Il fr. Caneparo Aquilino attesta: «Posso assicurare che l'Istituto avendo bisogno di costruire una casa più ampia che non era la Consolatina, il Rettore incaricò mio padre fare l'acquisto del terreno che avrebbe dovuto servire alla nuova sede, adducendo il motivo che era più facile per un secolare un prezzo più equo ed evitare eventuali inganni – e esagerazioni di prezzi - . Il proprietario del terreno era un ebreo di nome Sacerdote».

Testimonianza del fr. A. Caneparo del 3 gennaio 1944.

[1]    “Da Casa Madre”, n. 20, 1925, p. 66.

[2]    “Da Casa Madre”, n. 21, 1925, p. 174.

[i]           Lettere, V, 281.

[ii]          L. SALES, Il Servo di Dio…, cit., 195, 280.

[iii]          L. Sales, Appunti biografici, Archivio IMC.

[iv]          Diario del semonario, quaderno 1908-1908, 76: Archivio IMC.

[v]           Conferenze IMC, I, 273.

[vi]          Diario del seminario, Archivio IMC.

[vii]         Conferenze IMC, I, 472.

[viii]         La vita dell’Istituto, Archivio IMC; in Lettere, VI, 690.

[ix]          Conferenze IMC, III, 61.

[x]           Conferenze SMC, II, 24-25.

[xi]          Conferenze IMC, III, 322.

[xii]         Da Casa Madre, gennaio 1946, pp. 5-9.


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