Papa Francesco ha detto nel Natale di due anni fa: "la nascita di Gesù è la novità che ogni anno ci permette di rinascere interiormente e di trovare in Lui la forza per affrontare ogni prova". 

In questo periodo dell'anno celebriamo che il Padre non ci ha dato qualcosa, ma il suo Figlio unigenito, che è tutta la sua gioia. Eppure, se guardiamo all'ingratitudine dell'uomo nei confronti di Dio e all'ingiustizia nei confronti di tanti nostri fratelli e sorelle, sorge un dubbio: il Signore ha fatto bene a darci tanto, ha fatto bene a continuare a fidarsi di noi? Non ci sopravvaluta? Sì, ci sopravvaluta, e lo fa perché ci ama fino all'estremo. Non può smettere di amarci. Lui è così, così diverso da noi. Egli ci ama sempre, più di quanto noi stessi saremmo in grado di amare. Questo è il suo segreto per entrare nel nostro cuore. Dio sa che l'unico modo per salvarci, per guarirci interiormente, è amarci: non c'è altro modo. Sa che miglioriamo solo accettando il suo amore instancabile, che non cambia, ma cambia noi. Solo l'amore di Gesù trasforma la vita, guarisce le ferite più profonde e ci libera dai circoli viziosi dell'insoddisfazione, della rabbia e del rimpianto. 

Perché è nato di notte, senza un alloggio decente, nella povertà e nel rifiuto, quando avrebbe meritato di nascere come il più grande re nel più bello dei palazzi? Perché? Per farci capire quanto ama la nostra condizione umana: fino a toccare le nostre peggiori miserie con il suo amore concreto. Il Figlio di Dio è nato scartato per dirci che ogni persona scartata è figlia di Dio. È venuto al mondo come viene al mondo un bambino, debole e fragile, perché possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità. E per scoprire qualcosa di importante: come a Betlemme, Dio vuole fare grandi cose con noi anche attraverso la nostra povertà. Ha messo tutta la nostra salvezza in una mangiatoia e non ha paura della nostra povertà. Permettiamo alla sua misericordia di trasformare le nostre miserie! 

A Betlemme, che significa "Casa del pane", Dio è in una mangiatoia e ci ricorda che abbiamo bisogno di lui per vivere, come del pane per mangiare. Dobbiamo lasciarci toccare dal suo amore gratuito, instancabile e concreto. Quante volte invece, affamati di divertimento, successo e mondanità, alimentiamo la nostra vita con un cibo che non soddisfa e lascia un vuoto dentro. Quel presepe, povero di tutto e ricco di amore, ci insegna che il cibo della vita è lasciarsi amare da Dio e amare gli altri. Gesù ci dà l'esempio: Lui, il Verbo di Dio, è un bambino; non parla, ma dà la vita. Noi, invece, parliamo molto, ma spesso siamo analfabeti in fatto di gentilezza. 

Un bambino ci fa sentire amati, ma ci insegna anche ad amare. Dio è nato bambino per incoraggiarci a prenderci cura degli altri. Il suo tenero pianto ci fa capire quanto siano inutili i nostri tanti capricci, e ne abbiamo tanti. Il suo amore impotente, che ci disarma, ci ricorda che il tempo che abbiamo non è per autocommiserarci, ma per consolare le lacrime di chi soffre. Dio viene ad abitare in mezzo a noi, poveri e bisognosi, per dirci che servendo i poveri lo ameremo.

A Natale celebriamo che Dio Padre è uscito da se stesso, per venire incontro a tutti gli uomini. L'azione missionaria è ciò che fa uscire la Chiesa da se stessa per andare incontro a tutti i popoli. E la forza motrice di entrambi i movimenti non può che essere l'amore, un amore disinteressato e universale. 

* Bernardo Baldeón è direttore di “Antena Misionera”, rivista IMC in Spagna

 

Papa Francesco è venuto a Greccio e ha firmato anche una lettera apostolica  partendo dalla riflessione sul presepe che dice parole bellissime. “il presepe è come un vangelo vivo che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura”.

Anche il nostro fondatore, Giuseppe Allamano, ci ricorda che Nostro Signore si è abbassato fino a farsi bambino e questo ci parla dell’umiltà e della semplicità del vangelo che diventa vita.

Per vivere la giornata di oggi sono sufficienti queste parole: umiltà, semplicità e vita. 

Qui la fantasia e la creatività della fede di San Francesco ha immaginato il presepe che non è qualcosa da guardare ma qualcosa da contemplare perché lì c’è tutto il vangelo, sintetizzato in una sola immagine.

Nel primo presepe (la notte di Natale del 1223) c’era solo l’essenziale: Giuseppe, Maria e il Bambino. Poi dopo si sono incorporati altri personaggi ma tutti loro guardano verso il centro di tutto, verso il bambino che nasce. Il presepe tradizionale mostra come tutto porta a Gesù bambino. 

Noi in casa abbiamo un presepe napoletano che ha cambiato nuovamente stile. In questo presepe i personaggi non guardano più verso il bambino ma continuano a fare la loro vita. C’è chi lavora, chi si arrabbia, chi tira a campare... in mezzo a loro c’è anche un bambino, per qualcuno è qualcosa di importante, invece per altri non cambia niente. Nel presepe napoletano ogni personaggio ha un nome e un ruolo. C’è per esempio “Benino” che è colui che è addormentato... Gesù viene ma Benino non se ne accorge nemmeno, lui continua con il suo sonno... e anche con i suoi problemi, difficoltà, lotte e passioni. Ma poi si sveglia perché ha sognato che sarebbe nato un bambino che avrebbe portato la salvezza all’umanità.

Anche questo stile di presepe deve interrogarci: Gesù viene alla nostra storia e noi non sempre ce ne accorgiamo, anche noi, quanti natali abbiamo celebrato e magari non ce ne siamo accorti della nascita di Gesù. Magari abbiamo fatto tante cose per aiutare a celebrare il Natale per le nostre comunità ma poi dentro di noi Gesù non è nato. Quante volte ci siamo addormentati malgrado i segni della presenza di Gesù nella nostra vita? 

Quindi Greccio è anche un invito a svegliarci perché Gesù viene a casa nostra e vuole abitare nel cuore e nelle case di tutti.

Poi c’è un altro personaggio che si conosce con il nome dell’incantato. A differenza di tutti gli altri, che continuano la loro vita, li rimane incantato, estasiato, davanti al miracolo della vita terrena e umana di Gesù. Anche noi, in questa vita così piena di problemi e difficoltà, dovremmo vivere una vita da “incantati”, lasciandosi sorprendere e stupire. Non è vero che tutto è stabilito e deciso... il Signore viene e la sua presenza fa cambiare questa storia umana. Nel presepe c’è la notte, e questa rappresenta le notti della vita e della storia, che sono molte, ma c`è anche il giorno che è la vita, la vita umana che si incontra con la vita divina e viene trasformata.

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Oggi il presepe ci lascia tre messaggi. 

Il primo è quello che ci invita a cercare la volontà di Dio nella nostra vita esattamente come ha fatto Giuseppe, come ha fatto Maria che la volontà di Dio l’ha accettata e come hanno fatto tanti santi che ciascuno a modo loro hanno fatto la volontà di Dio.

Il secondo messaggio è quello che ci invita a imparare ad essere discepoli, a metterci sul cammino di Cristo che è il vero maestro e che sta al centro di tutto, anche se è un bambino avvolto in fasce. Da questo bambino e dalla sua fragilità dobbiamo imparare ad essere discepoli.

Il terzo messaggio è quello che ci invita ad essere evangelizzatori. Sarà il messaggio centrale del giorno dell’Epifania e dalla figura dei Magi... loro sono in cammino per incontrare il Signore e continuano il cammino per portarlo lontano e portarlo a tutti. 

Anche noi allora davanti al presepe impariamo a fare la volontà di Dio; mettiamoci in cammino come veri discepoli che vanno a imparare il vangelo da Gesù Cristo e sentiamoci evangelizzatori e missionari perché questa gioia, questa bellezza e questo stupore non può rimanere soltanto per noi ma dobbiamo in qualche maniera raccontarlo agli altri, prima di tutto con la nostra vita. San Francesco diceva ai suoi frati... andate nel mondo ad annunciare il vangelo e se è necessario fatelo anche con le parole...

* P. Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata. Riflessione fatta in occasione del pellegrinaggio comunitario a Greccio, luogo nel quale San Francesco ha creato, nella notte di natale del 1223, il primo presepe della storia.

Lettera Apostolica Admirabile signum

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