Nella Messa crismale del Giovedì Santo Francesco riscopre la bellezza della compunzione e del farsi trafiggere dal pentimento: un pianto amaro può cambiare la vita, ogni rinascita interiore nasce sempre dall'incontro tra nostra miseria e la sua misericordia.

Il cuore, “senza pentimento e pianto, si irrigidisce”. Prima “diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone”, poi, “freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza infrangibile” e infine diventa “cuore di pietra”. “Come la goccia scava la pietra”, tuttavia, “così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti”. È il miracolo, “della buona tristezza che conduce alla dolcezza”, sottolinea Papa Francesco, rivolgendosi ai circa 4 mila fedeli, tra cui 1.500 sacerdoti, giunti nella Basilica di San Pietro per la Messa Crismale del giovedì Santo da lui celebrata con il cardinale vicario Angelo De Donatis all'altare.

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Il pianto amaro che consente di riscoprire l’amore

Un pianto amaro, infatti, può cambiare la vita. Come nella sinagoga di Nazareth i compaesani di Gesù “persero l’occasione della vita” cacciando Cristo fuori dalla città perché aveva smascherato le loro false aspettative, così Pietro all’inizio non prestò fiducia alle parole del Signore, lo “perse di vista” e lo rinnegò al canto del gallo. Solo dopo aver incrociato il Suo sguardo, gli occhi del primo tra gli apostoli “furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle”. Pietro si aspettava “un Messia politico, potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza” disse di non conoscerlo. Aveva ragione, ribadisce il Papa. Lo conoscerà veramente solo quando si lascerà pienamente attraversare dal suo sguardo” e fece spazio alle lacrime della vergogna e del pentimento.

La guarigione del cuore di Pietro, la guarigione dell’Apostolo, la guarigione del Pastore avvengono quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare da Gesù: passano attraverso le lacrime, il pianto amaro, il dolore che consente di riscoprire l’amore.

La riscoperta della compunzione

Per spiegare questo fenomeno Francesco sceglie di riscoprire una parola che lui stesso definisce un po’ desueta: la compunzione. Un concetto che evoca “il pungere”. La compunzione è infatti “una puntura del cuore”, una “trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento”, come quelle scaturite dagli abitanti di Gerusalemme quando Pietro, il giorno di Pentecoste, proclamò loro di aver crocifisso il Signore.

Ecco la compunzione: non è un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo.

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Attenzione all’ipocrisia clericale

“Piangere su noi stessi”, sottolinea il Papa, significa pentirsi seriamente “di aver rattristato Dio col peccato”, “riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito”, “ammettere di aver smarrito la via della santità”, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per noi.

È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia.

L’ipocrisia clericale, in cui la Chiesa scivola tanto e da cui bisogna stare attenti, avverte Francesco. Da lì poi si deve rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarsi commuovere dal suo amore “che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui” Così, afferma il Papa “le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.

Sono queste, pertanto, lacrime differenti da quelle chi si piange addosso,come spesso siamo tentati di fare”.

Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella secondo Dio.

L’antidoto alla sclerocardia

La compunzione - su cui insistono tanti maestri spirituali come San Benedetto, San Giovanni Crisostomo, Isacco di Ninive o l’Imitazione di Cristo - richiede infatti fatica, “ma restituisce pace”, “agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore”, che trasforma il cuore ammorbidito dalle lacrime”. È l’antidoto alla “sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù”. È il rimedio, perché ci riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere perdonati.

Nella vita spirituale chi piange matura

Ogni nostra rinascita interiore, infatti, “scaturisce sempre dall’incontro tra la nostra miseria e la sua misericordia” e passa attraverso la nostra povertà di spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci”. Francesco chiede poi ai suoi fratelli sacerdoti se “col passare degli anni, le lacrime aumentano”.

Sotto questo aspetto è bene che avvenga il contrario rispetto alla vita biologica, dove, quando si cresce, si piange meno di quando si è bambini. Nella vita spirituale, invece, dove conta diventare bambini, chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, matura. Si lega sempre meno a sé stesso e sempre più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio

Il Signore cerca chi piange i peccati della Chiesa

Un’altra caratteristica della compunzione è la solidarietà, perché “chi si compunge nel cuore si sente sempre più fratello di tutti i peccatori del mondo, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma con desiderio di amare e riparare”. Un cuore docile, infatti, “anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli piange per i loro peccati”. È una sorta di ribaltamento, in cui “la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventi fermi con sé stessi e misericordioso con gli altri.

Il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, Non è poesia questo, questo è sacerdozio!

In Dio una pace che salva dalla tempesta

Il Signore infatti, “non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano”. “Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo”, sottolinea ancora Francesco, “non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza della misericordia”.

Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie. E non temiamo: Lui ci sorprenderà!

A giovarne sarà proprio il ministero del sacerdozio: Oggi, in una società secolare, corriamo il rischio di essere molto attivi e al tempo stesso di sentirci impotenti, col risultato di perdere l’entusiasmo ed essere tentati di “tirare i remi in barca”, di chiuderci nella lamentela - guai delle lamentele - e far prevalere la grandezza dei problemi sulla grandezza di Dio. Se ciò avviene, diventiamo amari e piangenti, sempre sparlando, sempre trovando qualche occasione per lamentarsi. Ma se invece l’amarezza e la compunzione si rivolgono, anziché al mondo, al proprio cuore, il Signore non manca di visitarci e rialzarci.

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Allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore

Infine, Francesco ricorda che la compunzione è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera. Due quindi i consigli del Papa per i suoi confratelli. Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, ma nell’insieme del passato – ricordando la fedeltà di Dio, facendo memoria del suo perdono e ancorandosi al suo amore – e del futuro – pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza. Allargare gli orizzonti, infatti “aiuta a dilatare il cuore” , “a rientrare in sé stessi con il Signore” e a “vivere la compunzione”. Il secondo consiglio è quello di dedicarsi “a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata”. L’invito è sempre quello di tornare a San Pietro e alle sue lacrime, conclude il Papa, che ringrazia i sacerdoti presenti per il cuore aperto e docile, per le fatiche e i pianti e per portare la meraviglia della misericordia “ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo”.

Un libro in dono ai sacerdoti

Al termine della Messa è stato offerto a ciascuno dei sacerdoti il libro di Papa Francesco dal titolo "Sul discernimento - Con un saggio di Miguel Àngel Fiorito e Diego Fares", a cura di padre Antonio Spadaro, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane Bologna.

* Fonte: Vatican News

Appello all’Angelus per i due Paesi africani. Francesco si unisce alla preghiera di pace dei vescovi congolesi auspicando “un dialogo sincero e costruttivo”, mentre chiede un impegno in Nigeria per arginare “il più possibile” l’aumento dei sequestri di persona. Dal Pontefice vicinanza alla Mongolia colpita da un’ondata di freddo estremo, “segno della crisi climatica”: “Intraprendere scelte sagge e coraggiose per contribuire alla cura del creato”

È uno sguardo intriso di angoscia quello che Papa Francesco rivolge all’Africa, dove aumentano le violenze nella Repubblica Democratica del Congo e dove cresce il numero di persone rapite in Nigeria. Al termine dell’Angelus, il Papa menziona i due Paesi lanciando appelli di dialogo e pace.

Seguo con preoccupazione l’aumento delle violenze nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Mi unisco all’invito dei Vescovi a pregare per la pace, auspicando la cessazione degli scontri e la ricerca di un dialogo sincero e costruttivo

Popolazioni in fuga 

Proprio ieri mattina, 24 febbraio, nella cattedrale di Notre Dame du Congo a Kinshasa, il cardinale arcivescovo Fridolin Ambongo ha celebrato una Messa per invocare la pace nel Paese, al termine della quale ha recitato la “preghiera per la pace”. È l’orazione che i vescovi della Conferenza episcopale nazionale (Cenco) hanno suggerito di pronunciare alla fine di ogni celebrazione eucaristica a partire da domenica 18 febbraio 2024.

Il Paese vede consumarsi intensi combattimenti tra l'esercito congolese e il gruppo armato M23. La città di Sake è uno degli epicentri, colpita nelle scorse settimane da bombe che hanno provocato morti e feriti e che hanno costretto la popolazione a spostarsi per trovare rifugio altrove, in particolare a Goma, nella parte orientale del Paese. Ma pure nel Nord Kiwu proseguono le violenze che hanno costretto oltre 133 mila persone a fuggire, secondo un rapporto Oxfam che denuncia condizioni inimmaginabili per i rifugiati senza un solo bagno a disposizione né acqua potabile, col rischio di ammalarsi di colera e di malnutrizione per i bambini.

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Violenze nell'est della Repubblica Democratica del Congo

Arginare i rapimenti

Una tragedia vera e propria, come quella che si registra in Nigeria, dove, ha detto il Papa dalla finestra del Palazzo Apostolico, “destano apprensione i sempre più frequenti rapimenti”.

Esprimo al popolo nigeriano la mia vicinanza nella preghiera, auspicando che ci si impegni affinché il dilagare di questi episodi sia arginato il più possibile

L'appello del Dicastero per l'Evangelizzazione

Il fenomeno dei sequestri nel Paese africano ha visto un drammatico aumento negli ultimi mesi. Dal maggio 2023 e dall’inizio del mandato del presidente Bola Ahmed Tinubu, l’impresa di consulenza sulla gestione del rischio SBM Intelligence ha registrato il rapimento di 3.964 persone. Sono sequestri di massa, come quello nella capitale federale Abuja, dove l’11 gennaio sono state rapite oltre 10 persone, tra cui una 13 enne uccisa per il mancato pagamento del riscatto, oppure sequestri di singole persone o ancora di famiglie, come quella di Mansoor Al-Kadriyar, rapito insieme a sei delle sue figlie e successivamente liberato per potere pagare 50 milioni di naira (35.336 dollari) per il rilascio delle ragazze. Una di queste peraltro uccisa a causa del mancato pagamento della somma richiesta.

Sull’emergenza è intervenuto il Dicastero per l’Evangelizzazione, tramite una lettera a firma del cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto per la Sezione per la prima evangelizzazione, e il segretario nigeriano monsignor Fortunatus Nwachukwu, in una lettera al presidente della Conferenza Episcopale nigeriana. “Nulla può giustificare il crimine del rapimento. Violenze fisiche e torture mentali minano i pilastri dell'armonia civile e sociale”, si leggeva nella missiva, pubblicata dall’Agenzia Fides, nella quale si chiedeva al governo della Nigeria di “agire rapidamente per affrontare questa minaccia e fermare la crisi in atto” e di “adottare misure per proteggere vite umane e proprietà”.

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Aumentati i rapimenti in Nigeria

Freddo intenso in Mongolia

Dall’Africa all’Asia, la vicinanza del Papa va alla Mongolia, Paese centroasiatico che il Pontefice ha visitato nel settembre del 2023 e che ora sta vivendo un inverno particolarmente duro, con le nevicate più intense registrate dal 1975. Il‍ governo di Ulaan Baatar ha ​riferito di decessi e della perdita di oltre a 660 mila capi di bestiame a causa del freddo intenso e delle tempeste di neve. “Sono vicino pure alla popolazione della Mongolia, colpita da un’ondata di freddo intenso, che sta provocando gravi conseguenze umanitarie”, dice infatti Francesco, sottolineando che “anche questo fenomeno estremo è un segno del cambiamento climatico e dei suoi effetti”. Da qui un altro appello a non dimenticare la nostra Casa comune.

La crisi climatica è un problema sociale globale, che incide in profondità sulla vita di molti fratelli e sorelle, soprattutto sui più vulnerabili: preghiamo per poter intraprendere scelte sagge e coraggiose per contribuire alla cura del creato.

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Neve in Mongolia

Fonte: Vatican News

Dopo l'Angelus, Francesco lancia i suoi appelli alla fine della violenza in Sudan, dove chiede di fermare un conflitto che “ha provocato una gravissima situazione umanitaria”, e nel Nord del Mozambico. Il pensiero all’Ucraina e alla Palestina. Nel pomeriggio l’inizio degli esercizi spirituali con l’invito ai fedeli, in questo tempo di Quaresima e di preparazione al Giubileo, “a dedicare momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore”

La violenza che da dieci mesi devasta il Sudan e che dilaga in Mozambico, e poi conflitti che insanguinano le altre parti del mondo, come la Palestina e l’Ucraina. Sono questi la dimostrazione che “la guerra è una sconfitta”. Francesco non smette di ripeterlo e lo fa anche oggi, nei saluti dopo la recita dell’Angelus, nella prima domenica di Quaresima.

Non dimentichiamo: la guerra sempre è una sconfitta, sempre. Ovunque si combatte le popolazioni sono sfinite, sono stanche della guerra, che come sempre è inutile e inconcludente, e porterà solo morte, solo distruzione, e non porterà mai la soluzione del problema. Preghiamo invece senza stancarci, perché la preghiera è efficace, e chiediamo al Signore il dono di menti e di cuori che si dedichino concretamente alla pace.

L'appello per il Sudan 

L’appello del Papa è rivolto al Sudan, dove il 15 aprile del 2023 è iniziato un conflitto che vede contrapposti l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare conosciuto come RSF, le "Forze di supporto rapido" e che, dice Francesco, “ha provocato una gravissima situazione umanitaria”.

Chiedo di nuovo alle parti belligeranti di fermare questa guerra, che fa tanto male alla gente e al futuro del Paese. Preghiamo perché si trovino presto vie di pace per costruire l’avvenire del caro Sudan.

La violenza in Mozambico

Lo sguardo del Pontefice resta in Africa, si sposta sul Nord del Mozambico, anche questa un’area destabilizzata dalla violenza delle milizie armate.

La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze. Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata.

Dedicarsi al raccoglimento

La voce di Francesco si estende dal Sudan e dal Mozambico a tutti gli altri conflitti che insanguinano il continente africano e le altre parti del mondo, come in Europa quello in Ucraina, e quello in Palestina. Nel congedarsi dai fedeli, e salutando i presenti in piazza provenienti da diverse parti del mondo, tra loro anche coltivatori e allevatori, il Papa ricorda che da oggi pomeriggio, inizierà gli esercizi spirituali “con i collaboratori della Curia”, e invita tutti i fedeli “in questo tempo di Quaresima e lungo quest’anno di preparazione al Giubileo, che è Anno della preghiera, a dedicare momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore”.

* Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano. Fonte: Vatican News

Vatican News parla da oggi anche la lingua del Paese asiatico, visitato dal Papa lo scorso settembre. L’idioma è il 52.mo che si si aggiunge agli altri già presenti, tra scritto e parlato, grazie ad una collaborazione con la Chiesa locale. Verranno tradotti e pubblicati sulle pagine del portale vaticano tutti gli Angelus domenicali e le catechesi del mercoledì

Rivolgersi alle periferie del mondo, alle comunità più remote, è nel DNA della Radio Vaticana fin dal primo messaggio radiofonico di Papa Pio XI nel 1931. Dopo aver aggiunto negli ultimi anni al sito Vatican News il coreano, l'ebraico e il macedone, alle 51 lingue già presenti nel sito si aggiunge ora il mongolo. “Siamo felici di questa nuova possibilità di poter leggere le parole del Santo Padre in mongolo – sottolinea il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar -. E' uno dei frutti della sua recente visita nella terra dall'eterno Cielo blu, che ha toccato il cuore dei cattolici mongoli, ma anche quello di tante persone di altre convinzioni religiose, positivamente impressionate dalla grande testimonianza umana e spirituale di Papa Francesco. ‘Le sue parole ci sono entrate dentro’ – ribadisce il porporato -, hanno commentato in molti, ‘mettendo in risalto i valori della nostra tradizione’. Ora il magistero ordinario del Successore di Pietro è disponibile in lingua mongola. Un nuovo strumento a servizio dell'evangelizzazione, che ci auspichiamo dispieghi tutto il suo potenziale attraverso i canali odierni della comunicazione”.

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Il cardinale Giorgio Marengo presenta al Papa alcuni malati ospiti della Casa della Misericordia in Mongolia. Foto: OSV

“E’ una piccola cosa - afferma il Prefetto del dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini - che a noi però sembra ed è grande quanto grande è la Mongolia. Parlare tutte le lingue, il maggior numero di lingue possibile, è la nostra missione, il nostro servizio.  Farlo non da soli, ma con chi vive nei territori dove arriva la nostra parola ci reinsegna l’importanza di affrontare le sfide insieme, di camminare insieme, di fare «cose grandi» nella fatica quotidiana di cose apparentemente piccole. Passo dopo passo. Nella Chiesa - rimarca Ruffini - non c’è grande e non c’è piccolo. Parlare anche il Mongolo aiuterà la Chiesa tutta a riscoprire l’importanza del piccolo, dei piccoli semi. E’ più quello che riceveremo di quello che daremo. Come spesso ripete Papa Francesco, la rivelazione di Dio avviene nella piccolezza: «Lo Spirito sceglie il piccolo, sempre; perché «non può entrare nel grande, nel superbo, nell’autosufficiente».

“Il viaggio in Mongolia del settembre 2023 è stato straordinario - precisa il Direttore Editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli - per la testimonianza che tutti noi abbiamo ricevuto da quella Chiesa piccola e ancora nascente, dedita al servizio del prossimo. È rimasta storica la foto fatta dal drone con il Successore di Pietro insieme a tutti i cattolici del Paese, che sono 1.500. Come segno di attenzione a questa piccola comunità, per favorire la comunione, grazie alla collaborazione del cardinale Marengo, abbiamo pensato di aprire una pagina di Vatican News in lingua mongola, portando così per il momento a 52 le lingue usate dal sistema dei media vaticani. È un omaggio a questi nostri fratelli e alla loro testimonianza evangelica in Mongolia".

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“La nostra missione è diffondere il Vangelo in tutto il mondo, dare voce alle Chiese locali, leggere i fatti attraverso la lente della dottrina sociale, non lasciare mai nessuno da solo – evidenza Massimiliano Menichetti, Responsabile di Radio Vaticana Vatican News -. Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto durante il viaggio del Papa in Mongolia, ispirati proprio dal Suo sostenere questa piccola comunità. Abbiamo iniziato a pubblicare sul portale Vatican News, ma più avanti potrebbe esserci anche una produzione in audio. Stiamo lavorando a modelli sinergici con le Chiese locali, proprio per dare sempre più voce a quella speranza che cambia il mondo”.

Fonte: Vatican News

“L’ evangelizzazione” è “un andare instancabile verso tutta l’umanità” per invitare tutti “alla festa del Signore”. La festa della “salvezza finale nel Regno di Dio”, iniziata nel tempo “con la venuta di Gesù”. Una salvezza a cui sono invitati “tutti”, a partire dai poveri, “senza escludere nessuno”.

Questo è ciò che chiede Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2024. Francesco sottolinea che il “dramma della Chiesa” è che Cristo “continua a bussare alla porta, ma dal di dentro, perché lo lasciamo uscire”: l'annuncio del Vangelo è urgente e universale, ma va fatto con “gentilezza”, senza forzature né proselitismi.

Il messaggio, diffuso il 2 febbraio, porta la data del 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo, e prende il titolo da un versetto del Vangelo di Matteo: “Andate e invitate al banchetto tutti” (Mt 22, 9) contenuto nella parabola del banchetto nuziale in cui, dopo che gli invitati hanno rifiutato l’invito, il re dice ai suoi servi: “Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.

Leggi qui il testo integrale del Messaggio per la GMM 2024.

Quest’anno, la Giornata Missionaria Mondiale si celebra domenica 20 ottobre e si colloca nella fase finale del percorso sinodale che “dovrà rilanciare la Chiesa verso il suo impegno prioritario, cioè l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”, scrive papa Francesco.

Il Santo Padre sottolinea tre aspetti importanti contenuti nel versetto del Vangelo che dà il titolo al Messaggio: “Essi si rivelano particolarmente attuali per tutti noi, discepoli-missionari di Cristo”.

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5° Congresso Missionario Americano a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia nel 2018.

Andate e invitate

La prima espressione su cui si sofferma nella riflessione è “Andate e invitate!”, ovvero “La missione come instancabile andare e invitare alla festa del Signore”: “Questo ci dice – commenta papa Francesco – che la missione è un andare instancabile verso tutta l’umanità per invitarla all’incontro e alla comunione con Dio. Instancabile!”. Con questo insegnamento il Santo Padre esorta la Chiesa a continuare “ad andare oltre ogni confine, ad uscire ancora e ancora senza stancarsi o perdersi d’animo di fronte a difficoltà e ostacoli, per compiere fedelmente la missione ricevuta dal Signore”.

Il Banchetto

La seconda espressione che papa Francesco sottolinea è la meta dell’invito, cioè il “Banchetto” che descrive come “La prospettiva escatologica ed eucaristica della missione di Cristo e della Chiesa”. Il “banchetto” citato riflette quello escatologico, è immagine della salvezza finale nel Regno di Dio, simboleggiata dalla mensa imbandita “di cibi succulenti, di vini raffinati”, quando Dio “eliminerà la morte per sempre” (Is 25,6-8).

“Tutti”

Infine, la terza espressione, quel “Tutti” a cui si aggiunge il titolo “La missione universale dei discepoli di Cristo e la Chiesa tutta sinodale-missionaria”. La riflessione riguarda i destinatari dell’invito del re. “Questo – dice papa Francesco – è al cuore della missione: quel “tutti”. Senza escludere nessuno. Tutti. Ogni nostra missione, quindi, nasce dal Cuore di Cristo per lasciare che Egli attiri tutti a sé”, cioè “tutte le persone di ogni condizione sociale o anche morale”.

Le Pontificie Opere Missionarie

Il Papa Francesco fa una raccomandazione esplicita a tutte le diocesi del mondo perché tengano a cuore il servizio delle Pontificie Opere Missionarie che costituiscono i mezzi primari “sia per infondere nei cattolici, fin dalla più tenera età, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire una adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le necessità di ciascuna”.

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Il Padre Fernando Florez, IMC, visita la comunità indigena di Puerto Refugio sulle rive del fiume Putumayo nel Peru.

La preghiera

Nell'anno dedicato alla preghiera, in preparazione al Giubileo del 2025, il Vescovo di Roma invita tutti a “intensificare anche e soprattutto la partecipazione alla messa e la preghiera per la missione evangelizzatrice della Chiesa”. E ricorda anche che il cammino sinodale condiviso dalle comunità ecclesiali in tutti i Continenti è stato intrapreso con l’intento primario di “rilanciare tutta la Chiesa verso il suo impegno maggiore dell'evangelizzazione nel mondo contemporaneo”.

I missionari e le missionarie

Nel testo, il Papa Francesco ringrazia “i missionari e le missionarie che, rispondendo alla chiamata di Cristo, hanno lasciato tutto per andare lontano dalla loro patria, per portare la buona notizia di Dio là dove la gente ancora non l'ha ricevuta o l’ha accolta da poco”. La loro vita è “espressione tangibile dell’impegno della missione ad gentes che Gesù ha affidato ai suoi discepoli”.

Il Messaggio è disseminato anche di richiami e indicazioni per orientare in chiave missionaria le dinamiche della vita ecclesiale.

* Con informazione della'Agenzia Fides

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