Il primo gruppo di Missionari della Consolata arrivò a Boa Vista, allora capitale del Territorio Federale di Rio Branco e attuale stato di Roraima, il 14 giugno 1948 per sostituire i monaci benedettini. I pionieri furono José Nepote Fus, amministratore apostolico della Prelatura, Mario Chiabrera, Zeferino Fastro, Antônio Maffei, Marco Lonatti e Ricardo Silvestri.

Un nuovo stile di missione

“I missionari della Consolata, arrivati nel 1949, iniziarono un nuovo stile di evangelizzazione", sottolinea il testo della storia dei 300 anni della Chiesa di Roraima.

I missionari, sacerdoti e fratelli, e le missionarie si dedicarono all'evangelizzazione e alla promozione umana, formando leader cristiani, costruendo chiese, case di missione, scuole, ospedali e altre strutture.

È importante sottolineare che una delle azioni prioritarie in tutta questa storia è stato l'avvicinamento e l'accompagnamento delle popolazioni indigene presenti nella regione per mezzo del quale si rispondeva alle esigenze e alle nuove sensibilità pastorali. 

I Missionari ebbero un ruolo importante nell’organizzazione del movimento indigeno e il loro accompagnamento è stato decisivo per la demarcazione e l'omologazione di Terre Indigene come il Territorio Indigeno di São Marcos (1991), il Territorio Indigeno Yanomami (1992) e il Territorio Indigeno Raposa Serra do Sol (2005).

La storia dei 75 anni di presenza dei Missionari della Consolata in Roraima è stimolante e mostra il senso della missione incarnata nella realtà, come testimonianza profetica impegnata nella difesa dei popoli indigeni contro l'invasione di garimpeiros (minatori, cercatori d’oro), allevatori e agricoltori. 

I due vescovi della Consolata, Servilio Conti (1915-2014) e monsignor Aldo Mongiano (1919-2021), insieme a molti missionari, sono stati importanti per il recupero della dignità delle popolazioni indigene.

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La Consolata nella Pan-Amazzonia

Nei decenni successivi, questo percorso missionario, iniziato in Brasile, ha guadagnato nuove presenze e azioni missionarie nell'Amazzonia colombiana (1951), venezuelana (2006), ecuadoriana (2008) e peruviana (2011).

Lungo questo percorso, i Missionari della Consolata sono stati parte della storia e dei processi locali, nazionali e panamazzonici, e sono stati presenti nel processo di fondazione della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM) nel 2014.

Varie pratiche, riflessioni e incontri hanno favorito che l'opzione per l'Amazzonia e i suoi popoli, specialmente quelli indigeni, fosse confermata come parte concreta del "Progetto Missionario per il Continente Americano" dei Missionari della Consolata, elaborato nel 2018.

Così, in questo giubileo, i Missionari della Consolata ricordano con gratitudine la strada percorsa, celebrano con gioia questo momento e progettano con speranza il futuro della nostra missione in Amazzonia.

* Julio Caldeira è missionario della Consolata in Amazzonia.

Nell'ambito del XIV Capitolo Generale, dal 17 al 21 giugno, i missionari capitolari hanno compiuto un pellegrinaggio alle fonti del carisma della loro comunità in Piemonte. I Missionari e le Missionarie della Consolata furono fondati dal Beato Giuseppe Allamano, rispettivamente nel 1901 e nel 1910, ai piedi del Santuario della Vergine della Consolata patrona della città di Torino.

Questa parentesi piemontese del Capitolo Generale é stata occasione per affidare l'Istituto alla protezione della Madonna Consolata e del Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano e per Rinnovare la vita e la missione alle fonti originarie del carisma.

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A Castelnuovo si conserva la casa dove nacque Giuseppe Allamano e poco distante (foto sotto) anche quella dove nacque San Giuseppe Cafasso che era suo zio materno

Castelnuovo

A 40 km da Torino si trova el paese di Castelnuovo. Anticamente chiamato Castelnuovo d'Asti oggi, in onore al più noto dei suoi santi, si chiama Castelnuovo Don Bosco e precisamente in quel paese dell’astigiano nacque, il 21 gennaio 1851, il beato Giuseppe Allamano.

La prima parte della visita è stata alla casa natale del Fondatore che si trova nella parte bassa del centro storico di Castelnuovo. Giuseppe Allamano era il quarto dei cinque figli del matrimonio di Giovanni Allamano e Maria Anna Cafasso, che vissero in quella casa nell'Ottocento. Oggi questa bella residenza di famiglia contadina è diventata meta di pellegrinaggi con un itinerario che riproduce in gran parte la vita dei primi anni di Giuseppe Allamano.

Situata in un piccolo vicolo lontano dal corso principale, troviamo una porta ad arco, tipica della campagna piemontese, che si apre sul cortiletto e la casa. Nel cortile c'è un pozzo e un piccolo giardino e sul fondo la casa di tre piani.

Al piano terra, a sinistra delle scale, si trova la cucina con il camino il cui fuoco, oltre a cucinare, serviva a riscaldare gli ambienti della casa e a destra, c’era la stalla che oggi è stata trasformata in cappella.

Al centro la scala conduce al piano successivo della casa, dove si trovavano le camere da letto. La prima stanza a destra è quella dove nacque Giuseppe Allamano ed è ancora arredata con mobili d'epoca. Poi in altre sale sono esposti alcuni oggetti usati da Giuseppe Allamano oltre ai resti della bara che ha custodito il suo corpo fino al 1990, anno della sua beatificazione. 

Nella parte altra della casa, come in tutte le case contadine dell’epoca, c'era il fienile. In questo spazio originariamente aperto sono allestite mostre fotografiche che illustrano la vita e la missione nei diversi continenti, nonché l'organizzazione della famiglia della Consolata. 

Nell'ultima stanza si trova la stanza dove soggiornava San Giuseppe Cafasso quando visitava la famiglia. La sua casa natale è poco distante, e la troviamo risalendo la piazza principale di Castelnuovo in direzione della chiesa parrocchiale: lui, zio materno di Giuseppe Allamano, nacque il 15 gennaio 1811

Questo santo sacerdote, definito da Pio XI "la perla del clero italiano", dedicò il suo ministero alla formazione dei giovani sacerdoti, all'insegnamento della teologia morale, alla pastorale tra i carcerati e i condannati a morte, e fu di supporto a varie iniziative sociali e pastorali della chiesa di Torino e del Piemonte in quegli anni. Morì a Torino il 23 giugno 1860, a soli 49 anni, e fu proclamato santo nel 1947.

L’ultima parte della Visita è stata fatta nella chiesa di Sant’Andrea, dove nel 1851 fu battezzato il beato Giuseppe Allamano, nello stesso fonte battesimale nel quale anni prima furono battezzati gli atri due santi dell’ottocento di Castelnuovo: Giovanni Bosco e lo zio Giuseppe Cafasso.

In questa stessa chiesa l'Allamano fece la sua prima confessione e comunione ed esattamente 150 anni fa, all'altare dell'Addolorata, celebrò la sua prima messa il 21 settembre 1873.

I capitolari, alla presenza di alcuni parenti e fedeli di Castelnuovo, hanno celebrato l’eucaristia presieduta da padre Michelangelo Piovano, Vice-Superiore Generale.

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Alpignano

Una parte importante della visita si è svolta ad Alpignano, a 20 km da Torino, dove si trova la casa dei missionari anziani e bisognosi di cure mediche. In questa comunità risiede un gruppo di 28 missionari che hanno lavorato in diverse missioni in Africa, America ed Europa.

Momento centrale dell'incontro è stata la celebrazione eucaristica, presieduta dal nuovo Superiore Generale, P. James Lengarin, che ha ringraziato Dio per il dono di questi uomini che ora accompagnano l’impegno missionario con la preghiera, che è la parte essenziale dell’Evangelizzazione.

È stato bello condividere il pane eucaristico con questi missionari che con la loro vita hanno marcato la storia delle nostre missioni e continuano ad essere fonte di ispirazione per continuare a costruire con fedeltà e audacia la storia del nostro impegno missionario.

Torino, Casa Madre

A Torino, in corso Ferrucci, c'è la Casa Madre, dove i capitolari hanno avuto la possibilità di condividere con i missionari residenti e in visita la gioia della missione e la bella storia del loro impegno missionario.

I Missionari della Consolata, fondati il 29 gennaio 1901, ebbero come prima sede un edificio sito al civico 49 di Corso Duca di Genova, che allora era familiarmente conosciuto con il nome di “Consolatina" ma pochi anni dopo l'edificio divenne troppo piccolo per accogliere le numerose vocazioni e così nel 1905 fu costruita la nuova "Casa Madre" che poteva ospitare 150 studenti, tra seminario minore, noviziato e seminario maggiore.

In parte di questo edificio originale operano ancora oggi vari servizi: la rivista Missioni Consolata, fondata dai Giuseppe Allamano e Giacomo Camisassa nel 1899; il Museo Etnografico IMC e il nuovo Centro di Missione e Cultura; l'accoglienza dei missionari che vengono a “bere alle sorgenti del carisma”. In questa stessa casa si trova la sede della Regione Europa.

Nello stesso isolato si trova anche la Casa Madre delle Missionarie della Consolata, che furono fondate il 29 gennaio 1910. Anche loro ebbero come prima sede la "Consolatina", divenuta in poco tempo insufficiente per ospitare tutti, e allora nel 2014 iniziò la costruzione della loro Casa Madre nel lotto che era rimasto vuoto a nord della casa dei Missionari e che era utilizzato come orto.

In questa casa si mantiene viva gran parte della storia del Fondatore e della missione delle Missionarie: alcuni luoghi emblematici sono la “stanza verde”, dove il Fondatore parlava personalmente con ogni suora, e l'auditorium, dove la domenica mattina teneva le suggestive conferenze.

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La cappella del Beato Giuseppe Allamano nella Casa Madre

Nella Cappella Beato Giuseppe Allamano, situata nella parte meridionale della Casa Madre, sono conservate le tombe del Beato Giuseppe Allamano e del cofondatore Giacomo Camisassa, nonché le reliquie delle beate Missionarie della Consolata Irene Stefani e Leonella Sgobarti.

Giuseppe Allamano morì il 16 febbraio 1926 e il suo corpo fu allora sepolto nella cripta riservata ai canonici. Fu nel 1938 quando venne trasportato nell’attuale cappella a lui dedicata in Casa Madre dove lo raggiunsero, nel 2001, i resti del suo collaboratore Giacomo Camisassa. Con la sua beatificazione nel 1990 questo è diventato un luogo di pellegrinaggio dove il suo esempio irradia un rinnovato fervore nella fede e nella missione.

Giuseppe Allamano, sacerdote diocesano di Torino e rettore del Santuario della Consolata per 46 anni, si è dedicato a “essere straordinario nelle cose ordinarie”. Ha trasformato la routine quotidiana del suo ministero sacerdotale in un cammino di santità, essendo strumento di consolazione per tutti coloro che cercavano la via del ritorno a Dio.

Allo stesso tempo, si occupava di promozione sociale e culturale, compresi i media. Animato da una viva coscienza della missione universale della Chiesa, fondò i Missionari della Consolata per portare al popolo la vera "consolazione": Gesù, figlio di Maria.

Il santuario della Consolata

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Il santuario della Consolata e, sotto, una immagine della processione dello scorso 20 giugno

Il giorno della festa della Consolata, il 20 giugno, i capitolari hanno celebrato la mattina nella chiesa del Beato Allamano e il pomeriggio nel Santuario della Consolata. Entrambe le celebrazioni sono state presiedute dal Superiore Generale, P. James Lengarin, con la partecipazione di decine di missionari, laici e devoti della Consolata.

Nel pomeriggio si è svolta una massiccia processione per le vie del centro di Torino, accompagnata da canti, preghiere e anche la proclamazione di pensieri scritti da Giuseppe  Allamano in onore di Maria Consolata. Situato nella "via consolata" il Santuario è uno dei luoghi di culto più antichi e frequentati di Torino e del Piemonte.

Giuseppe Allamano fu rettore del Santuario della Consolata dal 1880 fino alla sua morte avvenuta nel 1926. Coltivò personalmente e nei fedeli che frequentavano il santuario una grande devozione a Maria, una devozione che diffuse grandemente anche fuori del Santuario stesso. Ai suoi missionari ha lasciato questa eredità spirituale: “Dobbiamo sentire il santo orgoglio che il nostro Istituto è “della Consolata”. Sforziamoci di meritarci sempre di più il bel titolo che ci è stato dato: siamo  della Consolata. Dobbiamo ritenerci fortunati a portare questo nome”.

“La Vergine è una sola anche se ha molti titoli ma noi siamo specialmente devoti del titolo di Consolata. Lei è la nostra tenerissima Madre, che ci ama come la pupilla dei suoi occhi, che ha concepito il nostro Istituto, che lo sostiene materialmente e spiritualmente anno dopo anno; sempre pronta a soddisfare tutte le nostre esigenze. La nostra vera Fondatrice è la Consolata”.

“Dobbiamo rivolgerci a lei durante questa festa come ci si rivolge a una madre. Se celebriamo con intenso amore tutte le feste della Vergine, dobbiamo fare molto di più in questa che è la “nostra” festa, nostra in modo specialissimo”.

* P. Julio Caldeira IMC, padre capitolare, è missionario nell'Amazzonia brasiliana, al servizio della Rete Ecclesiale Panamazzonica – REPAM.

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Messaggio finale del XIV Capitolo Generale

Trentatre giorni vissuti insieme, un corpo solo! Missionari giunti dai diversi luoghi della Missione, impegnati a conoscersi, attraverso il racconto personale proprio e dei tanti che hanno rappresentato, attraverso la condivisione dei cammini belli e dei percorsi che ancora sfidano a camminare per andare "oltre". La diversità delle provenienze ha, però, lasciato presto spazio a quella capacità di riconoscersi, tutti, Missionari della Consolata.

Sì, è stato facile riconoscersi e dirsi che siamo fratelli oltre ogni differenza: fratelli nell'ispiratrice, la nostra madre Consolata; fratelli nell'ispirato, il nostro padre e fondatore, Beato Giuseppe Allamano; fratelli nell'ispirazione, quel carisma ad gentes, novità che non tramonta.

Il Capitolo, infatti, ha voluto confermare ancora una volta la scelta della missione ad gentes, nella sua specificità e nella molteplice fantasia dell’amore che si dona.

Ad gentes che in questi giorni abbiamo accolto con commozione dalle parole e testimonianza di chi, tra le lacrime, ci raccontava della sua gente in Venezuela che non ha di che mangiare o di chi nel Congo, in Mozambico e in Ucraina continua a morire e a subire violenza a causa di guerre di cui non si vede mai la fine. Di chi, come profugo, arriva in Marocco stanco, ferito e sfinito dopo un lungo cammino. E, come queste, tante altre sofferenze tra le quali siamo presenti essendo chiamati a fermarci per ascoltare, per sederci accanto, per servire con semplicità ed essere presenza che annuncia Gesù con gesti di vita, con l’ascolto e la parola.

Più volte ci siamo detti che dobbiamo anche “prenderci cura” di ogni missionario in tutto l’arco della sua vita con un progetto di formazione continua. Occorre aiutare ognuno a camminare verso la sua pienezza di vita e di donazione, partendo da una relazione viva con Cristo, per “essere” prima che “per fare”, dove santità e missione si fondono ed esprimono la nostra identità e carisma.

Con gratitudine abbiamo volto lo sguardo al passato della nostra vita e della nostra storia scritta con la dedicazione ed il sacrificio di tanti nostri confratelli e di quelli che oggi continuano ed essere per noi di stimolo ed esempio “completando nella loro carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

Con voi, guardiamo al presente con passione e con quella gioia nella quale il Papa ci ha chiesto di camminare, in comunità chiamate ad essere in uscita e in mezzo alla gente con la forza del nostro carisma e la ricchezza delle nostre culture e in comunione con le Missionarie della Consolata ed i Laici.

Guardiamo, inoltre, al futuro con speranza al vedere ancora tanti giovani che vogliono dare la loro vita per l’annuncio del vangelo e tanti altri dei quali vogliamo prenderci cura nel servizio pastorale e di animazione missionaria e vocazionale.

La Solennità della nascita di S. Giovanni Battista, il precursore, è occasione propizia a conclusione di questo nostro XIV Capitolo Generale. Con lui e come lui sappiamo accogliere il Vangelo perché desiderosi di giustizia e di libertà. Con lui e come lui non ci poniamo come l'esempio perfetto da seguire, ma rimaniamo aperti al futuro, indicandolo, Gesù Cristo.

La lettera di saluto di Padre Stefano Camerlengo ai Missionari della Consolata alla fine del suo servizio come Superiore Generale

Come sono belli i piedi! «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7)

“Noi non dobbiamo avere la mania di possedere molti territori di missione, ma la preoccupazione di curarli molto!”. “Bisogna aver cura del buon nome dell’Istituto e dei suoi membri, facendo attenzione alle singole persone dei missionari come figli in casa propria e a proprio agio!” (Beato Giuseppe Allamano).

Missionari carissimi, al termine del mio mandato al servizio dell’Istituto, vorrei ringraziare tutti e ciascuno di voi per il cammino vissuto assieme e chiedere perdono per quello che non sono riuscito ad essere e a fare, per quello di cui non mi sono preso cura, per quello che ho trascurato, e infine per il fratello che non ho saputo accompagnare e abbracciare.

È stata una grande grazia poter servire il mio Istituto che amo. Ho ricevuto molto di più di quanto abbia potuto dare. Posso, sinceramente e onestamente, affermare di aver cercato di vivere il mio servizio intensamente e il meno indegnamente possibile. Ce l’ho messa tutta e quello che non è andato bene... “non è dipeso da una mia cattiva volontà”.

Ora si apre una nuova pagina della mia vita e mi permetto di farmi pellegrino, lasciando il già conosciuto per avventurarmi lungo nuovi sentieri, accettando di diventare straniero non solo rispetto agli altri, ma addirittura nei confronti di me stesso, dei miei progetti e delle mie attese e ricerche. Sarà una condizione difficile da vivere, ma salutare, perché mi costringerà a sgomberare il cuore per renderlo più disponibile e ospitale verso le sorprese di Dio, della stessa vita e della missione.

Mi permetto di citare gli ingredienti che un antico pellegrino medievale individuava come necessari per il cammino verso Santiago di Compostela. Egli parlava di sette ingredienti o, meglio, di sei più uno, in quanto il settimo non era da considerare l’ultimo ingrediente, ma il mezzo che permetteva di vivere bene i primi sei. Ecco i sei ingredienti: la pazienza di chi non ha fretta, il silenzio, la solitudine, lo sforzo, la sobrietà, la gratuità. Il settimo ingrediente o, meglio, il “più uno” è la “bellezza” che deve dare significato e colore a tutti gli altri. Tutti i sei ingredienti devono guidare verso la bellezza. Dunque, una vita bella, una bella esperienza di Dio, una bella preghiera, un cammino bello, una missione bella...

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Anche il pellegrinaggio che mi accingo a intraprendere deve portare i colori dei sei ingredienti citati sopra. Voglio incamminarmi con la pazienza di chi adotta il ritmo del passo dopo passo, senza bruciare troppo in fretta le tappe da percorrere. Con il silenzio di chi si pone in ascolto non soltanto per comprendere, ma anche per accogliere, ospitare e custodire. Con la solitudine di chi non si chiude nel proprio individualismo egoistico e autoreferenziale, ma sa mettersi in gioco in prima persona, con responsabilità e coerenza. Con lo sforzo di chi sa impegnare con intelligenza e creatività le energie che ancora esistono, senza trattenere per se quanto è da condividere con gli altri. Con la sobrietà di chi sa discernere per comprendere qual è il passo da fare sul momento e impara a distinguere che cosa mettere nello zaino, perché necessario, e cosa invece è da lasciare a casa, per evitare di caricarsi di una zavorra inutile. Con la gratuità di chi non cerca se stesso, ma il bene dell’altro, e non mira ad altro guadagno o successo che non sia una gioia condivisa. Sia chiaro non si intende qui una gioia qualsiasi, ma la gioia del Regno, la gioia dell’Evangelo, la gioia di quella bella e buona notizia che è Gesù, la gioia della sua Pasqua, della sua salvezza e della sua missione.

Desidero vivere tutto questo colorandolo di bellezza. Di certo non una bellezza meramente estetica, ma una bellezza che sia armonia, equilibrio, coerenza e fedeltà. Non basta cercare il bene, ma occorre tendere verso un bene che sia bello, e dunque attraente, persuasivo, consolante e, soprattutto, che sia in grado di emanare una luce che al tempo stesso rischiari e riscaldi. Vorrei vivere questo nuovo itinerario guidato e sostenuto da quei sei ingredienti nella speranza di essere illuminato dal magnetismo della missione, che per noi è vita e vocazione.

Isaia proclama: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio!” (Is 52,7). Piedi stanchi e sofferenti per il lungo cammino, eppure piedi belli. Piedi belli perché disposti ad annunciare il perdono, la misericordia e la salvezza. Tali furono i piedi di Gesù. Tali sono i piedi di ogni vero pellegrino, che osa farsi straniero persino a stesso, per portare ad altri la pace.

Camminiamo nella vita per aprirci con fiducia e con sorpresa ad una missione che sia “nella testa, sulle labbra e nel cuore”, come ci ha insegnato il nostro amato Fondatore, il beato Giuseppe Allamano, e come l’hanno vissuta tutti i vari testimoni e la nostra cara Consolata, confidando sempre e senza tentennamenti perché...”il meglio deve ancora venire!”

Concludendo vorrei porgere il mio augurio più sincero e fraterno al nuovo Superiore Generale che la Provvidenza di Dio ci ha donato e con lui anche a tutta la sua squadra che lo Spirito Santo ha scelto per prendersi cura della famiglia del nostro Istituto. Più che alle difficoltà e ai problemi che ci sono, vi invito a guardare al bene, al vero e al buono, alla persona del missionario, alle comunità che accompagniamo, alla grandezza e profondità della missione che serviamo, al tanto amore, bontà e “generatività” che esiste. Essere Missionari della Consolata ci mette in condizione di “essere santi”! “Che il Signore rivolga il suo sguardo su di noi, ci mostri il suo volto e ci dia pace!"

A tutti e a ognuno: GRAZIE! CORAGGIO E AVANTI IN DOMINO! 

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Riflessioni sui 18 gli anni di servizio come Superiore Generale (TERZA PARTE)

Tutte le sfide che abbiamo davanti, nuove o non più nuove, tutto ci parla dell’urgenza della formazione: se come Istituto vogliamo andare avanti dobbiamo metterci tutti in formazione, incluso a costo di chiudere le missioni. Se passa questo messaggio credo che potremmo dire di avere raggiunto un obbiettivo importante, forse il più importante.

Poi c’è anche un altro aspetto organizzativo che preoccupa ed è quello della economia. In questo campo è particolarmente importante il tema della responsabilità. È necessario capire con chiarezza che in missione non siamo andati a far soldi e che quelli che la provvidenza mette nelle nostre mani sono per la buona realizzazione della missione e non per altre cose.

Una parola per i giovani

Ho tante cose da dire ai giovani per l’affetto che ho per loro e riconoscendo la difficoltà di donarsi al Signore e alla missione nel momento attuale. Principalmente mi sento d’indicare TRE esigenze, percorsi e cammini che considero fondamentali per aiutare la persona a donarsi, l’Istituto ad avere un senso, la grande famiglia della Consolata una credibilità di vita e di testimonianza.

1. IL CAMMINO DI CONVERSIONE. La prima di queste urgenze è quella di un reale cammino di conversione, un andare avanti sulle tracce di Cristo, senza mai sentirsi pienamente arrivati. Prima di ogni missione, di ogni diaconia, prima delle opere, è necessario un ritorno a Dio, un cambiamento di vita, una conversione sempre in atto. Giorno  dopo giorno, dobbiamo essere disposti ad accettare la precarietà degli assetti rinnovando ogni giorno la decisione di amare l'altro senza reciprocità e incontrando gli uomini, gli ultimi, che si vogliono servire. Se un giovane entra in formazione e non si lascia convertire non ha futuro. Non si tratta semplicemente di una pia esortazione. Sulla piena disponibilità a questa conversione sta o cade la consacrazione alla missione. Vivere i voti è difficile. Piantiamola con il dire che nella vita consacrata e missionaria tutto è bello, quasi che non ci fosse un prezzo da pagare. Certe seduzioni creano facili entusiasmi che, alle prime difficoltà svaniscono come la neve al sole. La disponibilità all'azione dello Spirito Santo esige una lotta spirituale continua. Non ci può essere una consacrazione alla missione senza rinuncia, senza patire delle mancanze, senza soffrire. Per questo è fondamentale accogliere la conversione come una grazia, una purificazione, un cammino di vita. 

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2. LA PIENA UMANIZAZZIONE. Questo cammino di conversione dev'essere, però, accompagnato da una piena umanizzazione. Non dimentichiamolo mai: la consacrazione per la missione è vita umana, vissuta da persone che cercano di innestare la loro umanità nell'umanità di Gesù. È un innesto tutt'altro che semplice. Può avvenire solo attraverso un'arte del vivere, che esige spoliazione semplificazione, unificazione, ricerca di ciò che è essenziale per l'uomo d'oggi. 

Molto spesso, ciò che ostacola la realizzazione sia personale come comunitaria, è la scarsa qualità umana. Il vero problema di tante comunità è la carenza di umanità: si ha a che fare con esistenze vissute senza passione, senza convinzioni profonde, senza sensibilità, senza bellezza, senza libertà interiore. Ma senza libertà, si diventa schiavi. Bisogna avere il coraggio di dircelo e di dirlo ai giovani: o la nostra vita di consacrati per la missione è un cammino di umanizzazione, diversamente non riusciamo a viverla. Come la conversione, anche l'umanizzazione è un cammino faticoso che attraversa tutte le fasi della vita.

3. LA VITA FRATERNA ESSENZA DELLA CONSACRAZIONE PER LA MISSIONE. Sia il cammino di conversione che quello di una piena umanizzazione, non possono non tendere alla comunione. Proprio il celibato chiede di essere vissuto in una vita di comunione, li dove l'amore fraterno sa anche vivere di distanza, di discrezione, di sobrietà, il rispetto della libertà di ciascuno, una vita che già di per sé è una profezia in atto. La vita fraterna è il fine e la ragion d'essere degli stessi voti religiosi. Nella misura in cui vuole essere memoria reale e concreta della comunità vissuta da Gesù, la vita fraterna diventa il dono per eccellenza dello Spirito. Anche se questa comunione comporta il mettere in comune i propri beni, l'abitare e il pregare insieme, significa soprattutto lotta contro l'individualismo o contro una vita comune che obbedisce a regole mondane. Una vera vita di comunione è una vita strutturata e regolata e dev'essere pensata in primo luogo come servizio reciproco, dove la prima opera è amarci gli uni gli altri perché solo allora Dio dimora in noi. In questo modo saremo riconosciuti come discepoli di Gesù con la missione nel cuore!!!

Guardando a futuro

Proprio pensando al futuro, sarebbe opportuno, di tanto in tanto, guardare indietro, non dimenticando quel passo straordinariamente eloquente con cui Isaia si rivolge ai suoi figli (discepoli): «Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il suo volto alla casa di Giacobbe, e spero in lui. Ecco, io e i figli che il Signore mi ha dato, siamo segni e presagi per Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Sion» (8,17-18). 

Non dobbiamo temere. Ogni comunità può essere segno e presagio. Anche se l’Istituto sarà ridotto ad un piccolo “resto”, continuiamo a non temere. Sempre Isaia ci assicura che se anche restasse soltanto un ceppo, perché l'albero è abbattuto e tutti i rami e anche il tronco sono a terra, quel ceppo, dice Isaia, è un “ceppo santo” che continuerà a gettare virgulti e sarà “seme santo” (6,13)». Come il Signore non è mai venuto meno alla sua fedeltà nel passato, così sarà anche nel futuro. Ecco, è questa la consolazione!

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La consolazione è utile anche per le nostre fragilità

Consolazione è fare i conti anche con le nostre fragilità e questo lo vediamo spesso quando ci avventuriamo nella missione. Ricordo un viaggio al nord dell'Argentina, nel periodo di Natale, che nell’emisfero sud è il periodo più caldo dell’anno e la temperatura era quasi insopportabile. Il viaggio era stato lunghissimo in parte perché l'Argentina è grande ma anche perché la strada era stata chiusa in più di una occasione da picchetti per qualche tipo di manifestazione.

Dopo ben 20 ore di viaggio ho raggiunto la parrocchia dove lavorava il padre Juan Domingo Varela e ci siamo preparati per celebrare il Natale in un villaggio chiamato “el pozo del tigre”. Sono venute sette persone in tutto; non c’erano nemmeno le suore che in quei giorni avevano la visita della superiora. Quando il giorno dopo sono andato a salutarle... nell’atrio della casa mi accolse una gigantografia di Ernesto Che Guevara.

Nella parrocchia vicina la nostra presenza è stata più utile perché il sacerdote incaricato della comunità non aveva celebrato la messa di Natale per andare a far festa con la sua famiglia. In cambio in quella chiesa abbiamo potuto contare con la presenza preziosa di una comunità di suore che giustamente a Natale ci hanno fatto cantare “tu scendi dalle stelle... e vieni in una grotta al freddo e al gelo!”.

Vorrei terminare questa mia riflessione con una riflessione di Marco Guzzi, tratto dal libro “Darsi pace”, titolato “Infinita consolazione”. Dice bene quello che ho vissuto o cercato di vivere in questi 18 anni di servizio all’Istituto.

Noi esseri umani abbiamo sempre bisogno di consolazione, anzi di un’infinita consolazione.

Abbiamo sempre bisogno di essere consolati, confortati nella nostra sofferenza strutturale, nella nostra fragilità, nella precaria giornata terrena. Non abbiamo bisogno di molto altro, ma solo di infinita consolazione. 

Tutto dovrebbe essere finalizzato a questo scopo: il lavoro, la sapienza, ogni forma di compassione e di amore, siano modi per consolare, per dire all’essere umano: tu hai un grande valore. Non temere, non sei solo, e questa scarpata ripida e dolorosa ti sta portando sempre più prossimo alla gioia, a tutto ciò cui aneli, spesso senza nemmeno saperlo.

LEGGI LA PRIMA E LA SECONDA PARTE

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"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

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