{mosimage} Il rito religioso di apertura, arricchito dai canti e dalle danze di una piccola comunità di fede di Nairobi, ha voluto sottolineare il lavoro dello Spirito Santo all’interno della comunità, affinché questa possa diventare sempre più cosciente del ruolo affidato da Dio a tutti gli esseri umani: quello di diventare cooperatori del suo piano di creazione e redenzione. La lettura di Isaia 65, 17-25 è stata interpretata alla luce del contesto africano. Il mondo presente è stato per questo continente estremamente ostile, ma non bisogna perdere la speranza che un mondo “altro”, differente, sia in effetti possibile da costruire.
A non far perdere la speranza hanno puntato anche i messaggi di saluto del Professor Mugambi e della professoressa Getui, presidente del comitato esecutivo del Forum. “I am somebody and I can do something” (sono qualcuno e posso fare qualcosa) è stato il motto con cui Getui ha voluto definire lo spirito giusto con cui affrontare i giorni di lavoro.
Il keynote speech, cioè il discorso inaugurale e introduttivo, è stato offerto da Suor Ephigenia Giachiri. Molto breve e semplice, forse troppo per il tipo di incontro, ha avuto il merito di voler essere voce di coloro che lavorano con la base, cercando di far emergere temi importanti che dovranno obbligatoriamente trovare spazio nella riflessione di questi giorni. Nella sua prolusione la professoressa Giachiri ha sottolineato in modo particolare la situazione della donna in Africa, con riferimento esplicito al dramma dell’infibulazione.
{mosimage} Dopo la pausa per il pranzo, il sociologo francese Francois Houtart ha presentato un quadro chiaro e comprensivo della situazione congiunturale socio-economica, individuando nel capitalismo liberista il vero ostacolo alla costruzione di un mondo più giusto ed equo, che tenga conto delle esigenze di sopravvivenza della maggior parte della popolazione mondiale. Dobbiamo delegittimare un sistema che è ormai diventato una minaccia mortale per l’umanità e l’ambiente, distruttivo per ragioni economiche ed etiche. La domanda di fondo può essere la seguente: è un sistema che si può umanizzare o che deve essere radicalmente cambiato? La risposta sarà il frutto di un processo lungo e sofferto,così come lunga è stata la marcia devastante del sistema. Il forum può aiutare, ha sostenuto Houtart a creare una convergenza di proposte ed esperienze che a volte neppure si conoscono fra di loro. Come passare – è stata la domanda finale – dal livello di coscienza collettiva a quello di azione collettiva?
All’esposizione di Houtart ha fatto seguito una tavola rotonda coordinata dalla professoressa Maricel Mena Lopez, colombiana, insegnante all’università Javeriana di Bogotà. Ad essa hanno preso parte tre teologi in rappresentanza dei continenti africano, asiatico e latinoamericano. In nome di quest’ultimo ha parlato Jon Sobrino, uno dei “padri” della teologia della liberazione, che ha invitato a guardare la realtà dalla parte delle vittime. Il loro punto di vista ci aiuta ad aprire i nostri occhi in modo differente sulle realtà di questo mondo, ad essere onesti quando ci confrontiamo con essa, a renderci conto che, in effetti, viviamo in un mondo “disumano”. Disumanità che si annida ovunque; anche, talvolta, in certi nostri modi di aiutare il prossimo. Guardare alle vittime ci aiuta anche a scoprire gli idoli che vogliamo denudare, perché sempre le vittime fanno riferimento agli idoli, realtà storiche che hanno bisogno di vittime per poter sopravvivere.
L’attitudine per poterci confrontare criticamente,senza ipocrisie e quindi efficacemente agli idoli è la compassione.
Ugo Pozzoli