Nel Nome di Parigi

Published in I missionari dicono

«No, non avrete il mio odio e non sacrificherò la mia libertà per la sicurezza...».

Queste parole hanno fatto il giro del mondo. Hanno raggiunto anche me, una sera, a Bunju, a 35 chilometri da Dar Es Salaam, Tanzania.

Parole scritte da Antoine, un francese di 34 anni, padre di un bimbo di 17 mesi, dopo che la moglie Hélène venne massacrata a Parigi dai terroristi dello “Stato islamico”. Era il 13 novembre 2015. Con Hélène furono trucidate altre 129 persone.

Quella sera camminavo triste sotto “una luna crescente”. Pure la luna sembrava crescere in angoscia con il mondo intero, come l’11 settembre 2001, allorché Al Qaeda abbatté “le torri gemelle” di New York. L’umanità traboccò di orrore e terrore.

Oriana Fallaci non perse un attimo per scaricare “rabbia e orgoglio” contro l’Islam. Oriana, “occhio per occhio” rende tutti ciechi. Pace all’anima tua!

Camminavo a testa bassa, quella sera, mentre il pensiero entrava nell’università di Garissa, in Kenya. Qui, il 2 aprile 2015, i terroristi di Al Shabab falciarono la vita di 148 studenti. Era giovedì, “giovedì santo” per i cattolici.

E come non pregare per quelle 219 ragazze della Nigeria, rapite dai terroristi di Boko Aram nell’aprile del 2014? Già, dove sono finite quelle liceali?

Una violenta folata di vento investe il maestoso mango che troneggia sul cortile del “Consolata Mission Centre” di Bunju, dove risiedo. Le fronde si piegano, si urtano, quasi si spezzano. Anch’esse sembrano gemere.

È una notte davvero desolata questa del 13 novembre 2015. Ma... “non avrete il mio odio”. Odo pure altre espressioni di Antoine, quali: «Terroristi, non so chi siete, né voglio saperlo, perché siete anime morte. Se Dio, in nome del quale uccidete ciecamente, ci ha fatti a sua immagine, allora ogni pallottola nel corpo della mia Hélène sarà pure una ferita nel suo cuore divino. Ma non vi farò il dono di odiarvi. Certo, lo meritereste, però rispondere all’odio con la rabbia sarebbe cedere alla stessa ignoranza che vi ha resi ciò che siete».

Sì, perché il terrorismo si configge con la giustizia disarmata.

Vado a letto, senza dormire. La “fede” di Antoine mi tiene desto. Mi dico: allora non è affatto una favola quella di Luca. La luna perderà ogni poesia - scrive l’evangelista Luca - e le stelle cadranno come mele marce. A Madrid, l’11 marzo 2004, i treni salteranno in aria come fuscelli, mentre i corpi dilaniati di 191 viaggiatori rimbalzeranno ovunque... “Però quando cominceranno ad accadere questi fatti, alzate la testa, perché la vostra liberazione è vicina” (Luca 21, 28).

Antoine, sgombro da ogni odio, è “libero”, liberato dalla fede in un “Dio ferito” che piange.

Come dormire? Inoltre le zanzare mi assalgono, nonostante la rete.

Ora chi vedo? Vedo Aurora, una giovane donna della parrocchia “Maria Regina delle Missioni” di Torino, inguaiata dall’A alla Z. Inguaiata in casa e sul lavoro, perché disoccupata. Inguaiata in amore. E, tuttavia, aperta ad ogni squarcio di luce, in sintonia con il suo nome Aurora.

Una notte di dicembre (la sveglia segna le 23.30) il campanello della parrocchia squilla impertinente. Dalla finestra del secondo piano grido scocciato: Chi è?

- Scusa, padre Francesco. Sono Aurora. Lo sai che sono sempre incasinata...

- Sì, lo so. Che vuoi a quest’ora?

- Voglio solo augurarti “Buon Natale”. Ho anche un panettone. Lo vuoi?

 

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