I candidati alla Presidenza fanno di questo tema il campo di battaglia per i loro comizi: accuse, contro-accuse, promesse di cambiamenti drastici e difesa del proprio operato, sconfessando i risultati di studi eseguiti da agenzie internazionali, oppure usandoli per discreditare chi è al governo e finanzia le opere pubbliche.
A parte le dichiarazioni dei politicanti e dei loro seguaci, che normalmente usano i dati statistici ad usum delphini (per i propri interessi e vantaggi personali), ci sono dei dati abbastanza oggettivi che possono aiutare gli elettori a farsi un’idea sufficientemente neutrale, che li possa guidare nell’esercizio del loro dovere elettivo?
Esiste un’associazione internazionale chiamata Transparency International (TI -Trasparenza Internazionale) che ha lo scopo di raccogliere dati pubblicati dai governi, fa perlustrazioni locali, ha accesso a relazioni segrete, e riceve in via confidenziale informazioni che permettono di arrivare a conclusioni oggettive. Questa TI ha sviluppato uno strumento di ricerca chiamato Corruption Perception-Index (CPI – Percezione dell’Indice di Corruzione), che concede loro di valutare il livello di disonestà e di mancanza di trasparenza nell’operato dei paesi del mondo. Nel suo ultimo report concernente 180 nazioni, ha piazzato la più potente nazione economica dei paesi dell’Est Africa al 150° posto per livello di corruzione.
Nelle elezioni del 2002 il Presidente del Kenya, Mr. Kibaki, e la coalizione di partiti chiamata NARC, promise di fare tutto il possibile per eliminare, o almeno ridurre di molto questa piaga della corruzione nel governo e nelle agenzie che operano nel paese, a fianco del governo. Tre anni fa fu costituita dal Parlamento ed approvata dal Presidente, la Kenya-Anticorruption Commission (KACC), che avrebbe dovuto raggiungere quello scopo, e portare in tribunale i responsabili delle ingiustizie private e corporative, come pure governative. Purtroppo, alla vigilia delle elezioni del 2007, che si terranno il 27 dicembre, i successi sono stati molto pochi. Infatti, come abbiamo visto sopra, in quella lista di 180 nazioni, il Kenya è il 150° stato, mentre il Tanzania è il 94°, il Sud Africa il 43°, Namibia e Seychelles il 57°, Tunisia il 61°, Ghana il 69°, Lesotho e Gabon l’84°. Su una scala da 0 al 10 (in cui lo zero rappresenta la corruzione massima), il Kenya è piazzato al 2.1, assieme alla Repubblica Democratica del Congo, Zimbabwe, Costa d’Avorio, Liberia e Sierra Leone!
Il CPI afferma che gli stati che occupano un livello basso della classifica, hanno un bisogno assoluto di cambiare rotta introducendo maggiore trasparenza nelle loro azioni, e anche attraverso lo sviluppo di un sistema di controllo molto più efficiente, fino al punto di individuare i colpevoli e punirli secondo la legge. È evidente che un sistema indipendente, che agisca in un modo professionale e imparziale, è necessario per un’azione efficace nella lotta contro la corruzione. I progressi sono ben pochi se questo sistema non funziona in modo etico, imparziale e professionale. E questo sembra sia capitato proprio alla KACC. Infatti gli scandali più clamorosi degli ultimi anni, che hanno visto miliardi di shellini scomparire, (come quello del Goldenber e di Anglo-Leasing), con i colpevoli ancora in libertà, si imputano molto alla inabilità, o all’impotenza della stessa commissione di agire velocemente ed efficacemente. Per cui la notizia dei risultati dello studio sulla corruzione emessa dalla TI proprio in questi ultimi mesi prima delle elezioni, non è stata accolta bene dai politicanti e dal Governo, e purtroppo fino ad ora, poco o niente si è fatto per appurare i fatti, punire i responsabili, e ritirare i fondi ancora reperibili. Anzi, nel paese circola la voce che il governo del Kenya avrebbe rifiutato l’aiuto del governo Britannico, per ricercare i colpevoli di questi scandali, e ritrovare i fondi ancora esistenti.
La colpa non è solo imputabile ai governi e alle associazioni bancarie locali: c’è infatti l’influsso perenne delle grandi potenze mondiali e delle multinazionali. Il Sig. Akere Muna, Vicepresidente della TI, ha affermato che “le critiche da parte delle nazioni ricche delle situazioni di corruzione nei paesi poveri, non ha tanta credibilità, fino a quando queste istituzioni si reggono sulle ricchezze dei popoli più poveri del mondo”.
In questo periodo elettorale, si parla molto di questo fenomeno, e si fanno promesse draconiane che dovrebbero portare alla luce tutti i casi di corruzione del passato per punirli, e pianificare una policy di trasparenza degli affari pubblici per il futuro, per una gestione più etica e di responsabilità verso i cittadini e gli organi addetti a questo scopo. Se questo fosse veramente uno dei cambiamenti nella nazione, le elezioni del 2007 avrebbero già ottenuto un successo impensabile, e costituita la piattaforma per un futuro di giustizia e di equità nel paese.