Il caso Cappio, molto di più che un semplice colpo di testa

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{mosimage}La scelta di Mons. Luis Cappio, nato sessantuno anni fa a Guratinguetá, São Paulo, dei quali almeno quaranta vissuti ai margini di quel fiume San Francesco, chiamato familiarmente “Velho Chico” e dal 1997 vescovo della Diocesi della Barra, è certamente molto di più che un semplice atto personale e circoscritto ad un ristretto gruppo di persone.

In realtà, quello che lo stesso Presidente Lula ha definito un semplice atto personale ed eccentrico, si è trasformato in una sfida a volto aperto per il governo assumendo un respiro nazionale e internazionale insperato. Ma il “Caso Cappio”, non si è risolto in una semplice sfida al governo e alla sua politica neoliberale, infatti, il silenzio ed il digiuno del minuto frate è diventato un pugnale prima per il gruppo di Vescovi del Nord Est III e poi per la stessa Conferenza Nazionale dei vescovi che, dopo un primo e formale pronunciamento, fotocopia di quello di due anni fa, ha dovuto scendere in campo nella persona del suo presidente, Mons. Geraldo Lyrio Rocha e del segretario Mons. Dimas Lara, chiedendo un’udienza straordinaria al Presidente Lula per trattare la questione e ristabilire un dialogo tra le parti.


C’è una domanda di fondo a cui, neppure i poderosi mezzi di comunicazione, nelle mani dell’oligarchia brasiliana sono riusciti a trovare una risposta: come un fatto considerato insignificante dal governo e boicottato, per ordine dello stesso dai grandi media abbia potuto creare un impasse politico e sociale di enormi proporzioni.

Se consideriamo il fatto in se, il gesto di Mons. Cappio esprime un’opposizione radicale al progetto di trasposizione delle acque del fiume San Francesco. Il progetto, strettamente legato al PAC (Plano de Aceleração do Crescimento /Piano di accelerazione e sviluppo) rispondente al concetto di sviluppo del governo Lula, secondo il quale lo stato deve offrire le infrastrutture affinché gli imprenditori privati (agronegocio e settore delle esportazioni) possano avere condizioni di investimento produttivo e lucrativo. La proposta del vescovo è totalmente opposta a questa, chiedendo che le acque del fiume siano utilizzate per il bene delle popolazioni che da millenni vivono sulle rive del fiume e hanno diritto alla vita.

{mosimage}La forma di protesta scelta, la preghiera ed il digiuno, non è comparabile allo sciopero della fame di Gandhi, perché mentre questi era un interlocutore tra il governo Inglese e le forze nazionaliste dell’India, Mons. Cappio si colloca chiaramente contro il progetto governativo, usando questa forma di pressione per far sapere al governo le sue rivendicazioni, così come fanno gli imprenditori, ma al contrario di questi che, collocano a rischio la vita dei loro dipendenti, egli colloca sulla bilancia la sua vita in cambio di quella dei popoli del nordest.

Nonostante le esternazioni estemporanee, sia del Presidente Lula come del Ministro dell’Integrazione Nazionale, il governo, usando tutti i mezzi a sua disposizione, ha tentato di dissuadere Mons. Cappio dal suo gesto affermando in un articolo apparso sul giornale Folha de Sao Paulo, il 10 dicembre 2007, che – non rispettare i riti, disprezzare il dialogo e ignorare le istituzioni, in democrazia, è un peccato capitale. Ed è bene che sia chiaro: chi sta protestando, mettendo in gioco la sua vita, non è un vescovo, ne il pastore di un gregge spirituale - . Questo e altri fatti dimostrano la mancanza di volontà di dialogo del governo Lula, che fino al momento presente, poco o nulla si differenzia da quelli del passato sulle grandi questioni sociali e politiche del paese.

Se il gesto del piccolo vescovo francescano ha sorpreso e non poco il governo, ad essere colti di sorpresa furono anche i movimenti sociali che, seppur a conoscenza delle sue intenzioni si sono dovuti misurare con la realtà e con la crescente onda di solidarietà della gente, la cui massima espressione si è avuta nel pellegrinaggio di oltre seimila persone di differenti stati a Sobradinho, luogo trasformato in santuario di coloro che lottano a favore della vita.

Ma la lotta che un mese fa pareva essere un semplice atto personale e eccentrico, oggi assume proporzioni che abbracciano non solamente una regione ma tutta la nazione Brasiliana ed i suoi effetti possono avere conseguenze catastrofiche per il futuro di molti popoli e dello stesso pianeta. A smentire ancora una volta la buona fede del governo e dei suoi atti, è la presentazione da parte dello stesso, del piano sul fiume Xingu, dove la Eletrobras, impresa statale per l’energia elettrica, prevede la costruzione di sei dighe, partendo da quella di Bel Monte e seguita da quelle di Altamira, Carajás, Pombal, São Félix e Montante Jarina. Secondo il Ministero Pubblico Federale dello stato del Parà, nei piani dell’impresa statale vi sarebbe la costruzione di molte altre dighe, perché osservando e analizzando attentamente il progetto Bel Monte, secondo il parere di vari specialisti, la diga da sola non riuscirebbe a soddisfare le necessità energetiche provocando la costruzione di altre dighe.

Non meno polemico l’intervento del giornalista Lucio Flavio Pinto, affermando la necessità di informare e formare l’opinione pubblica per discutere la questione idroelettrica, dato che, gli studi realizzati da specialisti indipendenti indicano il progetto Bel Monte e delle altre dighe non viabile economicamente. Al coro di proteste si è unita anche la voce del Procuratore del Ministero Pubblico Federale, Marco Antonio de Almeida, chiedendo un comitato per i bacini idrografici dell’Amazzonia, - nella regione non esiste nessun comitato per discutere l’uso dell’acqua. Tutto ciò è favorevole al governo che fa quello che vuole, intanto la procuratoria sta iniziando un’azione per l’istituzione di tale comitato nella regione-.

Ed infine per rendere ancor più espressiva la protesta di Mons. Luis Cappio, il pronunciamento dei popoli indigeni e del capo indigeno Bacaê Kayapó, del popolo Kayapó, chiedendo rispetto per la sua gente ed al governo, di ascoltare coloro che, da migliaia di anni dipendono dal fiume per vivere. Per questo i popoli indigeni sono sul piede di guerra e la tensione tende a crescere, dato che il progetto causerebbe l’estinzione di varie specie di pesci considerati essenziali per l’alimentazione e la sussistenza di molti popoli indigeni.

Pochi giorni fa, il 20 dicembre, Mons. Luis Cappio ha messo fine al suo digiuno, apparentemente una sconfitta, festeggiata dai potenti e accompagnata dal servilismo del potere giudiziario. Ma dopo ventiquattro giorni di digiuno, in cui questo piccolo uomo di Dio, nutrito dalla Parola di Dio, sostenuto dalla fede e dalla preghiera, pare soccombere alla violenza del sistema e dei potenti, ha potuto festeggiare e sperimentare la forza del popolo risollevandosi e riaccendendo nel cuore la coscienza e la forza dell’unione, bambini e giovani elevando canti di speranza e inneggiando alla speranza di un futuro per l’amato Brasile, dove tutti, senza eccezione alcuna possano avere pane per mangiare, acqua per bere, terra da lavorare, dignità e responsabilità.

Questa è la grande vittoria di uno dei tanti piccoli che, ancora una volta il grande ciclone della globalizzazione avrebbe voluto spazzare via, ma, la sua forza interiore, il progetto di vita, divenuto dono totale si è trasformato in una minaccia per gli Erode del nostro tempo, che nonostante i loro potenti mezzi non sono riusciti a spegnere ed estinguere quella corrente di vita che continuerà a lottare per il semi-arido e per la vita del vecchio “Chico”.
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:29

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