Nella mia parrocchia la Messa domenicale ha visto un’affluenza maggiore del solito. E al termine della celebrazione la gente, di ogni etnia, si è poi ritrovata sul sagrato a parlare, a riscoprire il senso di stare insieme in pace…e quasi non andavano più via”.
Inoltre, non tutto il Kenya è stato interessato dalle violenze. “Una vasta area del Kenya centrale è rimasta tranquilla, come anche altre zone, dove si è festeggiato tranquillamente l’arrivo del nuovo anno” dice p. Luigi. “Vi sono stati scontri in aree dove vi erano già tensioni legate alle dispute tra agricoltori e pastori per il controllo dell’acqua e delle terre fertili, e soprattutto nelle zone e nei quartieri più poveri”.
“A Nairobi, infatti - spiega il missionario- gli scontri sono avvenuti essenzialmente negli slum, le baraccopoli, dove la gente vive con meno di 1 dollaro al giorno. Quello che più mi ha colpito però sono state le violenze a Kisumu, la “capitale” dei Luo, (l’etnia che più si è sentita defraudata dal risultato delle elezioni del 27 dicembre, ndr.). Mi chiedo come è possibile che gli stessi abitanti distruggono la propria città? Penso allora che gli scontri non siano poi così spontanei, che forse vi è stata una regia: è in fondo facile convincere persone che non hanno nulla da perdere a compiere saccheggi e raid “punitivi”.
Come riportato dalla stampa internazionale, gli scontri sono stati provocati soprattutto da parte di persone di etnia Luo, che ha imputato ai Kikuyu, l’etnia del Presidente uscente Kibaki, di volersi accaparrare il potere. “Il problema del tribalismo esiste, ma è stato strumentalizzato da una parte politica per i propri fini” dice p. Luigi. “Non è vero ad esempio che tutti i Kikuyu abbiano votato in massa per il Presidente uscente, che era alla guida di una coalizione eterogenea, nella quale erano presenti diverse componenti. In realtà la popolazione del Kenya è più matura di quello che possano fare pensare le violenze, che sono state organizzate. Vi sono anche interessi criminali nell’esplosione di violenza dei giorni scorsi. Si saccheggiano le abitazioni e i negozi, si bruciano le proprietà. Ma che poi ricostruirà quello che è andato distrutto? Perché si sono assalite certe imprese commerciali e non altre della stessa zona? Sono tutte domande che dobbiamo porci per capire che non si tratta solo di uno scontro tribale, ma di qualcosa di più complesso.
“Ad esempio, approfittando del caos si sono rifatti vivi i Mungiki (vedi articoli precedenti di p. Bellagamba, 1 e 2), che hanno iniziato a lanciare intimidazioni e minacce. I Mungiki avevano subito un forte ridimensionamento nei mesi scorsi quando la polizia ha lanciato una campagna contro di loro negli slum della capitale” afferma p. Luigi.
“Per uscire dalla crisi occorre che la politica faccia una serie autocritica, prima di tutto sulla corruzione, che è un problema molto serio. Anche le due etnie principali, i Kikuyu e i Luo, devono riflettere per ripensare i rapporti tra di loro e con il resto del Paese. I Kikuyu devono ripensare il loro modo di rapportarsi con gli altri e i Luo devono uscire da una logica di contrapposizione sbagliata. La Chiesa deve continuare ad accompagnare la popolazione facendole prendere coscienza dei mali del tribalismo e promuovendo la riconciliazione e il perdono, come ha già fatto istillando il senso democratico nella gente” conclude il missionario.
Dalla Misna:
In città si respira un’aria di normalità, le banche hanno riaperto così come gli uffici e i locali commerciali”: così padre Gigi Anataloni, missionario della Consolata e direttore della rivista ‘The Seed’, descrive alla MISNA il clima che si registra oggi a Nairobi.
La maggior parte degli abitanti della capitale keniana sembra volersi lasciare alle spalle quella che il ‘Daily Nation’, il principale quotidiano del paese, definisce la “settimana più buia della storia del Kenya dall’indipendenza” e che ha provocato un numero ancora imprecisato di morti, oltre un migliaio di feriti e almeno 100.000 sfollati con proiezioni che parlano di possibili 250.000 nei prossimi tre mesi. Sul bilancio di vittime provocate dalle violenze che la scorsa settimana hanno scosso Nairobi, ma anche alcuni dei principali centri abitati della Rift Valley (Eldoret, Kisumu, Nakuru, Burnt Forest nell’ovest del Paese), si va dalle oltre 170 vittime ufficiali, alle 500-600 di cui oggi hanno parlato alcune fonti keniane.
La polizia, intanto, continua a presidiare l’Uhuru Park, dove domani si sarebbe dovuta tenere una nuova manifestazione dell’opposizione poi annullata dal Movimento democratico Arancio (Odm) di Raila Odinga, ed è presente, seppur “in maniera discreta”, in tutto il centro di Nairobi. “Le cose hanno ripreso a muoversi normalmente, c’era un po’ di apprensione per la manifestazione di domani anche se ormai la gente è veramente stufa” aggiunge il missionario. Gli spazi dedicati ai pareri dei lettori da parte dei principali mezzi di informazione keniani, infatti, evidenziano molto bene la forte insoddisfazione della gente verso i politici (di qualsiasi schieramento) che hanno preso parte alle ultime elezioni e che vengono spesso giudicati come i veri responsabili delle violenze.
In un messaggio ‘sms’ un abitante di Nairobi ieri chiedeva ai leader politici: “quanti morti vi servono per soddisfare il vostro ego?”. Anche per questo, spiegano i missionari, la gente guarda con un certo disincanto al balletto di dichiarazioni a volte contrastanti che i protagonisti della crisi politica continuano a rilasciare in merito a una soluzione negoziata dello stallo attuale.
Intanto l’opposizione ha fatto sapere di aver annullato le manifestazioni previste domani in varie città del paese. La decisione sarebbe legata all’arrivo di John Kufuor, presidente del Ghana e presidente di turno dell’Unione Africana, atteso domani in Kenya per avviare una nuova e, si spera, definitiva mediazione.