Le statistiche
Il motivo profondo di questa tragedia è stato causato dall’irregolarità degli scrutini e dalla registrazione e trasmissione dei voti. Invece di predisporsi ad un’analisi intransigente ma pacata dell’evento, la parte perdente ha cominciato a dar fuoco a quella pericolosa miscela di differenze etniche. Povertà, rabbia sociale, nuove aspettative e ideali di libertà economica per le classi più svantaggiate, differenze etniche e rivalità politiche dilaganti hanno provocato l’incendio della rivolta. Le comunità sono diventate così testimoni di uccisioni di massa, di distruzioni e odi, molta gente forzata a lasciare le proprie case, la propria fonte di vita e di lavoro. Kisumu, Eldoret e Kericho sono state isolate per uccidere e per distruggere tutto quello che suonava “kikuyu” o “supporters” (sostenitori) di Kibaki. A Mombasa, a Maralal, negli slums di Nairobi dovunque hanno suonato le trombe per la battaglia della rivendicazione. La polizia ha guardato, ha intimidito senza intervenire, spesso traendone vantaggio. È mancata assolutamente la mano forte di colui che doveva sedare tanto odio e violenza. E la Chiesa è rimasta troppo silenziosa. Nessuno dei nostri Vescovi è apparso sulle strade o in mezzo alla gente per fermare, chiamare all’ordine e al rispetto o consolare. Chiesa di Cristo dove sei stata in questi momenti tragici? Finalmente il 2 gennaio I Vescovi hanno avuto un incontro in cui hanno preparato una lettera di condanna con la richiesta accorata di pace e riconciliazione.
Anche se la violenza sembra calata di intensità, oggi, 7 gennaio 2008, il fatto dei morti e degli sfollati rimane una realtà molto tragica. Fonti della polizia hanno parlato di 500-600 morti, ma qualcuno aggiunge che il numero delle vittime si avvicina a mille. Il numero di persone sfollate per le violenze post-elezioni è ormai di 250.000, ma sicuramente sono tra le 400 e le 500 mila, le persone investite dal conflitto.
Le mediazioni
Tante sono state le mediazioni offerte ai due contendenti e ai loro partiti. Membri dei più importanti Gruppi e Istituzioni religiose del paese, rappresentanti dei diversi Governi e gruppi umanitari, hanno fatto dichiarazioni di pace e riconciliazione. Ci sono state proposte di ogni genere, dalla richiesta di dimissioni del presidente Kibaki, al nuovo conteggio dei voti alla presenza di un tribunale neutro, da un governo di coalizione a un governo temporale di unità nazionale fino a nuove elezioni. Tutti dicono che è necessario che la temperatura del confronto politico si abbassi e che il paese si riprenda subito evitando di cadere nella trappola dei confronti etnici che sono comuni a tanti paesi africani. Discutibili sono anche alcuni atteggiamenti di chi come Washington è corsa a complimentarsi con il vincitore e il giorno dopo, sulla scia di Londra, si è rimangiato i complimenti e si è schierata in un certo modo con l’opposizione, proponendo un compromesso tra i due personaggi politici principali. Il vicesegretario di Stato americano Jendayi Frazer ha sottolineato che “i kenyani sono stati ingannati dalla loro dirigenza politica e dalle loro istituzioni”. E Desmond Tutu dopo aver incontrato Kibaki e Odinga ha detto: “Il Kenya è stato sempre modello di stabilità politica, e questo non è il Kenya che noi conosciamo”.
Svolta o stallo politico?
È stato tolto il giorno 5 gennaio il coprifuoco imposto da lunedì scorso sulla città di Kisumu, in seguito al miglioramento della situazione di sicurezza.
A questo punto la soluzione è di avere Kibaki e Odinga pronti a sedersi allo stesso tavolo e disposti a dialogare senza pre-condizioni. La soluzione è difficile ma non impossibile...
Raila Odinga ha annullato la manifestazione organizzata in tutto il paese per domani martedi 8 gennaio per aspettare il capo dell’Unione africana John Kufuor del Ghana, che possa aiutare a superare la crisi in cui è caduto il paese. Da parte sua il presidente Kibaki ha invitato Odinga con 5 esponenti del suo partito ODM, a un incontro per venerdì 11 gennaio “per fermare la violenza nel paese, consolidare la pace e avviare la riconciliazione nazionale”. Kibaki ha quindi convocato il Parlamento per il 15 gennaio prossimo per riprendere il cammino della legalità e della forza coesionale delle forze sociali e politiche.
Le ferite da rimarginare
Non è per una decisione politica che le ferite scompariranno. Eldoret, Kisumu, Kericho e altre zone del paese sono state “segnate”, le perdite e le distruzioni inaudite. Molta gente è scappata, tante donne violentate, molte persone minacciate. Parecchi indiani impegnati in attività industriali e commerciali se ne sono andati. La comunità Kikuyu ha pure abbandonato quelle zone e ogni attività. Nessuna assicurazione garantirà loro queste perdite. La gente locale perderà così tanti posti di lavoro. Molte provvigioni mancano e mancheranno per molto tempo, anche se il Governo e altre istituzioni umanitarie hanno organizzato convogli con 700 tonellate di cibo e aiuti vari. Chi avrà ancora il coraggio di investire in quelle aree? La tensione tribale continuerà nei posti pubblici, negli uffici, nei luoghi di lavoro, nelle comunità religiose9 . Ci vorranno due o tre anni prima di rimarginare queste ferite. Solo una costante azione di solidarietà nei vari aspetti della vita sociale, potrà attualizzare questo processo di riconciliazione.
Missioni e missionari
Nonostante le due chiese bruciate, sacerdoti e suore minacciati per la disponibilità a ricevere i rifugiati, dobbiamo ammettere che in generale c’è stato un grande rispetto verso noi tutti missionari. Nessuno di noi ha avuto grosse difficoltà per muoversi e svolgere le proprie attività di azione pastorale, di assistenza umanitaria e di solidarietà con le persone in difficoltà.
Dio benedica questo paese del Kenya. La forza della fede che caratterizza in profondità la comunità africana possa portare frutti di giustizia, di riconciliazione e di unità.