Kenya: Dove e come ...

Published in I missionari dicono
{mosimage}Quello che è capitato in questo grande paese dell’Africa è ormai conosciuto. Le violenze di ogni genere che sono esplose il 29 dicembre, due giorni dopo le elezioni pacifiche del 27, hanno causato gravi danni alle persone, alle strutture, all’economia del paese. Questi fatti incresciosi di uccisioni, ruberie e incendi sono andati sempre più drammatizzando la situazione, soprattutto nell’Ovest, nella Rift Valley e negli slums di Nairobi. Oltre allo scontro politico tra il presidente designato Mwai Kibaki (leader del PNU e della etnia Kikuyu), e il suo antagonista Raila Odinga (leader dell’ODM e della etnia Luo) è cresciuta l’accusa di brogli nelle elezioni e conseguentemente lo scontro etnico tra i Luo (perdenti) e i Kikuyu (vincenti).

Le statistiche


Il motivo profondo di questa tragedia è stato causato dall’irregolarità degli scrutini e dalla registrazione e trasmissione dei voti. Invece di predisporsi ad un’analisi intransigente ma pacata dell’evento, la parte perdente ha cominciato a dar fuoco a quella pericolosa miscela di differenze etniche. Povertà, rabbia sociale, nuove aspettative e ideali di libertà economica per le classi più svantaggiate, differenze etniche e rivalità politiche dilaganti hanno provocato l’incendio della rivolta. Le comunità sono diventate così testimoni di uccisioni di massa, di distruzioni e odi, molta gente forzata a lasciare le proprie case, la propria fonte di vita e di lavoro. Kisumu, Eldoret e Kericho sono state isolate per uccidere e per distruggere tutto quello che suonava “kikuyu” o “supporters” (sostenitori) di Kibaki. A Mombasa, a Maralal, negli slums di Nairobi dovunque hanno suonato le trombe per la battaglia della rivendicazione. La polizia ha guardato, ha intimidito senza intervenire, spesso traendone vantaggio. È mancata assolutamente la mano forte di colui che doveva sedare tanto odio e violenza. E la Chiesa è rimasta troppo silenziosa. Nessuno dei nostri Vescovi è apparso sulle strade o in mezzo alla gente per fermare, chiamare all’ordine e al rispetto o consolare. Chiesa di Cristo dove sei stata in questi momenti tragici? Finalmente il 2 gennaio I Vescovi hanno avuto un incontro in cui hanno preparato una lettera di condanna con la richiesta accorata di pace e riconciliazione.

Anche se la violenza sembra calata di intensità, oggi, 7 gennaio 2008, il fatto dei morti e degli sfollati rimane una realtà molto tragica. Fonti della polizia hanno parlato di 500-600 morti, ma qualcuno aggiunge che il numero delle vittime si avvicina a mille. Il numero di persone sfollate per le violenze post-elezioni è ormai di 250.000, ma sicuramente sono tra le 400 e le 500 mila, le persone investite dal conflitto.

Le mediazioni

Tante sono state le mediazioni offerte ai due contendenti e ai loro partiti. Membri dei più importanti Gruppi e Istituzioni religiose del paese, rappresentanti dei diversi Governi e gruppi umanitari, hanno fatto dichiarazioni di pace e riconciliazione. Ci sono state proposte di ogni genere, dalla richiesta di dimissioni del presidente Kibaki, al nuovo conteggio dei voti alla presenza di un tribunale neutro, da un governo di coalizione a un governo temporale di unità nazionale fino a nuove elezioni. Tutti dicono che è necessario che la temperatura del confronto politico si abbassi e che il paese si riprenda subito evitando di cadere nella trappola dei confronti etnici che sono comuni a tanti paesi africani. Discutibili sono anche alcuni atteggiamenti di chi come Washington è corsa a complimentarsi con il vincitore e il giorno dopo, sulla scia di Londra, si è rimangiato i complimenti e si è schierata in un certo modo con l’opposizione, proponendo un compromesso tra i due personaggi politici principali. Il vicesegretario di Stato americano Jendayi Frazer ha sottolineato che “i kenyani sono stati ingannati dalla loro dirigenza politica e dalle loro istituzioni”. E Desmond Tutu dopo aver incontrato Kibaki e Odinga ha detto: “Il Kenya è stato sempre modello di stabilità politica, e questo non è il Kenya che noi conosciamo”.

Svolta o stallo politico?

È stato tolto il giorno 5 gennaio il coprifuoco imposto da lunedì scorso sulla città di Kisumu, in seguito al miglioramento della situazione di sicurezza.

A questo punto la soluzione è di avere Kibaki e Odinga pronti a sedersi allo stesso tavolo e disposti a dialogare senza pre-condizioni. La soluzione è difficile ma non impossibile...

Raila Odinga ha annullato la manifestazione organizzata in tutto il paese per domani martedi 8 gennaio per aspettare il capo dell’Unione africana John Kufuor del Ghana, che possa aiutare a superare la crisi in cui è caduto il paese. Da parte sua il presidente Kibaki ha invitato Odinga con 5 esponenti del suo partito ODM, a un incontro per venerdì 11 gennaio “per fermare la violenza nel paese, consolidare la pace e avviare la riconciliazione nazionale”. Kibaki ha quindi convocato il Parlamento per il 15 gennaio prossimo per riprendere il cammino della legalità e della forza coesionale delle forze sociali e politiche.

Le ferite da rimarginare

Non è per una decisione politica che le ferite scompariranno. Eldoret, Kisumu, Kericho e altre zone del paese sono state “segnate”, le perdite e le distruzioni inaudite. Molta gente è scappata, tante donne violentate, molte persone minacciate. Parecchi indiani impegnati in attività industriali e commerciali se ne sono andati. La comunità Kikuyu ha pure abbandonato quelle zone e ogni attività. Nessuna assicurazione garantirà loro queste perdite. La gente locale perderà così tanti posti di lavoro. Molte provvigioni mancano e mancheranno per molto tempo, anche se il Governo e altre istituzioni umanitarie hanno organizzato convogli con 700 tonellate di cibo e aiuti vari. Chi avrà ancora il coraggio di investire in quelle aree? La tensione tribale continuerà nei posti pubblici, negli uffici, nei luoghi di lavoro, nelle comunità religiose9 . Ci vorranno due o tre anni prima di rimarginare queste ferite. Solo una costante azione di solidarietà nei vari aspetti della vita sociale, potrà attualizzare questo processo di riconciliazione.

Missioni e missionari

Nonostante le due chiese bruciate, sacerdoti e suore minacciati per la disponibilità a ricevere i rifugiati, dobbiamo ammettere che in generale c’è stato un grande rispetto verso noi tutti missionari. Nessuno di noi ha avuto grosse difficoltà per muoversi e svolgere le proprie attività di azione pastorale, di assistenza umanitaria e di solidarietà con le persone in difficoltà.

Dio benedica questo paese del Kenya. La forza della fede che caratterizza in profondità la comunità africana possa portare frutti di giustizia, di riconciliazione e di unità.


p. Franco Cellana e p. Antonio Bianchi, IMC

Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:29

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