Giornata Missionaria Mondiale 2008

Published in I missionari dicono
{mosimage}Giornata missionaria mondiale: lo sguardo di tutti i cattolici è rivolto al mondo missionario. La propose il Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, e dopo sette dalla sua morte, nel 1926 il Papa l’ha istituita per tutta la chiesa.

La giornata missionaria è uno stimolo provvidenziale ed un appuntamento a cui non dobbiamo mancare. La giornata infatti non si esaurisce nel giro di ventiquattro ore, ma intende incoraggiare le varie iniziative di solidarietà a favore dei Paesi di missione e più bisognosi di aiuto. È un invito rinnovato ogni anno a condividere i beni che abbiamo ricevuto dalla divina provvidenza e ad impegnarci sempre più nella preghiera e nella sofferenza.

La giornata missionaria è quindi un campanello d’allarme che vuole risvegliare la nostra sensibilità umana e cristiana. Non possiamo dimenticare quello che la stampa a suo tempo definì il grido di battaglia di Giovanni Paolo II, la sua lettera sulle missioni, frutto dei suoi numerosi viaggi missionari: “Moltitudini, milioni, miliardi di esseri umani non conoscono ancora il Signore e sono pur essi creature di Dio, sono suoi figli. Ogni parrocchia, ogni comunità, ogni cristiano deve sentire il dovere di condividere con tutti gli uomini non solo i beni materiali ma anche i beni spirituali di cui godiamo nella fede”.


Alle tante parabole raccolte dagli evangelisti ne vorrei aggiungere una che Gesù ci racconterebbe oggi, guardando la distribuzione attuale delle risorse che la divina provvidenza ha sparso nel mondo intero.

Il regno dei cieli è simile ad un padre di famiglia che fece un gran banchetto e pose in tavola una bella torta. Chiamò i suoi dieci figli e divise la torta in dieci parti, dicendo: Ecco, figlioli, fate festa, mangiate e voletevi bene. Ma partito il padre, i due figli più robusti, minacciando i fratelli, si buttarono sulla torta e ne inghiottirono ben otto pezzi; poi, sazi, lasciarono agli altri fratellini i due pezzi rimasti.

Gesù, terminata la parabola, si guarda intorno e ai suoi discepoli, a noi, dice: Che ve ne pare? Interpellati, i discepoli rispondono: Beh, che vuoi dire con ciò? Noi cosa c’entriamo? E Gesù spiega il senso di grande attualità: l’80% dei beni di consumo, che il Padre celeste ha messo a disposizione di tutti gli uomini, sono ingoiati dal mondo del benessere, quello ben sviluppato. Il 20% dei rimanenti beni viene dato da sbriciolare tra gli altri fratellini sottosviluppati ed esclusi.

E allora, se le cose stanno veramente così, diciamo pure: Padre nostro, che stai lontano, dacci il nostro pane quotidiano e vedi un po’ se puoi liberarci dal nostro male, dal nostro egoismo, dal problema dell’obesità e così resti il pane necessario anche per gli altri otto fratelli del mondo della fame.

A meno che non si voglia sperimentare la solita conclusione della parabola: Il padre, come vide l’ingordigia e l’egoismo dei due fratelli prepotenti, si infuriò e li cacciò fuori di casa.

Occorre che la civiltà dell’amore prevalga su quella dell’egoismo e San Paolo scriveva ai suoi cristiani non certo ricchi: Diamo perché si faccia l’eguaglianza.

Condividere i nostri beni materiali e spirituali, ricordiamolo, non è solo un atto di amore, di generosità, ma anche una restituzione. Dalla sofferenza di quei popoli, diceva il Fondatore dei missionari della Consolata, ne dobbiamo soffrire tutti e non tenere tutto per noi.

Tanti anni fa, in Tanzania, visitai un lebbrosario. Là una suora viveva da trent’anni. Un giorno si avvicina un lebbroso e le dice: Suora, lasciami baciare la tua mano. Perché vuoi baciarmi la mano? Perché, rispose il lebbroso, la tua mano è la mano di Dio. Partecipiamo anche noi a questa gioia che nasce dalla condivisione e dall’amore, così la nostra umanità soffrirà di meno e potrà conoscere lo stesso signore Gesù e sua Madre, Maria santissima.
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:29

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