Kenya: Diffuso il rapporto sulla povertà

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{mosimage}L’istruzione primaria gratuita, il decentramento dei finanziamenti allo sviluppo e la riduzione delle tariffe ospedaliere, tra cui la gratuità del servizio maternità, sono tutti elementi che hanno contribuito a una riduzione della povertà del paese nel periodo 2002-2006, anni in cui il Kenya ha registrato una crescita annua del Prodotto interno lordo del 6% in media. Lo sottolinea il rapporto sulla povertà dell’Ufficio statistico del Kenya, che dà una graduatoria dei 210 distretti in otto provincie divisi tra più “ricchi” e i più “poveri”.

Dai dati si evince una riduzione da 18,7 milioni di poveri a 16,6 milioni (2,1 milioni in meno) nel periodo di tempo indagato; gli statistici hanno definito “povera” una persona che non guadagna abbastanza per comprare la quantità minima di cibo sufficiente, parametro fissato a 1562 scellini (16 euro) al mese nelle zone rurali e 2913 scellini (30 euro) in città. “Sono dati che dimostrano come il paese si fosse messo sulla buona strada, pur con molto lavoro da fare, specie per la scuola e le infrastrutture, ma l’ultimo anno è stato una vera batosta per la popolazione, sia per le violenze elettorali sia per la crisi dei prezzi di cibo e carburante e anche per la siccità” dice alla MISNA da Nairobi padre Luigi Anataloni missionario della Consolata e direttore del settimanale ‘The Seed’ dell’agenzia stampa Catholic information service for Africa (Cisa), aggiungendo però che si cominciano a vedere i primi timidi segnali di una ripresa con la riduzione del prezzo del petrolio.

La diffusione del rapporto statistico ha già avviato qualche polemica politica, poiché in base ad esso saranno allocate le risorse del Constituency development fund (Cdf), il meccanismo introdotto nel 2003 e che padre Anataloni conferma essersi rivelato efficace per la distribuzione delle risorse e il maggiore coinvolgimento di amministrazioni e della società civile locale; nonostante i recenti problemi, il missionario ritiene che non ci possano essere stati forti cambiamenti in fondo alla lista, rispetto al 2006. In cima alla classifica dei più poveri c’è il distretto Turkana centrale con il 97% degli abitanti senza risorse per cibo sufficiente e con esso altri distretti Turkana, North Horr, Saku, Wajir, Kinando e Mandera, quest’ultimo dove lavoravano in aiuto alla popolazione colpita dalla carestia le due suore italiane recentemente sequestrate. “Sono tutti distretti a est e ovest del lago Turkana, nell’estremo nordovest, al confine con Uganda, Sudan ed Etiopia: territori dove l’agricoltura è difficile per il terreno inadatto e la crescente siccità, dove le comunità di pastori nomadi spesso si scontrano tra loro e con i gruppi sedentari per contendersi il poco che si ha” dice padre Anataloni. I distretti più ricchi indicati nel rapporto sono invece i tre di Kajado, città nella Rift Valley posizionata lungo importanti comunicazioni viarie con una buona presenza di fabbriche e di coltivazioni, e dove secondo gli statistici kenyani i poveri sono tra l’11 e il 14%; Wetlands, Kabete, Kiambaa, Ntonyiri, il quartiere di Nairobi Lang’ata, e poi Embakasi e Starehe completano la lista di quelli in situazione migliore, sebbene Starehe, la decima nella classifica, conti il 21% di poveri.

Secondo padre Anataloni attualmente l’emergenza è rappresentata dalla siccità che minaccia non meno di 4 milioni di persone, mentre l’altra priorità è di riportare in efficienza l’agricoltura in quelle zone dove i contadini erano fuggiti per le violenze elettorali; ma non bisogna essere pessimisti. “Il Kenya ha grandi potenzialità. Se si continuasse a ampliare la rete viaria e soprattutto ferroviaria, come si è cominciato a fare, potrebbe diventare una potenza commerciale regionale grazie ai collegamenti con i paesi vicini” conclude il missionario.
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:29

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