Momenti di vita missionaria! San Tarcisio, martire dell’Eucaristia, mia forza e mia vita.

Momenti di vita missionaria! San Tarcisio, martire dell’Eucaristia, mia forza e mia vita. Tutte le foto p. Tarcisio Foccoli
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Quando nel 2015 celebrai i miei 50 anni di Sacerdozio, accogliendo la richiesta fattami da tanti amici di raccontare momenti di vita di missione trascorsi in Sud Africa, pubblicai un opuscolo intitolato “Briciole di missione” con la storia della mia vocazione e vari avvenimenti vissuti negli anni. 

Oggi un motivo che mi ha spinto a scrivere di nuovo è il fatto che dopo 50 anni di presenza dei Missionari della Consolata in Diocesi di Dundee in Sudafrica, il 17 Ottobre 2021 c’è stato il saluto ufficiale con la consegna dell’ultima missione alla Diocesi. Questa consegna è stata fatta nella missione di Osizweni, dove io avevo trascorso gli ultimi nove anni in quel paese e il luogo dove ero riuscito a completare il mio programma di vita spirituale: dedicare una chiesa a San Tarcisio, il martire del quale porto il nome, il martire dell’Eucaristia.

Le radici del mio amore eucaristico

 Le radici del mio amore eucaristico si rimontano ai primi anni della mia vita. Ricordo che in preparazione alla prima comunione, la mia catechista, la signora Carlina, raccontò alla classe la vita di S. Tarcisio. A Roma, attorno all'anno 370 vi fu una grande persecuzione e tanti cristiani subirono il martirio. Ora capitò che un gruppo di cristiani fossero imprigionati e condannati a morte. Papa Damaso, che fu Papa dal 366 fino al 384, volle mandare a questi cristiani il pane consacrato, l’Eucaristia. Scelse Tarcisio, un ragazzo giovanissimo pensando che non sarebbe stato notato e invece per strada fu fermato da un gruppo di giovani che lo aggredirono con violenza. Desiderosi di vedere che cosa stringesse sul cuore, cercarono di aprirgli le mani ma non riuscendo picchiarono Tarcisio a morte. Quando soppraggiunse un soldato cristiano di nome Quadrato non c’era più niente da fare. Il soldato, vedendo il ragazzo già morto, lo prese tra le braccia e lo portò da Papa Damaso, nelle catacombe e il Papa, ricevendo il corpo di Tarcisio, vgli aprì le mani e le braccia che ancora erano strette sul cuore. Papa Damaso sotto le braccia e nelle mani del piccolo martire non trovò il pane consacrato: Gesù eucaristico era stato assorbito dallo stesso corpo di Tarcisio.

Questo particolare mi colpì così tanto che ricevendo la Prima Comunione chiesi a Gesù che fossi pure io disponibile e capace di trasformarmi in Gesù stesso, tanto più che portavo il nome di Tarcisio.

Entrato in seminario tantissime volte ebbi l’incarico del servizio di sacrista della comunità. Per me fu sempre un gioioso servizio: preparare gli altari, il calice, le ostie da consacrare, i paramenti sacri per il sacerdote celebrante e l’essere tanto vicino al tabernacolo. 

Divenuto Sacerdote, negli auguri e felicitazioni del giorno della mia ordinazione tantissime volte mi si diceva:“P. Tarcisio, tu sei un altro Cristo!”, e questo suscitava in me sentimenti di gioia e pregavo perché potessi essere degno e fedele a Cristo e alla missione.

Forte era anche in me il messaggio del Padre Fondatore dei missionari della Consolata il Beato Giuseppe Allamano: di essere Missionari eucaristici, perché l’eucaristia è la fonte e il vertice di tutta l’evangelizzazione. Diceva infatti l’Allamano: “L’Eucaristia è il tempo più bello della nostra vita!”. Anche oggi, dopo oltre 55 anni di sacerdozio, le parole dell’Allamano risuonano fortemente nel mio cuore.

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Gli anni in Sud Africa

La mia partenza per il Sud Africa si rimonta al 31 Gennaio 1977. Negli anni che vanno dal 1982 fino al 1991 ho svolto il mio ministero pastorale nella missione di Ermelo, cittadina ai margini della provincia di allora Tranvaal con oltre 20 mila abitanti bianchi, roccaforte boera, garante dell’osservanza scrupolosa delle leggi dell’apartheid. Molto visibili erano le scritte: “per i soli bianchi o europei” o “per i non europei”.

A pochi chilometri da Ermelo, addossata su una collina, si trovava Wesselton, la riserva nera, con oltre 30 mila abitanti, appartenenti a varie tribù: gli Ndebele, gli Suwana e gli Zulu. Molti uomini della riserva trovavano lavoro nella miniera di carbone e nella centrale elettrica; invece le donne lavoravano nel servizio delle case dei bianchi e nei supermercati.

In quegli anni ho vissuto e visto da vicino la lotta per sconfiggere l’ingiustizia dell’apartheid e la violenza che accompagnò tutti quegli anni. Nelle comunità africane si organizzarono vari movimenti di liberazione e ogniuno cercava di rastrellare nuove adesioni spesso obbligando anche violentemente i giovani a far parte del proprio movimento. Anche alcuni giovani  appartenenti alla comunità cattolica, che conoscevo bene, erano stati obbligati a partecipare ai movimenti politici e avevano perso il lavoro nella zona dei bianchi. Cosa potevo fare per aiutarli? 

Decisi di ospitarli in due stanze della mia casa in città, nella zona riservata ai bianchi. Loro, terminato il lavoro, invece di tornare a casa venivano alla mia residenza dove trovavano qualche cosa da mangiare e poi trascorrevano la notte al sicuro, potendo così al mattino seguente far ritorno al lavoro.

Una notte mi svegliò il rumore di grossi veicoli. Sbirciando dalla finestra vidi subito che le grosse macchine della polizia avevano circondato la casa. Andato alla porta d’ingresso da dove sentivo un violento bussare, aprii e mi vidi puntare al cuore un fucile automatico. Con un gesto, che mi ricordò Don Camillo di fronte a Peppone, girai la canna del fucile altrove mentre il comandante dell’operazione mi investiva con parole in una lingua che non conoscevo: il boero. Mi feci forza e con calma chiesi prima in zulu e poi in inglese, di ripetere, in una delle due lingue, che cosa aveva detto. Mi rispose in inglese: “Lei è un fuori legge, tiene qui un raduno di ragazzi rivoluzionari. Dove sono i giovani?”. Risposi con calma: “Se lei mi promette di essere gentile e buono, le faccio vedere i miei giovani rivoluzionari!”. Condussi così il comandante alla stanza dove i ragazzi stavano tranquillamente dormendo su materassini, accesi la luce e i ragazzi si svegliarono. Vidi il terrore nei loro occhi. Io con una calma di cui ancora oggi mi meraviglio dissi al comandante prima ancora che potesse parlare: “Ecco i miei ragazzi rivoluzionari!”. Il comandante mi avvertì che ero controllato dalla polizia e poi augurò a me e ai ragazzi buon riposo. 

Negli anni 1985, 1986 e 1987 gli scontri-incontri con la polizia si fecero frequenti: ogni giorno visitavo la mia gente nella riserva ma era frequente trovare notizie di nuovi morti. 

Tra i morti ricordo in modo particolare il caso di Benedict che era chierichetto nella riserva di Breyten, comunità a 10 Km da Ermelo. Appresa la notizia della sua scomparsa senza esitazione andai a cercare il ragazzo nella stazione di polizia. Mi fu difficile trattenere le lacrime. Il ragazzo aveva un chiaro foro al centro della sua fronte. Alle parole della polizia che affermava d’aver sparato in aria, mettendo io la mano sulla fronte del ragazzo dissi: “Avete mirato bene e l’avete ammazzato!, Voi, avete mirato al ragazzo e l’avete colpito proprio in fronte!”. 

Lasciata la missione di Ermelo, l’obbedienza mi portò a trascorrere felicemente tre anni in Italia, dal 1994 al 1997, a Gambettola in provincia di Cesena Forlì. Poi nel 1998 potei ritornare in Sud Africa e la mia missione fu quella di Osizweni dove arrivai il 6 Settembre con in mente tanti progetti da realizzare. Durante i tre anni trascorsi in Italia avevo potuto rinsaldare tante relazioni ed avere un solida retroguardia di benefattori. 

Mi fu detto che il primo nome del luogo era stato Osizini, “luogo del dolore”, ma poi il nome fu trasformato in Osizweni “luogo dell’aiuto” dopo che il governo del Kwazulu Natal aveva costruito un centro per gli handicappati. Mi impegnai in molti programmi di solidarietà soprattutto a favore dei numerosissimi bambini della missione ma volli anche realizzare quel sogno che mi ha accompagnato tutta la vita: dare a San Tarcisio e all’Eucaristia il posto privilegiato di vita nella comunità.

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Roma: Catacombe di San Callisto: San Tarcisio Martire.

Ottenuto dal Comune di Newcastle un terreno anche più grande di quello richiesto e sperato a Mndozo, nella periferia nord di Osizweni, feci costruire una sicura siepe con due grandi cancelli prevedendo la possibile costruzione di un asilo. Preparai anche il quadro di San Tarcisio, opera di una pittrice veronese, a cui la chiesa doveva essere dedicata. 

Il Papa San Giovanni Paolo II aveva proclamato l’anno 2004 “l’anno dell’Eucaristia”. A conclusione quindi dell’anno dell’Eucaristia mettemmo in programma la solenne apertura della chiesa dedicata a San Tarcisio martire. In quell’occasione organizzammo le prime Missioni popolari. Mi accompagnarono due fratelli francescani: Francis e Benedict. Alloggiati dai fedeli, visitarono tutte le famiglie, vicine e lontane, chiamando il Sacerdote per le confessioni degli ammalati ed anziani che non potevano venire alle celebrazioni. Veri collaboratori furono i catechisti, i lettori e i responsabili di gruppo, i giovani dando un unico messaggio: Cristo presente nell’Eucaristia! “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! (Gal. 2,20). 

L’inaugurazione si tenne la domenica 18 Luglio 2004. La chiesa di San Tarcisio era insufficiente per contenere tutta la folla presente, perciò la celebrazione fu tenuta all’aperto. Sua eccellenza Mons. Michael Paschal Rowland, vescovo di Dundee presiedette la cerimonia. Presente pure P. Josè Luis Ponce De Leon, allora superiore del gruppo dei missionari della Consolata in Sud Africa ed ora vescovo in Manzini, e ci fu anche la partecipazione totale della comunità cristiana della missione. 

Sono certo che la Chiesa di San Tarcisio, divenendo il Centro per i raduni dei vari gruppi Ecclesiali, oltre che ad ospitare l’Asilo Umduduzi ed essere sede di residenza del sacerdote e il Noviziato per le Suore francescane, continua ad essere il segno visibile della presenza di Cristo nella chiesa e nella comunità.

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Last modified on Sunday, 20 March 2022 15:56

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