La vita spesa bene

La vita spesa bene G.Ardila IMC
Published in I missionari dicono

Sono tanti i pensieri, le invocazioni e i ricordi che ognuno di noi si porta nel cuore in un giorno come questo. Guardando le foto dei nostri missionari e missionarie ricordiamo quelli con i quali abbiamo avuto relazioni, scambi, magari anche qualche confessione. Tutto questo fa parte della nostra vita, del nostro bagaglio... ce lo portiamo dentro.

Quando qualcuno se ne va, certamente anche un pezzo di noi se ne va, certi discorsi, certe riflessioni, certi momenti di condivisione non torneranno più.

Questa è la nostra vita e il nostro camminare di ogni giorno:  cosí come siamo fatti per vivere siamo anche fatti per morire, il Covid c'è l'ha ricordato mettendo in evidenza le nostre fragilità, i nostri limiti e le nostre difficoltà. 

Per noi la memoria è importante, è quella che ci mantiene vivi, che ci da una identità. È triste a volte incontrare qualche nostro anziano che fra tutti gli acciacchi sta perdendo anche la memoria, non sa più né chi è, né dove va, ne dove sta... è la cosa più triste, a volte si può accettare di più la sofferenza fisica che perdere la memoria e perdersi nel deserto della vita e dell'anima.

Una cosa è certa:  è importante, doveroso e bello per ricordare perché la memoria con la quale ricordiamo i nostri defunti aiuta anche noi che siamo ancora vivi. Pensare a coloro che sono stati con noi, e adesso non ci sono più, è uno stimolo per vivere meglio la nostra vita. La cosa più bella che possiamo fare ricordandoli, prima ancora della preghiera, è vivere bene la nostra vita.

Mi sembra che in questi ultimi anni come comunità missionaria, forse spinti dalla tristezza di tanti che se ne sono andati, abbiamo recuperato più di prima l'attenzione a quelli che ci lasciano.  

In questa eucaristia della memoria ho preferito lasciare le letture previste dalla liturgia odierna, la prima lettura tratta dal libro dei Maccabei (1,10-15.41-43.54-57.62-64) ci presenta la figura di questo re che impone in modo violento la cultura ellenista e obbliga il popolo di Israele a cambiare. Tanti si adeguano: cambiano le scuole e il culto nel tempio  perché la nuova logica è arrivata; invece altri non accettano questo cambio e sono disposti a morire pur di mantenere fede al loro impegno di figli di Dio e figli di Israele. E cos'è la vita e la morte se non questo. Che senso ha la vita se non hai un valore e non hai niente, se accetti tutto, dici sempre di sì e non riesci mai a contestare con valori, con idee, con atteggiamenti, con segni, con gesti. Nel giorno in cui ricordiamo i nostri defunti mi pare bellissimo ricordare che la nostra vita ha senso solo se ci sono valori e una passione per cui siamo disposti anche a morire. Quanti nostri fratelli sono morti così. Forse seguendo un'altra logica magari sarebbero potuti vissuti molto di piú. Faccio solo un riferimento recente, anche se sono tanti quelli di cui potremmo dire lo stesso: il padre Frizzi. Se fosse stato a Roma o in Italia sarebbe certamente stato più protetto, magari sarebbe anche vissuto molto di più e poteva ancora lasciarci qualche insegnamento. Eppure non c'è più perché il Signore se l'è preso ed è bello ricordarlo perché è uno che con amore e con passione ha vissuto la sua vita e ha avuto il coraggio delle sue idee. 

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Immagi della celebrazione della memoria in Casa generalizia. Roma. Foto G.Ardila IMC

A volte il problema che noi abbiamo in questo mondo oggi, e forse anche nel nostro Istituto perché siamo comunque nel mondo, è la paura generalizzata di prendere posizione e di manifestare una certa libertà di spirito. Questo è quello che ci fa vivere, ci fa andare avanti, diventa una ricchezza anche per la comunità e l'Istituto; è meglio incontrare un fratello che ti fa anche arrabbiare invece di uno che se ne sta buono buono, ma non cresce niente, non matura niente, non va avanti niente. Mi é sembrata bella questa prima lettura perché ci ricorda l'essenziale del nostro vive e del nostro morire. Siamo fatti per vivere e morire nel Signore ma con ideali, con valori, con passione e con umanità. Senza questo la nostra vita è poca cosa.

Il Vangelo (Lc 18, 35-43) ha come protagonista il cieco di Gerico. Neanche lui ha paura e si vergogna a farsi sentire: alcuni gli dicono di star zitto e invece lui grida ancora piú forte, non vuole perdere l'occasione del passaggio di Gesù. La tristezza più grande che ci portiamo nel cuore è pensare quante volte Gesù è passato nella nostra vita e noi non abbiamo gridato più forte perché ci siamo vergognati degli altri, delle nostre paure, delle nostre piccolezze, dei nostri egoismi. Quante volte Gesù è passato nella nostra vita e noi non abbiamo avuto il coraggio di gridare e non l'abbiamo visto. Vivere è accogliere il passaggio di Gesù nella nostra vita, questo ci permette morire serenamente perché l'abbiamo incontrato. La preghiera di Simeone che facciamo ogni sera nella compieta è una preghiera bellissima: "grazie perché ho visto la salvezza, ho incontrato il salvatore". Ogni giorno il Signore passa, magari in tante occasioni manchiamo all'appuntamento ma poi capita che lo incontriamo e lì la nostra vita cambia. 

Un teologo italiano che a me piace molto, Turoldo, parlando della responsabilità di vivere diceva: "nella bibbia il discorso su Dio non è collegato alla paura di morire, ma è legato alla responsabilità di vivere e quando si vive anche la morte diventa un dono di Dio. Anche se Dio è amante della vita e lui stesso è la vita, per noi non morire sarebbe il massimo dell'infelicità, sarebbe l'eternità dell'esilio, un sospirare senza mai esauditi, un viaggiare senza porto. Perciò lodiamo Dio che a un certo punto ci dirà tornate o figli, tornate a casa".

Anche il Fondatore questo l'ha vissuto con il suo stile, semplice, dimesso, senza grandi fanfare. Lui aveva una cosa ben chiara una cosa: nella sua vita doveva fare la volontà di Dio. Così un giorno, già verso la fine della sua vita, diceva in un incontro domenicale con le Missionarie: "vedete, il Signore ha voluto provarmi un po' ma la mia malattia era una malattia comoda: sono vecchio e secondo il medico ho bisogno di dormire e riposare. Se andiamo ai particolari il cuore è buono, i polmoni sono sani ma deboli. Che cosa facciamo allora? Cercherò di darvi un po’ di vita. Che cosa volete quel che si deve fare si fa, è un obbligo anche quello, e quando ho avuto bisogno di cure le ho fatte, ma sempre soggetto alla volontà di Dio. Si faccia sempre la sua santa volontà. In questo tempo ho domandato al Signore di guarire, se era sua volontà, non ho mai domandato al Signore che mi prolungasse la vita, ma questa volta l’ho fatto. È vero che la mia missione è compiuta, ma avrei bisogno ancora di qualche mese per qualche cosa. Certo non sono un colosso e non devo esserlo, sarebbe una cosa fuori luogo, ma solo chiedo di poter fare il dovere verso di lui e verso di me. Sono tante le cose che mi stanno a cuore, il Signore ha ascoltato le vostre preghiere. Quelle là chiederanno anni e anni e non due o tre mesi, ma allora, dicevo io al Signore, mettiamo solo il necessario. Anche San Giuseppe, sapendo quel che si fa, mi ha ristabilito un po': certo non posso fare tutto quel che vorrei fare ma posso fare abbastanza, del resto continuare a pregare che si faccia la volontà di Dio, ciò che è bene per tutti. Alle volte noi crediamo che sia meglio una cosa e invece è meglio un'altra. Il Signore adesso ha dimostrato che era meglio che mi desse un po' di salute e io la prendo, ma io non voglio morire ne ora, né prima né un'ora dopo di quella che ha segnato per me la divina provvidenza perché so che quell'ora è meglio per me e così sarà meglio anche per voi".

Che bello, il Fondatore era libero anche davanti alla morte, chiediamo questo per noi e che gli angeli custodi ce lo insegnino nella nostra vita. 

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padre Stefano Camerlengo, Superiore Generale. Foto G.Ardila IMC

Last modified on Thursday, 25 November 2021 14:02

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