93 anni fa a Torino è volato al Cielo il Beato Giuseppe Allamano, la cui festa i Missionari, Missionarie e Laici della Consolata e tutti coloro che respirano della sua spiritualità missionaria, celebrano ogni anno il 16 febbraio. Fu in questo spirito celebrativo che, sabato scorso, le comunità della Famiglia Consolata attorno a Roma sono convenute a Nepi, alla Casa Generalizia delle Missionarie della Consolata per segnalare la giornata di festa.
P. Stefano Camerlengo, Superiore dei Missionari della Consolata, ha presieduto all’Eucaristia che ha celebrato con il calice del Beato Giuseppe Allamano, in argento e intagliato a mano, ristorato per l’occasione, come ha informato Sr. Renata Conti.
Durante l’omelia ai presenti fu ravvivata la memoria ed esortato a che custodiscano tre parole celebrando la Festa del Beato Fondatore: contemplate la sua “presenza di padre”, come lui “tutto fare per il Vangelo”, capire che “il meglio sta ancora per venire”.
All’inizio, vengono citate le parole del Canonico Cappella, che sottolineano il modo come l’Allamano incontrava ogni persona che lo andava a trovare. Con un’attenzione ai dettagli su ciò che gli veniva detto, ascoltando come se non avesse altro da fare, e poi condivideva i suoi consigli. Il Can. Cappella commenta su questa presenza paterna dell’Allamano - riferisce P. Stefano - che quando uno se ne andava era sicuro che quel consiglio era ciò che si doveva fare, quella era la volontà di Dio, poiché Dio aveva parlato per il suo ministro, per il suo servo. Proprio della stessa delicatezza del servo sofferente di cui si era ascoltato nella prima lettura - continua P. Stefano - che non smortisce lo stoppino fumicante. Invita quindi a non essere sempre critici con tutto e tutti, a non dire che niente va bene, a non cercare di imporre la propria visione. “L’Allamano non aveva bisogno di imporsi, con amabilità, con attenzione, con delicatezza” era presenza di padre che guida i suoi figli e figlie.
Anche riguardo al “tutto faccio per il Vangelo”, parole di Paolo nella seconda lettura, l’Allamano è diventato esempio per noi, ricorda ancora P. Stefano. L’avere fondato gli Istituti dei Missionari (1901) e delle Missionarie (1910) della Consolata è la testimonianza concreta che il nostro Padre Fondatore ha fatto tutto per il Vangelo, lui “che poteva stare tranquillo a fare il canonico”. Sentendo la necessità della Chiesa torinese di aprirsi alla missione, la necessità del mondo di accogliere il Vangelo, il Canonico della Consolata si è lasciato scomodare e si è lanciato in questa impresa profetica di annunciare il Vangelo a coloro che non lo conoscono. Quindi, ai presenti rivolge la sfida a verificare se davvero ciò che ciascuno fa lo fa veramente per il Vangelo.
Il Signore affida la missione a dei discepoli che sono fragili, alcuni non credono ancora nella Sua risurrezione. “Questa fragilità diventa una ricchezza se ci porta ad avere fiducia nel Signore e nei fratelli”, dice P. Stefano. A volte si ha la tentazione di guardare nostalgici verso il passato o a domandarsi quando verremo a finire. “Il meglio sta ancora per venire” - ricorda le parole di colui che per un infarto era quasi morto - e coloro che ci hanno preceduto ci invitano a vivere con questa profonda fede. “Questa festa deve darci il coraggio di andare avanti e di tutto fare per il Vangelo”, conclude P. Stefano.
I canti dell’Eucaristia, in varie lingue, furono animati dalle Consorelle della Casa di Nepi, coadiuvate dai confratelli del Seminario di Bravetta. Alla celebrazione erano anche presenti alcuni Laici con chi abbiamo ricordato e celebrato il fatto che lo spirito dell’Allamano continua vivo ed è anche presente nella vita di tanti laici impegnati, amici e benefattori che con i missionari consacrati condividono il suo carisma.
E, come riferiva l’evangelista Luca riguardo alla comunità apostolica quando diceva “prendevano il cibo nelle loro case”, tutti i presenti si sono radunati attorno ai tavoli di condivisione fraterna preparati dalle Missionarie della Consolata, concludendo così questa celebrazione di famiglia.