I fratelli religiosi degli Istituti Missionari di Fondazione Italiana, missionari Comboniani, della Consolata, del PIME e Saveriani, si sono riuniti a Roma per un convegno nazionale. Il convegno aveva come tema: “Fratelli in una Missione comune: in cammino con la Laudato Si”. Il convegno è iniziato il 26 settembre 2023 presso la casa generalizia dei Missionari della Consolata.

Sedici fratelli appartenenti ai quattro Istituti Missionari di Fondazione Italiana hanno partecipato a questo incontro.

È stato un momento di grazia e di condivisione fra noi fratelli”  ha detto uno dei fratelli.

“Siamo sempre impegnati con tante cose da fare e a volte ci dimentichiamo di partecipare ad un incontro come questo nel quale ci si trova e si ha l'occasione di imparare dagli altri. “Questo è un tempo favorevole di aggiornamento dopo la fatica e il peso delle nostre attività missionarie” ha aggiunto un altro  fratello.

L'iniziativa di questo convegno dei fratelli è nato dal desiderio di analizzare insieme le problematiche attuali relative al nostro essere fratelli missionari e dal desiderio di conoscere il cammino dei fratelli all’interno dei diversi Istituti.

Questo convegno è il secondo dopo quello del 2019 che aveva come tema: “Identità e Missione del Fratello Religioso nella Chiesa”.

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Contributi di alcuni esperti

Durante il convegno, per vivere bene questo momento di fraternità e di condivisione, sono intervenuti nella riflessione  alcuni esperti.

Il Dottor Lucio Lamberti, economista e docente, ci ha presentato l’enciclica “Laudato Si” e ha sottolineato che la dottrina sociale della chiesa ha avuto da sempre un focus sul rapporto tra uomo e creato.

Ecco perché l’argomento principale trattato è l’interconnessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità, ossia l’ecologia integrale. Papa Francesco ha precisato infatti  che “non si tratta di un’enciclica verde ma di un’encicla sociale”

Fratel Alberto Parise, comboniano, nella sua presentazione si è focalizzato sulla piattaforma di azione, percorsi di attuazione dell’enciclica. Ci ha fatto conoscere come possiamo partecipare a questa piattaforma in quanto comunità missionarie, ma anche l’importanza di andare oltre alle singole azioni virtuose per fare sistema.

Don Giacomo Incitti, canonista, ha basato la sua relazione sull’aggiornamento sulla questione “Istituti Misti” e considerazioni riguardo il rescritto di Papa Francesco.

Nel tempo dedicato ai lavori di gruppo si sono condivise le esperienze e le situazioni missionarie.


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Messa di chiusura

“Vi incoraggio a continuare con lo stesso spirito missionario e di fraternità”.

Il 28 settembre 2023, dopo un momento di aggiornamento e di fraternità, siamo giunti alla fine del nostro secondo convegno nazionale dei fratelli degli istituti missionari di fondazione italiana. Abbiamo reso grazie a Dio per il dono della vocazione e per tutto quello che ci ha fatto compiere fino ad oggi.

Con canti di gioia, i fratelli hanno celebrato la Messa di chiusura presieduta da P. James Lengarin Bhola, Superiore generale dei missionari della Consolata e concelebrata da P. Fernando García Rodríguez, Superiore generale dei missionari Saveriani.

Durante la sua omelia, Padre James ci ha incoraggiato dicendo : “ È bellissimo vedere i fratelli riuniti per 3 giorni di convegno; vi incoraggio a continuare con lo stesso spirito missionario e di fraternità”. Dobbiamo essere pronti a cercare l’interesse del Signore nella nostra vita attraverso la nostra consacrazione affinché continuiamo ad essere testimoni veri e credibili del Signore.

20 Settembre 2023: celebriamo i centocinquanta anni di Ordinazione sacerdotale del Beato Giuseppe Allamano. Mentre stiamo ancora godendo la notizia dell'approvazione, da parte del Dicastero per le Cause dei Santi, del miracolo che dovrebbe portarlo alla canonizzazione, è importante riflettere sulla connessione dei due eventi: per lui, ma soprattutto sulle loro implicazioni nella nostra vita. 

Vale la pena ricordare che, il 10 agosto 1973, padre Mario Bianchi, allora Superiore Generale dell’Istituto, aveva scritto una lettera commemorativa, nella quale invitava i missionari a celebrare il centenario dell’ordinazione sacerdotale del Fondatore. Aveva, inoltre, invitato tutti, i missionari che condividevano con il Fondatore lo stesso sacerdozio ministeriale, i fratelli e le suore che partecipavano al carisma missionario del Fondatore, e gli studenti, che si preparavano ad essere futuri Missionari della Consolata, a riflettere sul sacerdozio nella vita e spiritualità dell’Allamano e sulla sua presenza nell’Istituto. 

È con grande gioia che noi suoi missionari, cinquant'anni dopo, celebriamo ancora questo evento. Ogni periodo cinquantenario rappresenta un Giubileo, che segna la fedeltà di Dio nella vita di una persona, festeggiando, altri cinquant'anni dopo, lo stretto rapporto tra santità e sacerdozio.

Un santo è una persona che viene identificata dalla Chiesa, dopo la sua morte, come un esempio di fede, morale e impegno cristiano. Il sacerdote è una persona che si offre generosamente nel servizio al popolo di Dio, che offre fedelmente il sacrificio eucaristico e la preghiera per il bene della Chiesa, portando speranza alle persone, in cui il calore dell'amore di Dio, la misericordia e il perdono non si sentono. 

Questo è il motivo per cui Il sacerdozio dell’Allamano è un aspetto da meditare. Fu, con tenacia e passione, un vero sacerdote. La sua vita in seminario fu fatta di esercizi ascetici che prepararono il suo essere al ministero sacerdotale che lo attendeva. Ciò era evidente nel suo impegno generoso e sistematico verso la perfezione e la santità, nel suo duro lavoro e sacrifici quotidiani.

Consapevoli del nostro sacerdozio ‘comune e ministeriale’, ci rendiamo subito conto di quanti passi verso la santità l'Allamano avesse fatto fin dall’inizio del suo cammino verso il sacerdozio. La sua vita sacerdotale fu notevole. Si distingueva per la sua unità, armonia ed equilibrio tra contemplazione e azione. Era un riflesso della sua vita interiore e del suo intimo rapporto con Dio attraverso la preghiera. Era centrato nell'Eucaristia e nell'amore per la Consolata.

Siamo tutti d'accordo sul fatto che la dottrina dell’Allamano sul sacerdozio fosse piuttosto tradizionale, anche se aperta ai problemi del tempo. A differenza di oggi, quando i missionari sono valutati e pesati per il lavoro che svolgono e non per quello che sono, la visione del sacerdozio dell’Allamano metteva in primo piano la persona del sacerdote. Per lui, la dignità del sacerdote era regale, angelica e divina; in quanto tale, non è mai stata concepita in senso trionfalistico, ma in senso dinamico: dall’impegno per la santificazione personale prima, e poi per il ministero pastorale in mezzo al popolo di Dio. Il nostro Fondatore capì questo segreto, e per questo continuava a ricordare ai suoi missionari che se non fossero stati buoni religiosi, sarebbero diventati dei pessimi missionari. 

La celebrazione del sacerdozio del nostro Fondatore ha implicazioni concrete sulla nostra vita e sul nostro ministero, offrendoci ispirazione e orientamenti per la nostra vocazione missionaria. Questo perché, in virtù e con la grazia del carisma di fondazione ricevuto da Dio, il Fondatore è molto presente tra noi, nell’Istituto da lui fondato. La presenza di un padre in una famiglia ha un valore innegabile, come esempio e guida. 

La sua vita vuole sfidarci, perché anche noi possiamo rendere anche la nostra, via alla santità. Il suo spirito meditativo, strutturato sul silenzio profondo e sul raccoglimento, costituisce la tonalità della sua spiritualità missionaria. Questo ovviamente ci ricorda la necessità di fare bene il bene, senza pubblicizzarlo e senza aspettarsi eloghi, o altro. L’esempio dell’Allamano in questo è limpido ed evidente, era davvero all'altezza del compito. Ecco perché Egli è il nostro miglior esempio di come seguire Gesù fedelmente e come servire il popolo di Dio, con impegno.

In secondo luogo, l’Allamano non poteva immaginare un prete senza la Chiesa. Il suo amore per essa era evidente a tutti, cominciando dalla sua diocesi nella quale ha servito tutta la vita, alla Chiesa universale, alla quale ha offerto i suoi figli come prolungamento di sé stesso. Oggi, quindi, il nostro Fondatore esige amore per la Chiesa. 

L’amore dell’Allamano per la Chiesa era evidente attraverso il suo zelo nel servire in qualunque incarico gli venisse richiesto. Per noi l'amore alla Chiesa non può essere separato dall'amore all'Istituto, perché serviamo la Chiesa negli incarichi particolari che ci vengono affidati.

Terzo, il sacerdozio dell’Allamano dimostra cosa vuol dire essere docili allo Spirito di Dio. Come tale, che attraverso i superiori orienta la volontà di Dio per noi. Come il Fondatore che si aprì alle ispirazioni dello Spirito Santo, dobbiamo imparare che la docilità alla voce di Dio e il coraggio di fare ciò che dice è molto più importante che aderire rigidamente ai propri progetti, che finiscono per diventare monumenti di orgoglio che non durano. La docilità allo Spirito di Dio e il coraggio di compiere la volontà di Dio richiedono flessibilità da parte nostra. Solo chi è sufficientemente flessibile è in grado di sacrificare i propri desideri, sogni e ambizioni per realizzare ciò che lo Spirito gli indica anche se non è ciò che avrebbe desiderato. In altre parole, la docilità allo spirito e il coraggio di fare la volontà di Dio ci chiamano alla disponibilità e alla flessibilità.

Infine, il sacerdozio dell'Allamano ci ricorda l'importanza fondamentale dello spirito di famiglia. La comunità del Santuario della Consolata a Torino ha offerto sia all’Allamano come al Camisassa lo spazio in cui avrebbero servito il popolo di Dio lì presente. Quella comunità è stata il fondamento di quanto ha fatto il nostro Fondatore nella diocesi e nell'Istituto. In altre parole, quella comunità poteva creare o distruggere non solo la serenità vocazionale necessaria per il suo buon lavoro, ma anche il suo servizio al popolo di Dio nel Santuario. Vale a dire, la salute di una comunità determina la possibilità o l'impossibilità della santificazione personale e della prestazione apostolica.

 Grazie a Dio, la comunità del Santuario della Consolata di Torino è stata un ‘forum’ positivo dove è stata apprezzata la correzione fraterna e l'amicizia è maturata in fraternità. Questi finirono per diventare trampolini di lancio verso la santità. Precisamente, il sacerdozio dell’Allamano ci insegna che la vita missionaria è possibile e più facile dove si coltiva lo spirito di famiglia.

Mentre celebriamo questo importante anniversario, chiediamo a Dio che, attraverso l'intercessione del nostro Fondatore e della Consolata, anche noi possiamo trasformare le nostre comunità traballanti in cammini verso la santità.

 

Gli sguardi hanno un potere immenso nel rivelare ciò che le parole non possono esprimere. Questi sguardi, carichi di stupore, curiosità e autenticità, mi mostrano che in questo angolo del mondo, la connessione umana si forgia attraverso gli occhi, un linguaggio universale profondo e misterioso.

Appena arrivato in Africa, sono andato a visitare i giovani italiani che ho accompagnato nella loro formazione e preparazione per la loro esperienza nel continente. Erano già stati diverse settimane nel paese, quindi li ho visitati presso il "Centro Cottolengo", un luogo specializzato per bambini orfani affetti da HIV/AIDS. Tra abbracci, risate e sorprese, mi hanno mostrato il luogo. Dopo aver salutato i bambini e osservato le attività che stavano svolgendo, ho chiesto a alcuni di loro cosa li avesse colpiti di più fino a quel momento. Molti di loro hanno risposto cosí: "il modo in cui le persone, soprattutto i bambini, ti guardano; i loro sguardi hanno uno splendore speciale".

Credo che chiunque abbia avuto l'opportunità di trovarsi in missione si sia imbattuto in uno sguardo affascinante. È difficile spiegare come ti guardino: sono sgardi di stupore, curiosità o novità, ma è certo che ti guardano direttamente negli occhi. È uno sguardo che parla, comunica, trasmette, confonde. Mille pensieri attraversano la tua mente, non puoi tradurre quell'occhiata in parole ma resta impressa nella tua mente e nel tuo cuore. Dietro ogni sguardo, c'è una storia da raccontare. Sono testimonianze silenziose di vite, piene di passione, gioia, tristezza e speranza.

Oggi, nei nostri paesi e nelle grandi città, abbiamo perso la capacità di guardarci negli occhi, qualcosa che un tempo era essenziale per l'umanità. Nella comunicazione digitale, non abbiamo nessuno di fronte a noi; assumiamo una realtà incorporea. Sempre più spesso ci immergiamo in queste rappresentazioni virtuali. Gli sguardi vengono sostituiti da emoticon e GIF, e le parole scritte rimpiazzano l'intonazione della voce e i gesti espressivi. Tra avatar e filtri, costruiamo la nostra quotidianità.

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È vero che la comunicazione digitale ci offre vicinanza e la possibilità di creare reti e condividere idee, il che è qualcosa di magico. È diventata parte fondamentale della nostra vita, specialmente per coloro che sono lontani da casa. Tuttavia, cela un potere silenzioso che tutti utilizziamo; il controllo delle nostre interazioni. Oggi dobbiamo chiedere il permesso per chiamare le persone e allontanarsi dal mondo è diventata una possibilità. Possiamo rispondere ai messaggi quando vogliamo, attivare filtri per i commenti, silenziare i profili e creare liste esclusive, ci immergiamo nella dinamica di accettare o rifiutare, cosa che non accade nella presenza fisica, anche se le tecnologie ci offrono la comodità della comunicazione in qualsiasi momento e luogo, spesso sacrificando la nostra capacità di guardare nel mondo reale.

È difficile tornare indietro nel tempo, poiché non possiamo immaginare una vita senza internet. Allo stesso tempo, sentiamo il bisogno di guardarci, non attraverso uno schermo, ma di persona. Cercando quegli sguardi che creano legami, complicazioni che scatenano amori, quegli sguardi che stabiliscono una connessione unica, una danza invisibile e fugace, sguardi che ispirano, suscitano empatia e ci ricordano che, nonostante le nostre differenze, condividiamo tutti la stessa umanità.

Imparare a guardare senza pregiudizi né supremazie è la grande sfida che l'umanità affronta. Oggi, l'Africa mi invita a imparare di nuovo a guardare, a continuare ad ampliare i miei orizzonti, questa volta non guardando il mare ma contemplando e camminando nella savana africana, con curiosità, stupore e ammirazione, sono le qualità di questi sguardi. È nel percorso che imparo a guardare con il cuore, come diceva la volpe al Piccolo Principe: "Si vede bene solo con il cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi".

"Che queste fotografie ti ispirino a coltivare il tuo sguardo, trovando in esse l'autenticità in ogni espressione e scoprendo la ricchezza della connessione umana nel mondo che ti circonda."

* Francisco è laico Missionario della Consolata in Kenya

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La visita è una componente della nostra esperienza umana, un fatto antropologico che assume caratteristiche particolari in ogni tempo e luogo, a seconda delle culture, dei popoli e delle società, diventando così un fatto culturale.

Nella Bibbia Dio è spesso presentato come colui che visita e consola il suo popolo con buone notizie di liberazione e di pace. Gesù è la migliore espressione della visita di Dio all'umanità, e dopo di lui seguono le visite dei suoi discepoli missionari, inviati fino ai confini della terra e alla fine dei tempi.

Anche nel Vicariato di Puerto Leguízamo Solano, nei territori amazzonici del Caquetá e Putumayo (Colombia) e ai confini con l'Ecuador e il Perù, la visita è una parte importante dell’impegno pastorale di Mons. Joaquín Pinzón e tutti i missionari che lo accompagnano, fa parte della loro quotidianità missionaria.

Il giovane seminarista Alfredo Cortés ha voluto raccontare la visita a Puerto Refugio, territorio indigena ed ancestrale del Putumayo, per mezzo di tre doni –tre sacramenti– che sono stati motivo di festa per la comunità cristiana di questo territorio: il battesimo, la comunione e la cresima.

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Il dono del battesimo che è frutto della fede. "Sono stati celebrati tre battesimi e, per mezzo di questo sacramento, tre vite che sono state consacrate a Dio. I genitori sono incoraggiati a continuare i progetti di Colui che ha voluto abitare nei loro piccoli cuori".

Il dono della comunione che consolida la comunità. "Dieci erano coloro che diventavano una cosa sola con Gesù ricevendo il suo Corpo e il suo Sangue. Dopo la messa anche la tavola è stata imbandita e tutti abbiamo assaportato una grande zuppa patronale che ha sottolineato la comunione e il vissuto comunitario".

Il dono dello Spirito che anima l'impegno della vita cristiana. "Cinque giovani indigeni hanno ricevuto la pienezza dello Spirito Santo. Monsignor Joaquín li ha ascoltato la loro testimonianza e confermato la loro fede per mezzo dell'olio santo che inumidisce la fronte di chi vuole seguire da vicino il Signore". 

Monsignor Joaquín ha presieduto la celebrazione di questi tre doni e sacramenti ed è stato accompagnato all'altare dai padri Fernando e Alejandro, missionari dal volto amazzonico che accompagnano i processi di fede in questi territori che si affacciano sul fiume Putumayo.

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Vogliamo sottolineare le parole del vescovo di Montreal (Canadà) che ha conferito un importante incarico pastorale a un nostro confratello missionario nella sua diocesi.

Cari collaboratori dell'Arcidiocesi di Montreal, sono lieto di annunciarvi che ho nominato padre Jean-Marie Bilwala Kabesa, IMC come Vicario episcopale per le comunità francofone dei quattro decanati occidentali della nostra diocesi.

Nelle ultime settimane il vescovo Marc Rivest, che ricopriva questo ruolo, ha dovuto lasciare l'incarico per essere più disponibile per la sua parrocchia. 

Padre Jean-Marie Bilwala Kabesa è nato l'11 febbraio 1974 nella Repubblica Democratica del Congo (Kinshasa). Si è unito ai Missionari della Consolata nel 1993, ha emesso i voti religiosi nel 1999 a Maputo, in Mozambico, ed è stato ordinato sacerdote il 20 luglio 2003 a Kinshasa. 

Padre Jean-Marie ha prestato servizio in Etiopia (2003-2010) come parroco di Wonji, una città semiarida dell'Etiopia centrale, coordinando progetti umanitari in collaborazione con il Catholic Relief Services. Ha lavorato a stretto contatto con gli agricoltori locali, seguendo la realizzazione di progetti di carattere sociale. 

In Quebec, padre Jean-Marie è stato direttore del centro di animazione missionaria dei Missionari della Consolata "Hall Notre-Dame", direttore della rivista "Réveil Missionnaire" e animatore pastorale della scuola Augustin Roscelli.

Dal 2016 al 2019 è stato direttore diocesano delle Pontificie Opere Missionarie per l'arcidiocesi di Montreal. 

Attualmente è ospite occasionale di Maria-Montréal, una radio cattolica in lingua italiana, membro del Consiglio di amministrazione delle Pontificie Opere Missionarie nel Canada francofono e, dal 2020, amministratore della parrocchia di Saint-Jean-Bosco dove continuerà a prestare servizio. 

Oltre al baccellierato in filosofia e teologia (Pontificia Università Urbaniana), padre Jean-Marie ha conseguito un master in comunicazione e giornalismo (Daystar University, Kenya-USA) e un master in salute e spiritualità (Université de Montréal). Vorrei ringraziare padre Jean-Marie e augurargli ogni successo nel suo nuovo ruolo all'interno della nostra archidiocesi. Che Dio vi benedica, vi riempia della sua luce e vi custodisca nella sua pace. 

*Christian Lépine è Arcivescovo di Montreal 

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