Nella Messa crismale del Giovedì Santo Francesco riscopre la bellezza della compunzione e del farsi trafiggere dal pentimento: un pianto amaro può cambiare la vita, ogni rinascita interiore nasce sempre dall'incontro tra nostra miseria e la sua misericordia.

Il cuore, “senza pentimento e pianto, si irrigidisce”. Prima “diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone”, poi, “freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza infrangibile” e infine diventa “cuore di pietra”. “Come la goccia scava la pietra”, tuttavia, “così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti”. È il miracolo, “della buona tristezza che conduce alla dolcezza”, sottolinea Papa Francesco, rivolgendosi ai circa 4 mila fedeli, tra cui 1.500 sacerdoti, giunti nella Basilica di San Pietro per la Messa Crismale del giovedì Santo da lui celebrata con il cardinale vicario Angelo De Donatis all'altare.

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Il pianto amaro che consente di riscoprire l’amore

Un pianto amaro, infatti, può cambiare la vita. Come nella sinagoga di Nazareth i compaesani di Gesù “persero l’occasione della vita” cacciando Cristo fuori dalla città perché aveva smascherato le loro false aspettative, così Pietro all’inizio non prestò fiducia alle parole del Signore, lo “perse di vista” e lo rinnegò al canto del gallo. Solo dopo aver incrociato il Suo sguardo, gli occhi del primo tra gli apostoli “furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle”. Pietro si aspettava “un Messia politico, potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza” disse di non conoscerlo. Aveva ragione, ribadisce il Papa. Lo conoscerà veramente solo quando si lascerà pienamente attraversare dal suo sguardo” e fece spazio alle lacrime della vergogna e del pentimento.

La guarigione del cuore di Pietro, la guarigione dell’Apostolo, la guarigione del Pastore avvengono quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare da Gesù: passano attraverso le lacrime, il pianto amaro, il dolore che consente di riscoprire l’amore.

La riscoperta della compunzione

Per spiegare questo fenomeno Francesco sceglie di riscoprire una parola che lui stesso definisce un po’ desueta: la compunzione. Un concetto che evoca “il pungere”. La compunzione è infatti “una puntura del cuore”, una “trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento”, come quelle scaturite dagli abitanti di Gerusalemme quando Pietro, il giorno di Pentecoste, proclamò loro di aver crocifisso il Signore.

Ecco la compunzione: non è un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo.

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Attenzione all’ipocrisia clericale

“Piangere su noi stessi”, sottolinea il Papa, significa pentirsi seriamente “di aver rattristato Dio col peccato”, “riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito”, “ammettere di aver smarrito la via della santità”, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per noi.

È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia.

L’ipocrisia clericale, in cui la Chiesa scivola tanto e da cui bisogna stare attenti, avverte Francesco. Da lì poi si deve rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarsi commuovere dal suo amore “che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui” Così, afferma il Papa “le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.

Sono queste, pertanto, lacrime differenti da quelle chi si piange addosso,come spesso siamo tentati di fare”.

Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella secondo Dio.

L’antidoto alla sclerocardia

La compunzione - su cui insistono tanti maestri spirituali come San Benedetto, San Giovanni Crisostomo, Isacco di Ninive o l’Imitazione di Cristo - richiede infatti fatica, “ma restituisce pace”, “agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore”, che trasforma il cuore ammorbidito dalle lacrime”. È l’antidoto alla “sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù”. È il rimedio, perché ci riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere perdonati.

Nella vita spirituale chi piange matura

Ogni nostra rinascita interiore, infatti, “scaturisce sempre dall’incontro tra la nostra miseria e la sua misericordia” e passa attraverso la nostra povertà di spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci”. Francesco chiede poi ai suoi fratelli sacerdoti se “col passare degli anni, le lacrime aumentano”.

Sotto questo aspetto è bene che avvenga il contrario rispetto alla vita biologica, dove, quando si cresce, si piange meno di quando si è bambini. Nella vita spirituale, invece, dove conta diventare bambini, chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, matura. Si lega sempre meno a sé stesso e sempre più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio

Il Signore cerca chi piange i peccati della Chiesa

Un’altra caratteristica della compunzione è la solidarietà, perché “chi si compunge nel cuore si sente sempre più fratello di tutti i peccatori del mondo, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma con desiderio di amare e riparare”. Un cuore docile, infatti, “anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli piange per i loro peccati”. È una sorta di ribaltamento, in cui “la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventi fermi con sé stessi e misericordioso con gli altri.

Il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, Non è poesia questo, questo è sacerdozio!

In Dio una pace che salva dalla tempesta

Il Signore infatti, “non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano”. “Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo”, sottolinea ancora Francesco, “non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza della misericordia”.

Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie. E non temiamo: Lui ci sorprenderà!

A giovarne sarà proprio il ministero del sacerdozio: Oggi, in una società secolare, corriamo il rischio di essere molto attivi e al tempo stesso di sentirci impotenti, col risultato di perdere l’entusiasmo ed essere tentati di “tirare i remi in barca”, di chiuderci nella lamentela - guai delle lamentele - e far prevalere la grandezza dei problemi sulla grandezza di Dio. Se ciò avviene, diventiamo amari e piangenti, sempre sparlando, sempre trovando qualche occasione per lamentarsi. Ma se invece l’amarezza e la compunzione si rivolgono, anziché al mondo, al proprio cuore, il Signore non manca di visitarci e rialzarci.

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Allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore

Infine, Francesco ricorda che la compunzione è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera. Due quindi i consigli del Papa per i suoi confratelli. Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, ma nell’insieme del passato – ricordando la fedeltà di Dio, facendo memoria del suo perdono e ancorandosi al suo amore – e del futuro – pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza. Allargare gli orizzonti, infatti “aiuta a dilatare il cuore” , “a rientrare in sé stessi con il Signore” e a “vivere la compunzione”. Il secondo consiglio è quello di dedicarsi “a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata”. L’invito è sempre quello di tornare a San Pietro e alle sue lacrime, conclude il Papa, che ringrazia i sacerdoti presenti per il cuore aperto e docile, per le fatiche e i pianti e per portare la meraviglia della misericordia “ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo”.

Un libro in dono ai sacerdoti

Al termine della Messa è stato offerto a ciascuno dei sacerdoti il libro di Papa Francesco dal titolo "Sul discernimento - Con un saggio di Miguel Àngel Fiorito e Diego Fares", a cura di padre Antonio Spadaro, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane Bologna.

* Fonte: Vatican News

Il Dicastero per il Clero in collaborazione con il Dicastero per l’Evangelizzazione e il Dicastero per le Chiese Orientali (Tre dicasteri insieme pare sia una prima volta per la Curia romana) hanno promosso dal 6 al 10 febbraio a Roma, un Convegno sulla formazione permanente dei sacerdoti. L'incontro aveva il significativo titolo: “Ravviva il dono di Dio che è in te” (2Tim 1,6). La bellezza di essere discepoli oggi. Una formazione unica, integrale, comunitaria e missionaria.

Vi hanno partecipato circa 800 sacerdoti diocesani provenienti da 60 nazioni apportando ognuno il suo contributo di sfide, proposte e di esperienze durante i vari lavori di gruppo ormai tutti modellati sul diffuso metodo sinodale. Anche Padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata, ha partecipato all'evento e lo ha riassunto con le sue parole.

In sintesi, i temi trattati dai molti relatori sono stati:

La formazione permanente definita come. “un’esperienza di discepolato permanente, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre di più a lui” (Papa Francesco).

La necessità di ripensare la formazione come un “continuum”, cioè un cammino che inizia con la formazione iniziale e continua lungo le varie fasi della vita e del servizio del ministro ordinato.

Una formazione che dev’essere integrale, articolando armoniosamente l'ansia umana che ne è la base, con le sue estensioni spirituale, intellettuale e pastorale.

Nell’Udienza Papa Francesco ci ha poi sfidati a dare a questo nostro cammino il sapore evangelico della gioia e della misericordia, di cui egli stesso è sempre un bell’esempio declinando il tutto in tre tipologie: La gioia del vangelo, uomini del popolo di Dio e la generalità del lavoro pastorale.

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Udienza con il Papa Francesconella Aula Paolo VI

Leggi qui il discorso del Papa Francesco ai partecipanti al convegno

Un tema di spicco e in un certo modo un po’ sorprendente trattandosi di clero diocesano, è poi stata la sottolineatura della necessaria dimensione comunitaria della formazione permanente con il vescovo come l’animatore principale. La fraternità sacerdotale, nelle sue varie espressioni, è stato detto, è una buona medicina del presbitero nei momenti ordinari per uscire da un senso di isolamento e una buona spalla soprattutto nelle fasi più critiche della sua vita pastorale.

Da ultimo la missionarietà della formazione che si allarga oltre i propri spazi geo-culturali.

Molte le provocazioni rimarcate:

La complessità del momento e la solitudine del sacerdote nell’affrontarle; la diminuzione del clero diocesano e il super attivismo di conseguenza richiesto; una certa visione del sacerdote che lo si vuole quasi “senza corpo”, senza proprie emozioni come un “asessuato”, sempre pronto a rispondere a tutto e a tutti….

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Padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata, in uno dei vari lavori di gruppo durante il Convegno

Molti anche i rimedi indicati fra i quali:

L’attenzione al proprio equilibrio personale, il dare spazio e tempo ad una profonda impostazione spirituale della propria vita e ministero con la sua nota contemplativa; la capacità non di negare ma di gestire in modo maturo le proprie sensibilità, emozioni e le relazioni assolutamente necessarie nell’attività pastorale, compresa la propria sessualità che non può più essere un tabù nel sviluppo formativo; il ritorno della necessità della direzione spirituale; il tanto bisogno di accompagnamento e cura del clero da parte dei vescovi, l’uso sapiente dei social network…

Tutto sommato riteniamo che questo convegno, che nelle parole del Card. Lazzaro You Heung, responsabile del Dicastero per il clero, voleva essere l’inizio di un percorso di riflessioni, confronti e proposte da continuare nel tempo anche attraverso la nuova piattaforma di dialogo, il sito web clerus.va ci sembra abbia fatto centro e ne aspettiamo quindi gli sviluppi nel tempo.

* Padre Ernesto Viscardi, IMC, Ufficio Generale per la Formazione.

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«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». (Mc 4,30-32)

L’Aula Paolo VI in Vaticano come un grande cenacolo. I tavoli rotondi disposti attorno alla Parola e all’icona della Madre, la Salus populi romani che, come a Cana, vigila con premura e discrezione sullo svolgersi del banchetto, custodendo la comunione, la gioia, la festa. Sedute alla mensa della Parola, che risuona nella Scrittura e nella voce dell’altro, oltre 400 persone provenienti dai 5 continenti e dalle più diverse esperienze di Chiesa – cardinali, vescovi, preti, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche – uniti da ciò che li rende profondamente fratelli e sorelle, al di là di ogni ruolo, titolo, funzione, servizio, responsabilità: il Battesimo, l’immersione in Cristo, la vocazione cristiana! 

Ecco l’immagine della prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 4 al 28 ottobre 2023.

È stata una grazia per me potervi prenderne parte. Una grazia del tutto inaspettata, che ho gradualmente colto nella sua dimensione di novità, di benedizione, di luce a mano a mano che i lavori sinodali procedevano. La veglia di preghiera ecumenica “Together”, svoltasi in piazza San Pietro il 30 settembre, le giornate di ritiro a Sacrofano dalla sera del 30 settembre alla sera del 3 ottobre, le celebrazioni eucaristiche nella Basilica di San Pietro all’inizio dell’Assemblea, all’avvio di ogni nuovo modulo tematico e a conclusione dei lavori, la liturgia quotidiana semplice e curata, il clima di preghiera, di rispetto e di accoglienza cordiale, il dialogo ritmato dalla “conversazione nello Spirito”, con i suoi spazi di silenzio, di ascolto riverente dell’altro e di meditazione personale, hanno favorito la conoscenza reciproca, la libertà di espressione, la riflessione e la rielaborazione del proprio vissuto e del proprio pensiero toccato, illuminato e provocato dal vissuto e dal pensiero altrui, consentendo lo svolgersi di un processo di discernimento che ha condotto progressivamente l’Assemblea a individuare convergenze, questioni da affrontare e proposte, approvate a larghissima maggioranza e raccolte nella Relazione di sintesi. 

Al di là dei contenuti approvati, offerti a tutto il Popolo di Dio come materiale per continuare il discernimento nel periodo che ci separa dalla seconda sessione dell’Assemblea (Ottobre 2024), il clima umano e spirituale che si è creato fra i partecipanti al Sinodo lungo il mese di lavoro assieme costituisce, già di per sé, un dono straordinario, che merita assolutamente di essere contemplato, ruminato, fatto sedimentare e fruttificare nel cuore di chi lo ha ricevuto e in tutta la Chiesa. La comunione è dono dall’Alto, che chiede umilmente di essere accolto nel terreno del nostro cuore e delle nostre relazioni. Questo dono è sceso. Come un piccolissimo seme. Senza rumore. Come brezza leggera; come rugiada; come luce lunare che rinfresca, unifica e consola, senza abbagliare. Ad un certo punto, ce ne siamo accorti, con commossa sorpresa: il seme era lì, dentro di noi e tra di noi, e si manifestava nei sorrisi sinceri, nelle parole rispettose e vere, nelle caramelle che qualcuno portava e giravano per i tavoli, nel cominciare spontaneamente a chiamarci reciprocamente col nome di Battesimo, lasciando da parte un po' di titoli, funzioni, ruoli, ecc. che magari indicano i diversi e essenziali servizi di ognuno di noi ma non identificano la persona nel suo nucleo più profondo. Battezzati e battezzate in Cristo che si riconoscono, si ascoltano, comunicano e, pur seduti a questa mensa tutta particolare, camminano insieme. Insieme nei gruppi di lavoro (Circoli minori, tecnicamente), diversi per ognuno dei temi che l’Instrumentum laboris proponeva. Insieme in Assemblea plenaria (Congregazione generale, tecnicamente), ascoltano l’apporto di ogni gruppo e quello di chi desiderava condividere con tutti un contributo personale. Insieme con papa Francesco, seduto a uno dei tavoli, durante le Assemblee plenarie, ascoltando, ascoltando, ascoltando… e offrendo in qualche momento la sua parola breve, incisiva, sobria, chiara, incoraggiante. Insieme a tanti fratelli e sorelle nel dolore a causa della guerra, di dinamiche assurde, violente e maligne che cercano in ogni modo di sradicare dai cuori e dalle relazioni i semi del Bene. Li abbiamo portati con noi nella preghiera, nella condivisione e nella solidarietà con i fratelli e le sorelle sinodali che provengono da luoghi e situazioni particolarmente segnate da queste dinamiche di morte. Sappiamo che il piccolo seme del Regno possiede in sé stesso la straordinaria tenacia della resurrezione, la forza mitissima dell’Agnello che attraversa la morte e la vince dal di dentro, l’umile potenza del chicco di grano che caduto in terra e sepolto muore per portare frutto. 

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Nella pagina conclusiva della Relazione di sintesi della prima sessione, l’Assemblea sinodale così si esprime: 

«Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo – nei segni della natura, nei gesti del lavoro, nei fatti della quotidianità – le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha detto che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai. In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino. Apparentemente un nulla destinato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale. Un dinamismo destinato a dare vita, a diventare pane per molti. Destinato a diventare Eucaristia.

Oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza.

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?”. Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficientistica e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti» (XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I Sessione, Relazione di Sintesi, Vaticano 28 ottobre 2023, p. 36).

Dunque, buon lavoro a tutti e a tutte! Alla ricerca del piccolo seme non solo nel lavoro sinodale che ci viene restituito, ma anche dentro di noi, nell’altro, nella comunità, nella Chiesa, nei popoli, nel mondo, per consegnarlo alla terra feconda della nostra umanità e lasciare che Dio lo faccia crescere, albero ospitale per «tutti, tutti, tutti»! (Papa Francesco, Discorso in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù, Lisbona 03 agosto 2023)

* Suor Simona, che è stata Superiora Generale delle Missionarie della Consolata, dal 7 ottobre 2023 è segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

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