Decine di persone provenienti dall'area di Lisbona, dal nord del Portogallo, da Fatima e da Mira de Aire partiranno quest'estate per una missione in Marocco, Guinea-Bissau e Mozambico. I volontari stanno svolgendo diverse attività di raccolta fondi con l'obiettivo di migliorare le condizioni dei centri educativi e delle case di accoglienza per i rifugiati in questi luoghi di missione.

Stiamo parlando di 50 persone provenienti da diverse parti del Portogallo, di età compresa tra i 17 e i 55 anni, disposte a donare il loro tempo e servizio alla missione. I volontari studiano o lavorano in settori quali medicina, infermieristica, psicologia, informatica, educazione di base, assistenza sociale e contabilità. I gruppi saranno accompagnati da un missionario laico della Consolata, da una religiosa missionaria e da alcuni sacerdoti missionari della Consolata, oltre che da capi scout. I volontari si recheranno in cinque punti dell'Africa. Alcuni andranno a Oudja, in Marocco, altri a Empada, in Guinea-Bissau. In Mozambico, ci saranno gruppi a Massinga, Funhalouro e Boroma.

Sostegno ai rifugiati

Un gruppo proveniente dal nord del Portogallo andrà in missione a Oujda, in Marocco, vicino al confine con l'Algeria. Dal 16 al 30 agosto, questi volontari vivranno con i tre padri Missionari della Consolata nella parrocchia di Saint Louis. "L'obiettivo della nostra missione è la ricostruzione dei dormitori e dei bagni per i rifugiati che la missione di Oujda accoglie ogni giorno. Dopo le recenti guerre e crisi nei Paesi africani, il numero di rifugiati che arrivano alla missione è aumentato. Ogni anno arrivano a Oujda tra mille e duemila persone. “Di solito questo è l'ultimo punto di riposo in Africa prima di avventurarsi nella pericolosa traversata del Mar Mediterraneo per raggiungere l'Europa”, spiega Maria Fernandes, una delle volontarie, alla rivista “Fátima Missionária”.

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Gruppo viaggiarà verso Oujda, in Marocco, per lavorare con i migranti

Il gruppo ha partecipato a diversi programmi di formazione per prepararsi allo scenario che incontreranno e ha svolto attività di raccolta fondi. Il denaro raccolto sarà destinato alla "ricostruzione dei dormitori e dei bagni", spiega Maria, aggiungendo che il valore del progetto che promuovono è di 20.000 euro, e che all'inizio dell’iniziativa il gruppo aveva già ricevuto "quattromila euro per acquistare materiale necessario alla ricostruzione di dormitori e bagni, oltre a 46 chili di vestiti caldi", che nel frattempo sono già arrivati a destinazione.

Paula Santos e Noémia Dias sono tra i volontari del gruppo e non vedono l'ora di partire. “Il progetto non è affatto facile e ciò che mi preoccupa di più è la parte emotiva. Spero di essere all'altezza di ciò che mi è stato chiesto” spiega Paula. Noémia crede che questa esperienza la porterà a connettersi “profondamente con gli altri” e con se stessa, e spera di poter "fare la differenza" nella realtà che incontrerà. Questo gruppo si chiama “Oujda. Un rifugio lungo la strada” e la sua attività può essere seguita su Facebook e Instagram.

Riabilitazione di una scuola

Un altro gruppo proveniente dal nord del Portogallo sarà in missione per tutto il mese di agosto a Empada, in Guinea-Bissau, dove alloggerà nella casa delle Suore Missionarie della Consolata. "Riabiliteremo una scuola materna, chiamata “Jardim Consolata”, frequentata da circa cento bambini, per lo più provenienti da famiglie povere o orfani che non sono in grado di pagare la loro istruzione. La ristrutturazione riguarderà le aule, il refettorio, i servizi igienici e il muro della scuola", spiega Cláudia Duarte, missionaria laica della Consolata e animatrice del gruppo.

I volontari stanno realizzando attività di raccolta fondi, tra cui un concerto e una cena di solidarietà. "I fondi raccolti saranno utilizzati per il progetto di riabilitazione della scuola", dice Cláudia, aggiungendo che il gruppo ha già inviato "denaro a Empada per preparare i materiali per la ristrutturazione".

Tânia Pais e Margarida Xavier fanno parte di questo gruppo. "Andare in missione mi provoca un misto di sentimenti e di gioia profonda. Il desiderio di un'avventura come questa è sempre stato presente in me. Sarà un'esperienza unica. Posso solo immaginare l'impatto che avrà ogni progetto che realizzeremo e come faremo la differenza nella vita di qualcuno. Basterà una sola persona perché il viaggio non sia stato vano. Ciò che conta davvero per me è quello che posso cambiare nella vita di qualcun altro. Sono venuta con il cuore pieno", ritiene Tânia. Margarida si sente toccata da tutta la solidarietà coinvolta. "È stato molto gratificante sentire che le persone vogliono aiutarci e che contribuiscono al successo del nostro progetto. Sento già che ne è valsa la pena e non sono ancora salita sull'aereo", sottolinea. Questo è il gruppo "Crescere in Guinea", e la loro esperienza può essere vista su Facebook e Instagram.

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I volontari di Lisbona andranno in Mozambico e svolgeranno attività a Massinga, Funhalouro e Boroma

Visite e ricostruzione del tetto

I volontari dell'area di Lisbona andranno in Mozambico ad agosto. Una parte del gruppo soggiornerà a Funhalouro e l'altra a Massinga. Alloggeranno nella casa delle Missionarie della Consolata. "A Funhalouro sono previste visite al centro sanitario e alle famiglie. Si lavorerà con bambini, giovani e famiglie. Il progetto principale sarà la costruzione di un'aula per la piccola scuola. A Massinga, la scuola per bambini sarà riabilitata. Si svolgeranno attività pastorali nella comunità, visite all'ospedale, alla casa di riposo e all'istruzione scolastica. Il progetto principale sarà la ricostruzione del tetto del centro femminile. Oltre a queste missioni, “due o tre esperti di informatica sosterranno le suore nella scuola di informatica”, spiega Catarina Guerra, animatrice del gruppo.

Il gruppo è stato coinvolto nella formazione e nella raccolta di fondi in vista della partenza in missione. Rodrigo Nunes è uno dei volontari del gruppo. "Sono curioso di vivere questa esperienza. Credo che fare questa esperienza cambierà molto il mio modo di pensare e penso che integrarsi in una cultura diversa possa essere un'opportunità unica per imparare cose che non potremmo imparare altrove". L'attività di questo gruppo, chiamato "Mission Etu", può essere seguita su Facebook e Instagram.

Costruzione di un asilo nido

I volontari di Fátima e Mira de Aire, un villaggio del comune di Porto de Mós, saranno in missione dal 23 luglio al 24 agosto a Boroma, nella provincia di Tete, in Mozambico, e pernotteranno anche nella casa di una congregazione di religiose. "Durante il periodo di volontariato, saremo impegnati nella costruzione di un asilo nido che accoglierà circa cento bambini all'anno, di età compresa tra i tre e i cinque anni. Il nostro obiettivo principale sarà quello di costruire strutture sanitarie per l'asilo e creare un parco giochi per bambini. Inoltre, forniremo supporto al centro sanitario locale e daremo ripetizioni di matematica, inglese e altre materie in una scuola associata alla missione", spiega Artur Gomes, uno degli animatori del gruppo, illustrando alcuni degli aspetti della missione in programma.

"Il gruppo si sta preparando per la missione dall'ottobre dello scorso anno, organizzando raccolte di fondi e altre attività di sensibilizzazione. Stiamo pianificando il piano pedagogico con l'aiuto di insegnanti ed educatori di questa fascia d'età in Portogallo, oltre a chiedere sostegno per il materiale didattico e medico da portare e lasciare in missione. Dato che abbiamo anche membri che si occupano di arte, è nostra intenzione rendere lo spazio interno più invitante per l'apprendimento attraverso dipinti legati a contenuti educativi".

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 "Sono molto felice di farlo e di vivere questa esperienza come scout. Mi sento un po' ansiosa" - Vitória Filipe

Tra i volontari ci sono Vitória Filipe e Leonardo Gomes, membri del Gruppo 276 - Scout di Mira de Aire. Vitória ritiene che questa missione possa cambiare il suo modo di vedere il mondo. "Sono molto felice di farlo e di vivere questa esperienza come scout. Mi sento un po' ansiosa. Non ho mai trascorso così tanto tempo fuori dalla mia zona di comfort, ma ho intenzione di fare del bene e voglio davvero andare. Mi aspetto un'esperienza che mi cambierà la vita. Sono sicura che mi innamorerò dell'esperienza e delle persone", dice.

Leonardo è un altro volontario che ritiene che la missione a Boroma sarà una pietra miliare nella sua vita. "È un'opportunità unica. So che affronteremo qualcosa che ci segnerà profondamente, ma non sono nervoso, sono solo estremamente motivato. Ho cercato di contribuire il più possibile, sapendo che l'esperienza e le conoscenze che acquisiremo supereranno di gran lunga quelle che possiamo offrire. Non ho dubbi che questa sarà un'esperienza incredibile che segnerà la mia vita in un modo mai visto prima. Sono pronto ad aiutare!". L'esperienza di questo gruppo può essere seguita su Facebook e Instagram, attraverso le pagine Mira de Aire Scouts e Consolata Jovem.

* Juliana Batista è giornalista della rivista Fátima Missionária. Originalmente pubblicato in: www.fatimamissionaria.pt

Il racconto di Alex Zappalà, direttore del Centro missionario di Concordia-Pordenone (Italia), che ha guidato un gruppo giovanile a Oujda: "Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone, la missione è questo. Troppe vittime di tratta, non possiamo più tacere". Padre Patrick Mandondo, missionario della Consolata: fasciamo le ferite di chi attraversa il confine, l'anno scorso 3.800 giovani, e salviamo i prigionieri dei trafficanti. "Venite a visitarci"

Fasciare le ferite di chi percorre i deserti inseguendo il sogno di una vita senza guerre, dittature, privazioni. È quanto da anni fanno i Missionari della Consolata che vivono a Oujda, la città marocchina più vicina, solo sette chilometri, al confine con l'Algeria. Un confine sanguinoso, irto di ostacoli per chi vuole oltrepassarlo, sul quale nel 1963 si consumò la famigerata Guerra delle Sabbie, uno degli apici di quell'antagonismo che separa ostilmente i due Paesi pur accomunati da molti elementi linguistici, religiosi, etnici. Differenze storiche, politiche e ideologiche dalla loro rispettiva indipendenza influenzano tutt'ora pesantemente i rapporti e a farne le spese sono proprio le persone migranti che tentano di risalire dalle regioni subsahariane verso la Spagna scegliendo, o costretti a scegliere, quella rotta in cerca di un futuro vivibile.

Lunghi cammini con i piedi rotti: l'arrivo a Oujda di migranti stremati

A gettare luce su una realtà di cui poco si parla è stato negli ultimi giorni Alex Zappalà, direttore del Centro missionario diocesano di Concordia-Pordenone che, su Popoli e Missioneha raccontato l'esperienza di accompagnamento, dal 21 al 29 aprile, di una quindicina di giovani del gruppo "Missio Giovani" fino a Oujda. Un viaggio di spiritualità missionaria a contatto con le vite stremate di persone che qui trovano un luogo di sosta, di cura, di ripartenza. Un viaggio di conoscenza sul campo dopo un anno di lavoro sui temi dell'accoglienza e della migrazione, che ha fatto riscoprire il vero senso della missione: "stare con", al di là del "fare".

Ascolta l'intervista ad Alex Zappalà

Quando Alex e i suoi ragazzi sono giunti a Oujda, un'ottantina di altri giovani africani erano presenti dai padri della Consolata. E subito è partito uno scambio, un ascolto di storie anche "impronunciabili", tanto il dolore. "Quasi tutti venivano anche da quattro anni di cammino, attraverso il deserto, o nelle prigioni della Libia. Ci hanno raccontato di violenze, abusi visibili dentro i loro occhi. C’era però anche tanta forza e desiderio di proseguire il viaggio per inseguire il loro sogno. Pochi fanno marcia indietro. Se tornano indietro è perché non hanno più soldi, per esempio. Oppure pensano che il loro sogno non è più alla propria portata".

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La missione tra i migranti aiuta a ricucire cicatrici . Vite che recuperano una dignità

C’è un continuo via vai, racconta Alex. I missionari stanno accanto ai migranti, li sfamano, li curano. Questi arrivano con gambe rotte, ferite. I religiosi, che sono aperti ad accoglierli 24 ore su 24, li portano in ospedale, se necessario. L’anno scorso sono passati da qui 3.800 persone, il 10 percento sono donne e bambini. Arrivano per lo più ragazzi maschi, minorenni non accompagnati e giovani. La maggioranza proviene dalla Guinea Conakry, circa il 60 percento. Poi arrivano dal Sud Sudan, costoro preferiscono intraprendere la rotta verso il Marocco pur di evitare la Libia. Arrivano anche da Camerun, Costa D’Avorio, Mali, Ciad, Burkina Faso. Alcuni anche dal Congo, dal Benin, dal Togo, dal Senegal. Chi ha attraversato la Libia, ha tentato più volte, è stato maltrattato nelle carceri, vittima di ogni genere di abusi. C'è chi ha provato la via verso la Tunisia, se falliscono quella tentano in direzione Marocco nella speranza di raggiungere Melilla, altra dura frontiera tra l'Africa e l'Europa.

Padre Mandondo: fasciamo le ferite e diamo un luogo di sosta

"Il nostro lavoro è di testimonianza cristiana e sostituisce la mancanza di operatori capaci di portare avanti questa realtà di accoglienza", spiega a radio Vaticana, padre Patrick Mandondo, IMC, parroco di San Luigi, responsabile della pastorale migratoria del Centro parrocchia Accueil migrants Oujda (AMO). Originario della Repubblica Democratica del Congo, si è specializzato in Teologia pastorale e Mobilità umana a Roma, dove nel 2020 è stato ordinato sacerdote.

Dal 2022 è in Marocco dove porta avanti, insieme ai suoi due confratelli, questo progetto assunto dalla diocesi di Rabat e avviato da un prete locale nel 2018. "È una esperienza molto ricca e sfidante - racconta - abbiamo pochi mezzi, viviamo di provvidenza e non abbiamo possibilità economiche adeguate, considerato che si tratta di un progetto che richiede molti soldi, fino a 300 mila euro l’anno". Spiega come tanti ragazzi arrivano con i piedi spaccati, "se un giorno venite a trovarci lo vedrete con i vostri occhi". 

Ascolta l'intervista a padre Patrick Mandondo

Per i minori soli i missionari hanno creato un programma di alfabetizzazione e per i più grandi uno professionale (elettricista, panettiere…). "Valutiamo caso per caso come aiutarli", afferma Patrick da questa città di transito dove, precisa, non ci sono strutture di accoglienza, né statali né delle associazioni. "Qui la Chiesa è proprio un ospedale da campo, come dice Papa Francesco. È una Chiesa che si apre alle sofferenze". Quella di San Luigi è l’unica parrocchia di una città di 600 mila abitanti, dove i cristiani non arrivano all'1 percento della popolazione. "La nostra piccola comunità è formata in maggior parte da giovani dell’Africa sub-sahariana venuti qua per studiare con borse di studio del Marocco. Frequentano la messa domenicale, quasi un centinaio, poi durante la settimana non li vediamo perché impegnati nelle loro attività. Noi dunque portiamo avanti il progetto con i migranti applicando il nostro carisma di missionari ad gentes. Per noi la promozione umana è molto importante". E insiste nel descrivere il confine tra i due Paesi, un fossato con due muri presidiati da ingenti forze di polizia che spesso usano violenza nei confronti di chi intende attraversarli. 

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 Vite che non ce la fanno. La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto'

I missionari sfidano le insidie e i ricatti della tratta

"Ci raccontano le difficoltà vissute, come hanno attraversato il deserto, come sono stati venduti da trafficanti, deportati nella foresta abbandonati a se stessi, depredati di tutto, privati di cibo e acqua. Raccontano in lacrime questi ricordi", prosegue Patrick che insiste sul rischioso lavoro che i religiosi fanno per salvare i migranti dalle minacce dei trafficanti. "Noi facciamo un lavoro molto pericoloso perché andiamo nei quartieri a liberare questi ragazzi maltrattati dai mafiosi". Racconta di persone al di qua e al di là dei del confine che prelevano questi ragazzi vittime di una vera e propria tratta. "Sono merce, valgono circa 300 euro a testa". Arrivati in Marocco vengono bloccati nelle "case" dei trafficanti i quali, riferisce Mandondo, cominciano a ricattare le loro famiglie di origine. Il sacerdote ricorda quando una volta ne ha quaranta di ragazzi lasciati in una stanza di tre metri per quattro. Una volta intercettati, i religiosi cercano di fare un'opera di mediazione non senza il rischio di essere picchiati. "Spesso capita. Alla fine riusciamo". L’appello che il parroco fa alla comunità internazionale è di non considerare la migrazione come un problema. "La gente non cerca di sapere perché la gente si muove. Dobbiamo andare alla radice delle questioni. Dobbiamo dare dignità".

Zappalà: assicurare canali regolari di migrazione

Su questo impegno di ridonare una dignità persa insiste molto Zappalà. "Questa cosa ci ha spiazzato. Bisognerebbe creare, e non vale solo per l’Italia, dei canali regolari attraverso i quali questi ragazzi possano giocarsi una chance", sottolinea. "I visti o non ci sono o sono pochissimi. Sono persone dentro una tratta che sta facendo morti su morti. Non possiamo più tacere. Chiudersi per paura significa innazitutto perdersi la ricchezza dell’incontro con l’altro". E ricorda come i ragazzi ventenni e trentenni che ha guidato a Oujda abbiano potuto condividere i sogni dei loro coetanei. "Un giovane tra loro, Jacob, quattro anni di cammino alle spalle ha il sogno di fare lo chef. Non ha mai smesso di sorridere con noi pur raccontando il dramma del suo percorso. L’ultimo giorno, al momento dei saluti, si è tolto la maglietta con i colori della sua terra di origine, la Guinea Conakry, e l’ha data a una ragazza dei nostri. 'Voglio che tu non ti dimentichi', le ha detto. Lei ha donato la sua felpa, era quella della Gmg in Portogallo. Da allora ci sono canali di comunicazione tra i giovani che sono diventati amici. 

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Dopo la sosta

La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto' 

"Se ci perdiamo l’umanità dell’altro allora non avremo più freno nello schiacciare un bottone e far saltare tutti per aria", conclude Alex che sintetizza il frutto più prezioso di questo viaggio. "Noi siamo partiti senza un progetto particolare da fare. Ma siamo stati con loro. Spesso alla parola missione associamo solo la dimensione del ‘fare’. Ma lo ‘stare’ vale ancora di più, anche quando non puoi fare nulla. Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone. Le nostre giornate sono scandite, fin da piccolissimi, da agende pienissime. Abbiamo perso il gusto di stare e raccontarci, di incrociare lo sguardo dell’altro".

Alex osserva come l'esperienza alla frontiera abbia fatto riscoprire il valore profondo dell’umanità. "Non è una lettura 'moderna' del Vangelo, questa, è sempre stato così al tempo di Gesù che chiedeva appunto di ‘stare con’, di mettere al centro l’altro per avere uno sguardo più tenero. Che loro possano credere - è il suo auspicio - che da questa parte di mondo non è vero che ci sono solo persone che non ti vogliono ma che ci sono persone che si aprono. La paura porta solo distorsione della verità. C’è una parte di mondo di cui ci possiamo ancora fidare e che deve vincere in qualche modo: è il profumo del Regno di cui ci ha parlato Gesù".

* Antonella Palermo Fonte - Città del Vaticano. Pubblicato originalmente in: Vatican News

Il 24 marzo si celebrerà nella Chiesa italiana la 32esima edizione della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, appuntamento istituito nel 1993 dal Movimento Giovanile Missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie.

Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani (settore della Fondazione Missio che si occupa dell’animazione di quest’iniziativa) è “Un cuore che arde”, espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso. Il riferimento è al brano dei discepoli di Emmaus che ha guidato la riflessione durante lo scorso Ottobre missionario.

Per celebrare questa Giornata sono disponibili vari materiali prodotti da Missio. Qui è possibile visionarli e scaricarli.

Progetto di solidarietà

In occasione della Giornata dei Missionari Martiri 2024, Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana, presenta il progetto "Accoglienza Migranti Oujda" – A.M.O. gestito dai Missionari della Consolata per far fronte alla situazione di estrema vulnerabilità in cui si trovano giovani, donne e minori che hanno appena varcato il confine.

Presenti nella diocesi di Rabat dal 2021, i Missionari della Consolata lavorano nella parrocchia San Luigi che accoglie persone migranti che attraversano la frontiera tra Algeria e Marocco nel progetto chiamato "Accoglienza Migranti Oujda" - A.M.O.

Video presenta il progetto "Accoglienza Migranti Oujda" in Marocco

 

I giovani, le donne e i minori, accompagnati o non accompagnati, arrivano al Centro di accoglienza in condizioni davvero fisiche e psicologiche estreme. Attraversano il confine, chiuso al transito delle persone, nascosti in nascondigli a cielo aperto, fino al momento opportuno.

Il periodo più favorevole è l'inverno, quando il freddo e le tempeste di sabbia rendono più debole il controllo della polizia. Questo genera casi di ipotermia, disidratazione e stress estremo. A ciò bisogna aggiungere che l'attraversamento degli ostacoli presenti sulla linea di confine (recinzioni, fossati, inseguimenti della polizia), provoca molteplici problemi traumatici, talvolta dovuti anche alla violenza degli agenti di frontiera. Oltre alle problematiche fisiche, i migranti arrivano in preda a seri problemi psicologici a causa degli stress vissuti durante la traversata. Le donne, durante il viaggio, subiscono ogni tipo di abuso e stupro. Una percentuale molto alta è incinta o viaggia con bambini molto piccoli.20240320GMM

In questo contesto drammatico, otto anni fa fu creato il progetto A.M.O. mettendo a disposizione i locali della parrocchia San Luigi, facendola diventare un vero e proprio Centro di accoglienza.

Quando le persone arrivano, viene loro consegnato un kit igienico (materiale per lavarsi) e un kit di indumenti, viene offerta loro una doccia calda e un posto dove riposare. Successivamente iniziano le pratiche di registrazione. Poiché i posti sono molto limitati, è stabilito che venga data priorità a coloro che necessitano di assistenza medica urgente come donne e minori.

L'équipe di lavoro che coordina l'A.M.O. è composta dai Missionari della Consolata, (P. Francesco Giuliani, P. Patrick Osaleh Mandondo e il P. Edwin Duyani), due suore che si prendono cura delle donne e dell'educazione, un membro della chiesa protestante che coordina il centro con i cattolici, diventando così un centro ecumenico, due giovani residenti che si occupano dell'accoglienza dei nuovi arrivati e dell'organizzazione tecnica nel Centro (manutenzione, cucina, pulizia, ecc.), un giovane residente che si occupa dell'amministrazione interna e due medici.

Per saperne di più sul progetto e su come effettuare una donazione, cliccate qui.

Aiutiamo i Missionari della Consolata ad aiutare, giovani, donne e bambini, nel loro difficile percorso migratorio, così potranno trovare uno spazio sicuro in cui fermarsi lungo il cammino verso un futuro più sereno. Dal punto di vista amministrativo noi calcoliamo che il Centro di accoglienza A.M.O. abbia bisogno di 15 € al giorno per migrante per potersi sostenere. Costo totale del Progetto € 10.000.

COME DONARE
MODULO DI DONAZIONE ONLINE: www.missioitalia.it
BONIFICO BANCARIO: Missio - Pontificie Opere Missionarie IT03N0501803200000011155116 Banca Popolare Etica
BOLLETTINO POSTALE: Missio - Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia 796 00165 Roma - CCP n° 63062855
CAUSALE: Progetto 95 – MAROCCO

Fonte: MISSIO - organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana

La Chiesa deve essere accogliente e caritatevole verso tutti gli esseri umani, soprattutto quelli più bisognosi come i migranti. Non basta avere un buon cuore per aiutarli. Per integrare questi fratelli e sorelle, è necessario avere buone capacità di riflessione per comprendere questa realtà e non cadere nel pregiudizio.

I flussi migratori sono un fenomeno spesso causato dalla mancanza di risorse, instabilità sociale ed economica, esigenze demografiche e politiche, conflitti e povertà. Il fenomeno è sempre esistito in ogni epoca, ma ha assunto caratteristiche e dimensione specifiche ai nostri giorni. È una realtà di cui a volte non ci rendiamo conto di tutte le sue implicazioni.

L'immigrazione, nel contesto del mondo globalizzato, implica l'inevitabile contatto tra culture, che crea nuove opportunità di incontro tra popoli diversi e inizialmente estranei gli uni agli altri. Ma non dobbiamo dimenticare che ci sono anche sfide implicite in questa diversità. Una delle sfide più grandi è la paura dell'altro. Nelle nostre società di oggi, e purtroppo alle volte anche nella Chiesa, c'è questa paura, che dà origine a un crescente sentimento di sospetto e di stereotipi nei confronti degli immigrati.

Il fenomeno migranti ha tuttavia aperto nuovi spazi ecclesiali verso una pastorale specifica di settore e per questo è necessaria una nuova capacità di analisi della realtà migratoria prendendo in considerazione i meccanismi perversi che generano questa sofferenza.

Questo è quindi il primo atto di solidarietà con i nostri fratelli e sorelle migranti. Per questo dobbiamo essere consapevoli che le improvvisazioni più frutto di emozioni momentanee che di serie analisi non sono sufficienti a gestire situazioni complesse che creano discriminazioni, pregiudizi e stereotipi. Ciò che serve oggi è la competenza e lo studio approfondito e critico di questa realtà e non solo nel senso di uno studio accademico, ma di uno studio che si basa su fatti concreti, realtà evidenti, cioè di una buona lettura dei "segni dei tempi".

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"I flussi migratori sono un fenomeno spesso causato dalla mancanza di risorse",  dice  Padre Patrick Mandondo, IMC

Non dobbiamo dimenticare che tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale di ogni persona. L'incontro tra immigrati e popolazioni residenti serve oggi a mettere in pratica un nuovo e rinnovato modo di evangelizzare. L’opportunità di questo grande incontro deve farci sentire la necessità di una nuova evangelizzazione.

Il centro di attrazione di questa nuova evangelizzazione sono i poveri e gli emarginati, compresi i migranti e i rifugiati. Queste nuove fragilità sono un luogo di evangelizzazione e di lavoro missionario. Evangelizzare nell'era delle migrazioni significa anche raggiungere coloro che non condividono la fede cristiana. In altre parole, persone di altre religioni che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o che lo conoscono solo parzialmente. Ma questo deve essere fatto con il rispetto dovuto a tutti e con la prudenza che tali situazioni richiedono. L'annuncio può talvolta non essere ben accolto, ma ciò che più conta è trovare valori comuni da condividere, in vista della difesa e promozione della vita.

*  Padre Patrick Mandondo, IMC, lavora con la Pastorale dei Migranti a Oujda, Marocco. Articolo pubblicato in www.fatimamissionaria.pt

"Vedi, ho buttato via l'orologio - mi fa, mostrandomi l'avambraccio sinistro - ho imparato dagli africani. Qui in Africa, si vive solo il presente, ma intensamente." Parola decisa, quella di padre Pierre, missionario.

In terra africana, infatti, non si è preoccupati del dopo, di ciò che viene in seguito, come da noi... e che ci fa esclamare: 'Presto, ho altro da fare!'  Questo missionario, così, ha cambiato ritmo, ha cambiato campo. Quando incontra qualcuno prende tutto il tempo che serve, lasciando perdere il nostro gioiello al polso, l'orologio! Mi viene da sorridere al paragone, pensando quando -  in vacanza nella mia terra veneta - mi presento alla porta di una parrocchia. "Scusami, stavo proprio uscendo!" mi fa a volte il prete e... scompare! Non prende neppure il tempo di estrarre l'agenda e fissarmi un appuntamento per un altro giorno, come succede all'estero. "Il Signore bussa alla nostra porta," direbbe sant'Agostino" ma noi siamo spesso fuori casa!" In Africa, invece, l'incontro - anche quello imprevisto, - è sacro. Oscar Wilde commenta: "Le cose vere della vita non si studiano nè si imparano, ma si incontrano".

Tempo fa, ascoltavo estasiato, padre Michel, in Marocco da anni, che mi confessa: "Dormo poco, sai, ma nella notte, quando mi sveglio, mi metto in ginocchio davanti all'armadio. Naturalmente, dopo averlo aperto: dentro c' è il Santissimo! " In un Paese dove la preghiera è costante e onnipresente, lo trovo per davvero un bell'esempio, per dire, di inculturazione. Qui, infatti, ti può sorprendere dietro un auto parcheggiata, qualcuno su un tappeto  in preghiera... o il bigliettaio della stazione dei bus scomparso brevemente per lo stesso motivo.

Viviamo spesso al giorno d'oggi in uno spazio interculturale. Dove mondi differenti, modi di vivere diversi si incontrano, si scontrano, si osservano, si imitano o si intrecciano. "I sistemi si oppongono, gli uomini si incontrano" afferma giustamente una massima.

Ma quale è la regola d'oro per vivere in un mondo così complesso e plurale? Fare lo stesso lavoro delle api, suggeriva Antonio Perotti, grande esperto di sociologia. Di un viaggio, un incontro, un' idea differente, un'esperienza nuova... si coglie e si raccoglie il meglio. "Come le api fanno con i fiori, - concludeva - così io di tutto quello che incontro faccio il "mio" miele!"  La differenza, in questo modo, arricchisce per davvero! "La nostra ricchezza è fatta dalla nostra diversità - spiegava il biologo francese Albert Jacquard - l’altro ci è prezioso nella misura in cui ci è diverso".

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Ma per entrare in un mondo fatto di tante differenze, per arricchirsi in fondo dell'altro, quali sono le chiavi?

La prima è l'ascolto. Il decentrarsi. Uscire da sè e dal proprio mondo. Prestare attenzione a ciò che è unico nella vita degli altri. "Ricordando sempre che tu sei unico, - sottolinea qualcuno - esattamente come tutti gli altri!" . Si diventa persone migliori facendo proprie le conoscenze, i risultati, le conquiste degli altri che si incontrano quotidianamente.

Altra chiave è lo stupore. Cioè rimanere nell'immobilità, come in attesa, in suspense, senza ombra di condanna di fronte alla diversità dell'altro. Attitudine questa che gli antichi chiamavano "epochè" sospensione del giudizio. Sorprendersi, stupirsi, è iniziare a capire. "Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, - ripeteva Pablo Picasso, immerso nel mondo dei colori - cogli l’occasione per comprendere".

Altra ancora, l'arte della curiosità. A lungo considerata un comportamento negativo la curiosità è oggi sinonimo di cammino intelligente, di un sentimento che non si arresta davanti al reale, ma guarda le cose diversamente. Come un rabdomante che cerca la sorgente d'acqua, la curiosità cerca il senso sotterraneo, il "perchè" di un comportamento, di una tradizione differente o di un gesto. Per questo essa è tolleranza, apertura alla diversità.

La curiosità semina dubbi. E il dubbio porta alla certezza, compresa quella che si esprime attraverso una grande scoperta scientifica. L'unico modo, così, per andare a fondo delle cose oltre l'apparenza è interrogarsi: cosa, come, perché, quando, quanto, in che senso..."La curiosità e i problemi sono gli allenatori del pensiero". (M.Trevisan)

Infine, una chiave importante è sempre provare qualcosa di nuovo. Essere aperti ad altri punti di vista, assaporare cibi differenti, esotici, accogliere opinioni diverse dalle proprie, accettare che una risposta inaspettata possa rivelarsi preziosa. Essere, infine, disposti a cambiare la vostra stessa idea o atteggiamento. Se necessario.

In tutto questo una grande umiltà, lo spirito del dialogo, il gusto del raccontarsi sanno essere alleati formidabili. Per entrare in una nuova, promettente dinamica: la cultura dell’integrazione, "il rendere normale domani quel che ieri era impossibile".

* Renato Zilio è missionario scalabriniano, lavora in Marocco ed è autorie di "Dio attende alla frontiera" (ed. EMI)

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La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

10-07-2024 Missione Oggi

Un faro di speranza per le persone che vivono per strada

I Missionari della Consolata dell'Argentina accompagnano le “Case di Cristo” a “Villa Soldati” Nel cuore di Villa Soldati, a Buenos Aires...

Santo (in punta di piedi)

09-07-2024 Allamano sarà Santo

Santo (in punta di piedi)

Il 23 maggio scorso la sala stampa del Vaticano annunciava che papa Francesco aveva approvato l’avvenuto miracolo della guarigione dell’indigeno...

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