Scienza e Fede: è possibile una relazione non conflittuale?

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Inizio subito ammettendo un errore: ho messo nel titolo le parole, scienza e fede, per ragioni di comprensione immediata dell’argomento dell’articolo. In effetti la terminologia migliore è quella di scienza e teologia anzi meglio, come vedremo nella fase finale dell’articolo di scienza-e-teologia. D’altra parte scienza e fede dà una maggiore immediatezza e quindi possiamo usarla in prima approssimazione.

Diciamo comunque che la scienza è una riflessione razionale sulla struttura dell’universo che parte dall’atto di fede che l’Universo sia razionalmente comprensibile, come del resto la teologia è una riflessione razionale su Dio e la sua rivelazione che parte dall’atto di fede che questa sia razionalmente comprensibile. Da questo punto di vista il confronto avviene sulla base di una reciproca attenzione alla ragione umana come punto di incontro (1).

Questo naturalmente si porta dietro una conseguenza importante, scienza e teologia (qui intese come singole discipline) non sono magisteri che non si sovrappongono, come ha infelicemente affermato S. J. Gould, ma si sovrappongono come si sono sovrapposti nel passato e si sovrapporranno nel futuro. Questo richiede degli strumenti di indagine per studiare i punti di contatto e le sovrapposizioni, proprio per evitare che si possano creare situazioni di tensioni quali quelle che il passato (ma anche il presente) ci ha mostrato.

Vi è dunque, nel mondo, più attenzione che ha portato ormai ad un nuovo fervore di iniziative anche accade miche e di ricerca. Proprio per questo si preferisce ormai parlare (e scrivere) usando il termine di Scienza-e-Teologia (o anche Scienza & Teologia) per indicare che si tratta ormai di una nuova disciplina, autonoma, che cerca di sistematizzare i rapporti e indicare gli strumenti di lavoro, per indagare sul delicato campo delle inter-sezioni. Per fare questo esistono ormai società scienti-fiche tra le quali vogliamo ricordare l’ESSSAR che è l’acronimo di European Society for the Study of Science and Religion e la ISSR che è l’acronimo di International Society of Science and Religion. Le società organizzano convegni internazionali di cui ormai quello della società europea  è giunto alla decima edizione. Vi sono poi riviste, dalle statunitensi Zygon e Theology and Science all’europea, Studies in Science and Theology, fino alla recentissima Islam and Science. Vi sono cattedre a Berkeley, Princeton, Oxford e Cambridge. Insomma un fervore di iniziative che sta ad indicare come antichi problemi vadano ormai affrontati con tecniche e strumenti appositi.

Non ultimi dobbiamo ricordare i dizionari, almeno quello recente, italiano: Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (2). L’iniziativa è in effetti molto utile perché  in Italia manca la consapevolezza che ci troviamo di  fronte ad una vera e propria disciplina e il problema  viene ancora affrontato in maniera superficiale, spesso emozionale e retorica.

Comunque, di questa nuova disciplina possiamo riassumere i principali campi d’indagine.

Il primo è quello storico: si tratta di vedere come, nel tempo, i rapporti tra scienza e fede si sono andati sviluppando, e i vari modi con cui sono avvenute le relazioni. Non è difficile capire come si passi dallo scontro, a tensioni più o meno forti, all’indifferenza reciproca, ma anche a relazioni feconde che hanno permesso alla teologia di chiarire alcuni aspetti che le sono propri e d’altra parte alla scienza di allestire teorie di grande importanza.

Quindi se, di fatto, dal punto di vista storico vengono indagate le situazioni di tensione, sono in realtà molto più interessanti quelle che mostrano le situazioni di interazione e dialogo.

In un mio recente contributo ho cercato di schematizzare i principali aspetti delle interazioni (3).

Ad esempio si può benissimo parlare di un modello di interazione che deriva dalla Bibbia e del libro della Genesi. Come dato di fatto troppo spesso abbiamo un atteggiamento sbagliato nei riguardi della lettura del libro della Genesi. La lettura fondamentalista, che da alcuni anni ha di nuovo preso piede negli Stati Uniti, vede nel racconto delle origini riportato dalla Genesi un racconto reale di come sono andate le cose e quindi dà al racconto un valore scientifico e chiede che si faccia ricerca per dimostrarne la veridicità storica. Questo ovviamente è un tipo di interazione che non è più accettabile.

Di fatto però non è del tutto condivisibile l’atteggia-mento di chi vede nella Bibbia solo un valore teologico. E’ chiaro che la Bibbia ha un messaggio teologico che è ciò che conta, ma lo riveste delle idee del tempo e quindi è anche una importante manifestazione della scienza del tempo. Ad esempio, quando Dio pone davanti ad Adamo le varie specie perché Adamo dia loro un nome, l’episodio non ha un valore etico, non vuol dire la presa di possesso dell’uomo sulla natura, attraverso l’imposizione del nome ai viventi. Al contrario ha un valore scientifico: ci informa che la scienza del tempo aveva già elaborato il primo concetto di specie.

 

I viventi erano raggruppati in entità ben definibili e distinte, alle quali si poteva dare un nome. In questo caso è lo scrittore biblico che utilizza un dato della scienza del suo tempo per rivestirlo con un racconto comprensibile: il dato teologico della dipendenza della creazione dall’azione creatrice di Dio.

Ci sono però aspetti che hanno un importante valore teologico, ma che interpellano direttamente la scienza: in fondo il racconto della creazione dell’Uomo partendo da una sola coppia non sta tanto ad indicare il fattore storico dell’origine da una sola coppia individuabile nelle due figure di Adamo ed Eva, quanto il valore teologico dell’unicità del genere umano. E questo valore teologico è stato pienamente confermato dalla scienza contemporanea.

Un altro modello importante è quello che si sviluppa nella scienza classica. L’impresa di comprendere e descrivere con strumenti della ragione e della razionalità la struttura dell’universo poteva sembrare arbitraria e destinata al fallimento. La sensatezza dell’impresa ed il suo successo erano garantite, in fondo, dalla prospettiva che la natura fosse il risultato dell’opera ordinatrice di un ente esterno ad essa. Da questo punto di vista divenne importante l’ approccio del Timeo platonico che permetteva di indagare razionalmente la struttura dell’universo perché ordinato da un Demiurgo. Si aveva dunque a che fare con un universo caratterizzato dalla razionalità grazie all’opera di un artefice che quindi era il garante della sensatezza dell’impresa del filosofo e dello scienziato. Anche lo stesso concetto di fine e di finalità erano essenziali per la scienza: come è stato recentemente mostrato per l’opera di Galeno, la faticosa impresa del morfologo e dell’anatomico che cercava di descrivere l’adattamento dei viventi aveva senso se questo adattamento non era solo il risultato di un assemblaggio casuale di parti, come le proposte filosofiche di Empedocle e di Lucrezio sembravano suggerire, ma se tutte le strutture del vivente erano il risultato diretto dell’opera organizzatrice di un Demiurgo previdente e provvidente (4).

Curiosamente dunque la teologia naturale serve fonda mentalmente alla scienza che così può procedere fino in fondo con la sua descrizione degli adattamenti,

ponendosi sempre la domanda: a che serve?

Paradossalmente è invece un freno alla teologia che si trovò costretta nelle prospettive di un universo ordinato e completo uscito direttamente dall’opera creatrice del Demiurgo o del Dio biblico, senza poter riflettere adeguatamente sul fatto che, essendo il messaggio biblico un messaggio di storia di alleanza, di redenzione e di salvezza esso era un messaggio che doveva necessariamente guardare ad un ordine del futuro, un ordine da costruire, non ad un passato da conservare e che l’uomo, al massimo, poteva alterare in peggio col suo peccato.

Il modello moderno di relazioni nasce con la sintesi tra scienza classica e teologia musulmana nel periodo medioevale. In fondo per l’Islam la scienza e la filosofia greche erano una grande scoperta che portava alla consapevolezza di un metodo che in alcuni campi, la matematica, la geometria e la logica, portava ad una verità assoluta. Il sillogismo ed il teorema erano strumenti formidabili di conoscenza. Ma, d’altra parte anche il libro rivelato, il Corano, portava con sé una verità assoluta e definitiva. Come gestire le due cose, là dove sembrava emergere un contrasto?

Chi propone la soluzione moderna è Ibn Rush, che i latini chiamano Averroè. Per Averroè, là dove vi è un apparente contrasto, questo va risolto leggendo in maniera allegorica il testo sacro. In fondo è una affermazione non tanto della supremazia della scienza sulla fede, quanto semmai del fatto che la scienza è uno strumento per comprendere meglio la fede. Ma questo può accadere se la scienza lavora con i suoi strumenti e in autonomia. In fondo, afferma Averroè, il Corano è scritto in un linguaggio comprensibile per tutti e dunque talvolta deve usare una forma particolare, l’allegoria. Ma il sapiente, il filosofo, lo scienziato, sono in grado di capire la verità nascosta dietro il velo dell’allegoria, aiutati da quel tipo particolare di conoscenza assoluta e definitiva che deriva dalla scienza. Si tratta di un modello di interazione che Averroè propone alla fine del dodicesimo secolo (5). Ed è affascinante come questo modello di interazione sia molto simile a quello che Galileo proporrà nelle lettere copernicane, all’inizio del diciassettesimo secolo, quindi quasi cinquecento anni dopo.

In effetti anche in questo caso la scienza sembra raggiungere una verità assoluta e definitiva che riguarda i cieli e che è in contrasto con il modo di leggere la Bibbia. Per Galileo la risposta è simile a quella di Averroè anche se con alcuni importanti cambiamenti. Il primo è che più che il sillogismo è il metodo sperimentale nel suo insieme che rappresenta la scienza. Sono dunque le conclusioni naturali basate su sensate esperienze e necessarie dimostrazioni che hanno valore definitivo.

D’altra parte la Bibbia è un libro scritto in un’epoca ben precisa e non scritto direttamente da Dio, come il Corano, ma ispirato ad uomini che hanno rivestito il messaggio con il linguaggio e la scienza del loro tempo. Quindi la Bibbia va storicizzata e la scienza aiuta a comprenderla meglio (6).

In un mio contributo ho schematizzato questo model-lo di interazione come segue:

La Scienza accerta fatti che hanno particolare rilevanza ontologica, sui quali la Teologia non può intervenire, perché di competenza della Scienza, ma dei quali la Teologia deve tenere conto (7). Questo modello sembra apparentemente quello definitivo e quello destinato ad affermarsi. L’accettazione del modello non è stata certo facile, prova ne siano le difficoltà che ebbe Averroè nel mondo islamico e Galileo in quello cattolico e in fondo, curiosamente, i veri discendenti di Averroè vanno trovati nell’occidente cristiano. Ma paradossalmente, alle soglie del terzo millennio si pongono le condizioni per un suo significativo superamento. Forse il punto di partenza è proprio l’opera di Darwin. In fondo Darwin compie una operazione simile a quella di Galileo: Galileo aveva unificato lo spazio mostrando come le stesse leggi della fisica che il metodo sperimentale descriveva per la terra corruttibile valevano anche per i cieli apparentemente incorruttibili. Darwin unifica il tempo mostrando che le stesse leggi drammatiche che governano l’evoluzione e che Malthus, riferendole alla condizione umana aveva racchiuso nel termine di miserabilità, erano le stesse leggi

che avevano governato la vita fin dal suo nascere. Non vi era dunque un mondo perfetto prima del peccato e che era stato rovinato dall’azione umana, ma vi era un mondo che, in qualche modo, nasceva già dall’inizio segnato dalla sofferenza, dal dolore e dalla morte. L’estensione poi di questi meccanismi anche all’origine e all’evoluzione umana, all’interno di un progetto che vedeva come espressione massima dell’evoluzione e quindi della lotta per la sopravvivenza il gentleman inglese (8), aveva necessariamente creato tensioni che presto avrebbero portato allo scontro e che avrebbero travolto i tentativi di conciliazione. Ma paradossalmente sarebbe emerso anche un nuovo modello di interazione che può essere considerato come il punto di riferimento per le relazioni di scienza e teologia del terzo millennio. Questo modello si basa sull’opera di Teilhard de Chardin.

Pierre Teilhard de Chardin ha avuto un posto impor-tante nella storia della scienza del ventesimo secolo: è infatti il fondatore della moderna geologia e paleontologia del subcontinente cinese e del resto è colui che, nell’équipe che lavorava al recupero e alla collocazione nel quadro dell’evoluzione umana del cosiddetto uomo di Pechino, ne datò i resti e ne comprese e descrisse la cultura. Fa a questo punto sorridere che ci si possa meravigliare che in una mostra sull’origine dell’Uomo si parli di Teilhard. Se mai dovremmo meravigliarci del contrario, se ne parla troppo poco, talvolta viene il dubbio che la sua messa ai margini nella storia della scienza sia dovuta al fatto che egli non era solo uno scienziato, ma anche un gesuita, che cercò di muoversi in quel campo minato che era la sintesi tra evoluzionismo e teologia cattolica. Il mio lavoro sulla sua opera in questi ultimi anni ha cercato di recuperarne l’importanza nella storia della scienza e ricavare dalla sua opera filosofica un modello di interazione tra scienza e teologia utile per il futuro (9). In effetti l’evoluzione è la grande novità che la scienza moderna presenta alla teologia cattolica e cristiana nel diciannovesimo secolo.

Teilhard de Chardin da buon paleontologo ne è perfettamente conscio come è perfettamente conscio che questa novità porta ad una completa revisione delle nostre informazioni su origine ed evoluzione della vita e sull’origine dell’Uomo. Questi temi erano troppo evidenti per rifiutarli, ma anche troppo importanti per la teologia per recepirli passivamente. Le necessità della teologia divengono dunque parte di un più generale progetto di ricerca che sarà estremamente fecondo anche dal punto di vista scientifico. D’altra parte questo tipo di approccio è stato chiarito dall’epistemologia contemporanea come fondamentale per la scienza. Nella costruzione di una teoria non bastano solo le conclusioni naturali basate su sensate esperienze e necessarie dimostrazioni, come scriveva Galileo, ma hanno una parte importante anche tutte le riflessioni che potremmo chiamare “metafisiche” dello scienziato, le sue idee filosofiche e sociali, le sue intuizioni. Questo aspetto ha avuto una sistem atiz z azione con l’opera dell’epistemologo ungherese, ma attivo in Gran Bretagna, Imre Lakatos, che ha sviluppato la teoria dei programmi di ricerca scientifici.

Una teoria scientifica non è un oggetto semplice, ma è strutturata in maniera complessa e organizzata attorno ad un nucleo centrale che rappresenta tutta quella parte della teoria che non può essere alterata, pena la fine della teoria stessa. Una parte importante del nucleo centrale è quella che Lakatos stesso indica come metafisica, cioè che recupera tutte le idee dello scienziato non basate su osservazioni ed esperimenti (10). Da questo punto di vista si apre un importante aspetto di interazione, nel momento in cui, come accade in Teilhard de Chardin, lo scienziato ha anche una buona preparazione teologica: non abbiamo più solo intuizioni e sensazioni, ma un vero e proprio progetto teologico che va a far parte del nucleo centrale di una teoria o meglio, per usare i termini di Lakatos, di un programma di ricerca scientifico.

Qui si potrebbe aprire un fronte di discussione interessante: la scienza usa spesso, se non sempre un dialogo serrato, anche se talvolta sotterraneo con la teologia. Talvolta mi sono chiesto se tutta la scienza, in fondo, non sia altro che una grande riflessione sul problema di Dio. Tutte le teorie dei fisici che cercano di spiegare cosa potesse esistere prima del Big Bang, dalle teorie degli universi che si succedono o degli universi paralleli, non hanno nessun dato sperimentale di riferimento ma partono da un preciso problema teologico, quell’horror vacui che prende gli scienziati quando, di fronte ad origini che sfuggono al metodo galileiano ed a riflessioni affascinanti come quelle del principio antropico, inventano teorie al di là dei limiti del metodo, pur di sfuggire ad un dibattito serio con la filosofia e la teologia, sul problema delle origini. Per fortuna sono i teologi che prendono le distanze da facili concordismi e ammoniscono sui rischi connessi all’utilizzo di una azione creatrice per sopperire la mancanza di strumenti scientifici adeguati per indagare sul problema delle origini. La teoria del Dio tappabuchi che si colloca all’inizio del Big Bang o della vita o comunque che viene utilizzata per risolvere i problemi scientifici delle origini, è innanzitutto pessima teologia.

Del resto è anche importante mettere in guardia dalle tentazioni apologetiche e dai facili entusiasmi che possono apparentemente derivare dalle interpretazioni del principio antropico.

Non possiamo non ricordare che, dopo Teilhard de Chardin, la teologia non è tanto interessata al passato, quanto al futuro dell’uomo e cerca nel passato le indicazioni per il futuro. Non interessano dunque le origini, quanto il fine e i fini.

Ma andiamo avanti: Teilhard de Chardin pone come aspetto importante delle prospettive teologiche una qualche necessità dell’emergenza dell’essere pensante nell’economia dell’Universo. Questa necessità deve lasciare delle tracce evidenziabili sperimentalmente ed è qui, attorno a questa parte che corrisponde alla parte metafisica dei programmi di ricerca di Lakatos, che si articola il nucleo centrale del programma di ricerca teilhardiano. La necessità cioè di impostare l’indagine paleontologica ad un livello più ampio della semplice descrizione di questo o quel fossile o nella ricostruzione di questo o quell’albero di filogenesi per poter mettere in evidenza quelle canalizzazioni e quei parallelismi, di cui il principale è quello verso la cerebralizzazione. Ma l’impresa non è semplice e ben presto Teilhard mostrerà tutta l’insoddisfazione per gli strumenti tradizionali della paleontologia e, durante il lungo periodo passato in Cina, si renderà conto che solo un approccio globale può mettere in luce quelle caratteristiche dell’evoluzione che l’approccio riduzionista e popolazionista della sintesi moderna non riusciva a mettere in evidenza. Vi sono aspetti particolari dell’evoluzione che un approccio riduzionista non riesce a mettere in evidenza perché il tutto è più della semplice somma delle parti. Nascono così dall’opera teilhardiana degli anni Venti i due punti forti della ricerca della biologia contemporanea: la biologia come scienza della complessità del vivente e la Biosfera come struttura ultima da studiare per comprendere l’evoluzione. La Biosfera è, nella prospettiva indicata dalla ricerca teilhardiana, un oggetto complesso che si evolve. Con questo approccio emerge l’evoluzione del vivente come caratterizzata da parallelismi e canalizzazioni che rendono ragione del muoversi verso dell’evoluzione: un muoversi verso la complessità e la coscienza. Non possiamo andare oltre, ma ci interessa chiarire un altro punto ancora: l’interfaccia con la teologia, gestita in modo corretto, è dunque stata feconda per la scienza del ventesimo secolo perché ha permesso di proporre due temi fondamentali: la complessità come caratteristica dell’indagine della scienza del vivente e la Biosfera come sistema di parti intera genti che deve essere indagata per capire a fondo alcuni passaggi fondamentali dell’evoluzione.

Ma ovviamente, a questo punto, emergono tutta una serie di interazioni secondarie, non perché meno im-portanti, ma perché successive che ancora mostrano la ricchezza di questo rapporto dialettico. L’approccio alla Biosfera diviene importante con l’opera di Lovelock e l’ipotesi Gaia. L’ipotesi Gaia sta a significare che viventi e non viventi sono parti interagenti a livello di Biosfera e le interazioni sono caratterizzate da relazioni di controllo negativo che hanno il fine di mantenere la stabilità della Biosfera stessa e quindi mantengono attivamente le condizioni che permettono la sopravvivenza della vita (11). La prospettiva biosferocentrica proposta da Teilhard riceve da Lovelock un ulteriore arricchimento. Ma la proposta di Lovelock introduce una importante prospettiva nella discussione teologica ed in particolare sull’etica ambientale.

Dopo Teilhard de Chardin infatti l’etica ambientale diviene un capitolo fondamentale della teologia morale. Infatti Teilhard, come abbiamo accennato, cambia la prospettiva teologica. Ciò che conta non è il passato, ma il futuro, un futuro che si deve vedere non solo come la prospettiva escatologia del singolo in Paradiso, ma anche come futuro della Terra e dell’Umanità sulla Terra. La storia, che la teologia pone come storia dell’umanità, un’umanità che è in cammino verso l’alleanza, la redenzione e la salvezza, si estende a tutto l’universo come storia di complessificazione e coscientizzazione. Ma la storia si apre, grazie alla riflessione che deriva dall’evoluzione, nella prospettiva della costruzione della Terra che accolga un’umanità pronta per la seconda venuta di Cristo. L’ordine non è nel passato, ma è da costruire nel futuro, e la scienza oggi comprende che, perché questa costruzione possa progredire, occorre mantenere i ritmi della Biosfera senza alterarli: occorre cioè mantenere la stabilità della Biosfera. Le realtà terrestri necessarie per costruire la Terra acquistano dunque un grande valore teologico, come è riportato dalla attenzione che è presente nel documento del Concilio Vaticano secondo intitolato Gaudium et Spes e dalle prospettive che oggi legano la teologia della liberazione, frutto di uno dei più impor-tanti sviluppi dell’approccio teilhardiano (12), alle prospettive ecologiche.

Come si vede, da queste poche e rapide note, se affrontato serenamente e senza pregiudizi, il rapporto tra scienza e teologia è ricco e fecondo. Deve però essere affrontato in maniera professionale, come una vera e propria disciplina autonoma, scienza-e-teologia come dicevo all’inizio, e richiede quindi processi di formazione di specialisti che abbiano una buona preparazione in entrambe le discipline. Percorsi per la preparazione di questi specialisti si stanno approntando in tutto il mondo ma ahimè non in Italia! Forse potremmo sulle pagine di NATURALMENTE porci il problema della didattica di scienza-e-teologia a livello di scuola secondaria!

Ludovico Galleni

Note

(1)            Cfr. L. Galleni, Scienza e Teologia, proposte per una sintesi

feconda, Queriniana, Brescia, 1992; per un percorso didattico che possa interessare sia insegnanti di materie scientifiche come quelli di filosofia ma anche quelli di religione, si veda: L. Galleni, Biologia, La Scuola, Brescia, 2000, pp.: 106-136.

(2)            Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia), Urbaniana Univerrsity Press e Città Nuova, Roma, 2002.

(3)            L. Galleni, Scienza-e-Teologia, il progetto del terzo millennio, postfazione a: V. Maraldi, Lo Spirito creatore e la novità del co sm o, Paoline editoriale libri, Milano,2002.

(4)            Cfr. L. Galleni, Biologia, op. cit. pp.: 67-78. Averroè, Il trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia, a cura di M. Campanini, Rizzoli, Milano, 1999.

(5)            G. Galilei, Le lettere copernicane, a cura di M. Baldini, Armando, Roma, 1995.

(6)            L. Galleni , Scienza e Teologia, proposte per una sintesi feconda, op. cit. pp.: 92-93

(7)            L. Galleni, La Biosfera e i diritti dell’animale, in: Animali e persone, ripensare i diritti ( a cura di L. Alici) Edizioni San Paolo, Milano, 2003, pp.: 9-67.

(8)            L. Galleni, Scienza-e-teologia:Teilhard de Chardin e la proposta del terzo millennio, Convivium Assisiense, 4(n. s.) pp.: 385-394, 2002; ed anche: L: Galleni, Teilhard de Chardin in: Dizionario Interdisciplinare Scienza e Fede, op. cit. pp.: 2111-2124.

(9)            I. Lakatos, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1985.

(10)         Qui si dovrebbe aprire una discussione sul concetto di fine che però ci porterebbe lontano! Cfr. L. Galleni, Thechallengeof  Biotechnology to Christian Anthropology: A Western (Mediterranean) Perspective, in: Christian Anthropology and Biotechnological Progress, (V. Gekas ed.) Technical University of Crete, Chania, 2003,pp.: 61-74.

(11)         Cfr. L. Boff, Ecologia, mondialità, mistica, trad.it. Cittadella Editrice, Assisi, 1993.

 

Fonte  wds.bologna.enea.it

 

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