LA LEADERSHIP NELLA VITA CONSACRATA: Il CONTESTO, ALCUNI AMBITI, ELEMENTI DI UN NUOVO MODELLO

Published in Missione Oggi

a cura di J. Palud, E Cereda e S. Currò

 

 

 

A conclusione dell'assemblea USG (22-24 maggio 2013)
e per rilanciare la riflessione

 

PREMESSE

Il tema della leadership nella vita consacrata (dello stile e delle modalità del suo esercizio) si è rivelato un tema caldo, che richiama subito le problematiche attuali della vita consacrata e i processi in atto di cambiamento di mentalità. Il modello tradizionale di esercizio dell'autorità (non il valore dell'autorità ma il modello) non tiene più. Si fa strada lentamente un modello nuovo che però non emerge ancora con chiarezza. I lavori dell'assemblea hanno contribuito a chiarificarne alcuni contorni ma il cammino deve proseguire con pazienza e discernimento, anche sperimentando e verificando.

 

Il cammino verso un nuovo modello di leadership nella vita religiosa si connette anche con i fermenti (complessi, spesso contraddittori e bisognosi di discernimento) dell'attuale contesto culturale ed ecclesiale. Tale cammino, evidentemente, si nutre anche del richiamo evangelico a pensare il potere nella prospettiva del servizio. Il richiamo evangelico non dice solo una modalità di esercizio del potere, ma riconduce radicalmente il potere al servire e al modo di agire di Dio che guida con amore il suo popolo, fino a dare la vita.

 

Il cammino è segnato dunque dall'abitare con saggezza, da consacrati, questo tempo, lasciandosi animare dal vangelo. È inoltre un cammino sulla scia del Concilio. Il riferimento ai 50 anni del Vaticano II non è stato di circostanza. Avvertiamo che bisogna riprendere lo spirito del Concilio, il senso della fedeltà dinamica al vangelo e al carisma, della lettura dei segni dei tempi, il senso della svolta pastorale del Concilio. In alcuni momenti la nostra assemblea ha manifestato la convinzione che oggi lo Spirito sta agendo in modo particolare nella sua Chiesa, la sta conducendo su nuovi sentieri, la sta forse riportando all'essenziale.

 

Ci chiediamo: quali nodi la nostra assemblea ha evidenziato riguardo all'esercizio della
leadership? Quali piste ha lasciato intravedere? Tentiamo di rispondere in tre tempi: 1)
evocando alcuni elementi del contesto culturale, ecclesiale e del cammino attuale della

vita consacrata; 2) evidenziando gli ambiti e i campi più problematici dell'esercizio della leadership; 3) indicando alcuni elementi, in movimento, di un nuovo stile di leadership.

 

1. ELEMENTI DI CONTESTO

 

1.1. Viviamo nel tempo della crisi ma anche della speranza... nel tempo della complessità e della necessità del discernimento

 

La crisi - si è detto - è crisi di civiltà, di modelli. Il cambio riguarda i modelli culturali, la concezione stessa della vita; ha una portata antropologica. Non ci si può limitare, dal punto di vista ecclesiale, a semplici aggiustamenti o accomodamenti. La questione è più

seria, ma non deve spaventare. Il Signore guida anche nel deserto, nei tempi di esodo,
anche quando ancora non si intravede la terra promessa. Anzi tali tempi possono rivelarsi

tempi di purificazione, di rinnovata fedeltà, di riscoperta dell'essenziale.

 

La vita consacrata partecipa di questa crisi ed è attraversata da un processo di radicale
rinnovamento. Se pensiamo i nostri Istituti come delle case, possiamo riferire ad essi
quanto ci è stato detto della cultura attuale. Traballa il pavimento, traballano le fondamentastesse. Una politica di mantenimento, di aggiustamenti di facciata, non si rivelerebbe
saggia alla lunga distanza. Eppure non si intravvede bene il cammino da fare. Non abbiamo ancora una visione d'insieme rassicurante. Questo è il tempo del discernimento, della sfida a leggere in profondità, comunitariamente e con fede, i processi. È il tempo, forse, in cui il Signore ci sfida a confidare più radicalmente in lui, ad affrontare dei rischi, a riconciliarci con l'essere poveri, a condividere la precarietà e la provvisorietà che segnano la vita di tanti nostri contemporanei. Non siamo gli unici oggi a vivere incertezze per il futuro.

 

Siamo in cammino con tutti. La stessa questione della leadership è questione non solo
nostra ma di tutti. C'è una crisi della leadership nelle diverse realtà ecclesiali, nella famiglia, nella politica, nei diversi ambiti sociali. In questo camminare con tutti, in questo
abitare il terreno di tutti, siamo chiamati a far emergere la speranza, il senso di un bene possibile. Ed è proprio sul terreno del senso e dello stile della leadership che si sono manifestati segni grandi di speranza. Due eventi recenti ecclesiali, segnati dall'azione dello Spirito, stanno parlando a tutti, credenti e non credenti: la rinuncia alla leadership di Benedetto XVI e un nuovo stile di leadership che Francesco sta inaugurando.

 

Si tratta quindi di abitare con fiducia la transizione, di riconoscere il già per poter costruire il non ancora. Si tratta di riscoprire il senso della pazienza, del confronto, del dialogo. Si tratta di sentire che questo tempo nasconde delle opportunità. Sentendo le opportunità e abitando il già, emerge una speranza viva che smonta dall'interno quel senso di stanchezza, di sfiducia e di nostalgia della casa stabile (in fondo, del tempo del regime di cristianità) che attraversano la vita religiosa, le comunità ecclesiali, ì contesti sociali. Se la vita consacrata è segno profetico, oggi la profezia ha il nome della fiducia, della speranza, dello sguardo in avanti.

 

1.2. Ci è chiesto un cambio di mentalità: dall'autoreferenzialità alla reciprocità e al cammino insieme

 

La questione della leadership richiama immediatamente la questione relazionale, della
qualità delle relazioni. Anche qui siamo in cammino con tutti: la crisi delle relazioni e il

bisogno di incontro vero e di comunione attraversano tutti gli ambiti di vita, a tal punto che se l'evangelizzazione scavalcasse questo bisogno, si manifesterebbe insignificante. Avvertiamo che la testimonianza comunitaria, l'essere esperti di relazioni umane non sono scavalcabili. Le nostre relazioni dovrebbero diventare luogo e laboratorio di esercizio del riconoscimento dell'altro, di dialogo vero, di corresponsabilità, del primato della misericordia. In ciò incrociamo alcune sfide culturali di oggi: la necessità di far emergere il primato della persona rispetto alle strutture, alle idee, alle logiche della politica o dell'economia; la necessità di costruire senso di appartenenza passando per la partecipazione, il dialogo e la valorizzazione di ciascuno; il riconoscimento della sacralità di ogni persona; l'apertura a quel di più di appello, di dono, di chiamata di Dio che si nasconde nella trama delle relazioni umane e nel cuore di ciascuno.

 

Le relazioni umane e la stessa relazione di obbedienza si giocano tra rispetto e decisione, tra accoglienza e responsabilità, tra ricerca della dignità umana e l'apertura alla grazia e alla chiamata. di Dio. Ciò passa anche attraverso i conflitti. Forse bisogna riconciliarsi un po' di più col valore di crescita umana e di fede che possono avere i conflitti, quando sono ben gestiti, evitando di scadere o nell'armonia a tutti i costi o in logiche di ripicche o nell'indifferenza. Anche su questo siamo in cammino con tutti, e, in quanto credenti e consacrati, abbiamo la sfida di mostrare che il vangelo e i doni di Dio aprono a relazioni vere.

 

Siamo in cammino con tutti. L'autoreferenzialità o l'unilateralità emergono, nei nostri
contesti, in modo talvolta eclatante, talvolta sottile ma profondo, ad es.: quando rimaniamo
sempre nel ruolo di colui che dà, senza saper ricevere, quando rimaniamo sempre nella posizione solo di dare risposte; quando siamo noi a formulare in modo definitivo,
scavalcando il dialogo, le domande degli altri; quando siamo incapaci di vero, reciproco,
incontro; quando non sappiamo cogliere il valore delle differenze. A tale proposito, l'interculturalità stenta a diventare una risorsa; i processi di un reale attraversamento delle culture e della ricerca della trasculturalità rimangono difficili, ma necessari.

 

L'autoreferenzialità si nasconde anche nella tendenza ad affrontare i problemi solo in
prospettiva moralistica, ad es. quando si ricorre troppo spesso alla chiave interpretativa
dell'individualismo. Dentro storie di individualismo si nascondono spesso bisogni di
incontro, fatiche di fiducia in se stessi, desiderio di cose grandi. Lo sanno bene alcuni educatori dei giovani o alcuni formatori saggi che sanno vedere, anche negli adulti, al di là
di comportamenti cosiddetti individualistici un bisogno di essere amati, riconosciuti,
valorizzati. Ogni voglia di crescere, di mettersi o rimettersi in gioco, parte da un essere
riconosciuti. Andrebbe approfondita una antropologia del riconoscimento, e una
comprensione del vangelo e dei nostri carismi a partire dal riconoscimento dell'azione di
amore di Dio; a partire dalla grazia prima che del dovere morale.

 

1.3. È tempo di speranza, saggezza e profezia

 

Se la vita consacrata è segno profetico, oggi questo passa attraverso un richiamo all'essenziale della fede, ad una Chiesa più leggera, più povera, libera, serva, più capace di abitare le periferie geografiche e esistenziali, più vicina alle sue sorgenti (si è parlato di una chiesa più apostolica, più riconoscibile per la centralità dell'azione dello spirito...). La vita consacrata è segno profetico se sa esprimere il senso e il cuore dell'umano, se sa esprimere saggezza; se sa parlare dell'uomo e all'uomo, lasciandosi ispirare da Dio e dal carisma.

 

La vita consacrata ha qualcosa da dire, con la sua stessa testimonianza, sulla questione
antropologica attuale che emerge in tanti modi: nella stessa crisi economica che ne è
come una espressione; come orizzonte problematico dei cambiamenti radicali di mentalità

legati al mondo digitale e alle nuove tecnologie.

 

A partire dal vangelo e dai nostri carismi, va fatta emergere a poco a poco una nuova
antropologia: del dono, della vocazione, della grazia, dell'ascolto, dell'iniziativa altra,
dell'obbedienza. In questo senso l'obbedienza religiosa e gli sforzi del discernimento e della ricerca della volontà di Dio hanno bisogno, anche in ottica di pastorale vocazionale, di nutrirsi di una rinnovata antropologia cristiana. L'obbedienza è in realtà esercizio di vera intelligenza e libertà interiore. Fanno parte di questa nuova antropologia da costruire le dimensioni dell'affettività, della corporeità, della sensibilità, a dire il vero poco toccate nei lavori dell'assemblea.

 

La vita consacrata è segno delle cose ultime, evoca e rende presente il senso escatologico della fede cristiana. Tale senso escatologico, più che come testimonianza dell'aldilà, va espresso oggi, forse, come attesa del Signore che viene. Il Signore, che pure abbiamo già incontrato e conosciuto, ci viene incontro dal futuro. Egli sta costruendo un tempo nuovo, i segni si vedono già e i primi chiamati a collaborare sono i religiosi.

 

L'apertura al Signore che viene dovrebbe liberarci dalla paura del nuovo, dovrebbe renderci disponibili alla sorpresa, dovrebbe liberarci dall'idea che portiamo Dio in un mondo dove lui sarebbe assente; dovrebbe darci la fiducia che Dio continua a operare anche quando abbiamo la sensazione di non gestire noi i progetti.

 

2. AMBITI DI ESERCIZIO DELLA LEADERSHIP

 

2.1. Sfide del servizio dell'autorità

 

Il contesto odierno presenta alcune aree, in cui la leadership del Superiore generale
richiede vigile attenzione per esercitare un attento discernimento e capacità di visione per individuare alcuni cammini. Tali aree riguardano: l'incontro tra le culture, la dinamica relazionale, l'ambiente digitale, la questione ecclesiologica, la crisi economica. Per alcune aree  evidenziamo ora le sfide principali.

 

L'incontro tra le culture

 

La multiculturalità è un fatto presente in numerosi contesti e non sono occidentali, a causa del fenomeno migratorio oppure della presenza in uno stesso luogo di diversi gruppi etnici; ciò ha portato nuove vocazioni nei nostri Istituti e ha richiesto a noi nuove modalità di vita comunitaria e di azione pastorale. I nostri Istituti sono impegnati, non da oggi, a vivere e a far vivere esperienze interculturali. Siamo consapevoli che la meta è quella di giungere ad una capacità di transculturalità, che sappia superare e attraversare i confini delle singole culture in virtù della consapevolezza della appartenenza alla comune specie umana, del riferimento comune al vangelo e allo stesso carisma.

 

Siamo consapevoli che per favorire questo incontro tra le culture occorrono alcune
attenzioni. Una profonda esperienza interculturale richiede come presupposto una vera
inculturazione. Il carisma ci domanda di lasciar cadere gli elementi culturali non trasferibili

e di individuare gli aspetti validi per ogni cultura. Troviamo nel vangelo ciò che ci aiuta superare l'enfatizzazione delle differenze.

 

Alcune sfide per la leadership del Superiore generale al riguardo possono essere le seguenti.

 

a) E' necessario individuare nel processo di formazione iniziale i momenti in cui, acquisita una solida inculturazione, è importante chiedere ai giovani formandi di inserirsi in esperienze comunitarie e pastorali multiculturali per abilitarli all'esperienza interculturale. Ciò richiede di avere formatori di diversa provenienza culturale e con capacità di assumere l'esperienza interculturale. Ciò domanda pure un impegno per l'apprendimento delle lingue.

 

b) E' importante costituire, soprattutto in contesti multietnici e pluriculturali, comunità internazionali che siano segni profetici e scuole di comunione in mezzo alla gente tra cui si vive e alla chiesa locale al cui servizio ci si trova. Ciò domanda superiori locali preparati, capaci di favorire l'accoglienza reciproca tra i membri della comunità, la valorizzazione delle differenze, il riconoscimento degli aspetti culturali, carismatici ed evangelici comuni, la complementarietà.

 

c) Occorre che i nostri Consigli generali, che sono ordinariamente costituiti di membri di diverse culture, vivano l'esperienza interculturale e nelle decisioni abbiano attenzione alle differenze dei vari contesti, pur vincolandosi agli stessi valori carismatici. L'Istituto sappia trovare luoghi di incontro e di scambio tra confratelli di diverse culturale.

 

La dinamica generazionale

(cf sintesi del gruppo)

 

L'ambiente digitale

 

La rete è una esperienza di vita. È parte integrante della vita personale e sociale e del modo di vivere di oggi. La rete non è solo qualcosa altro, esterno alla vita; è condizione e modo d'essere. Non si usa la rete, ma si vive la rete e in rete. Il mondo virtuale non è parallelo ma parte della realtà quotidiana; è parte del tessuto dell'esistenza. Di qui il grande interesse e dovere, da parte di chi ha responsabilità di comunione e di leadership, di interessarsi per essere uomini del nostro tempo.

 

La Costituzione conciliare "Gaudium et spes" al numero 5 osserva che le nuove tecnologie hanno un impatto sul modus cogitandi dell'uomo e dell'umanità. Esse cambiano non solo il modo di fare, ma anche l'interiorità dell'uomo. La Chiesa segue con speciale interesse e cura le nuove scoperte e vie tecniche perché direttamente riguardano lo spirito dell'uomo; esse aiutano a creare l'unità del genere umano, favorendo pure la comunione. La rete influisce in particolare sul modo della ricerca di Dio, sulla vita della comunità, sulle modalità di testimonianza e evangelizzazione, sull'interiorità.

 

Alcune sfide per la leadership del Superiore generale al riguardo possono essere le seguenti.

 

a) E' necessario favorire una mentalità positiva verso l'ambiente digitale. Occorre superare e far superare la mentalità che identifica il modo digitale la realtà virtuale; è infatti inadeguata l'opposizione tra reale e virtuale; occorre invece distinguere tra fisico e digitale. La rete è un modo di relazione; se si continua a dire che il virtuale è fittizio, ciò

deresponsabilizza l'impegno e la trasparenza personale nelle relazioni digitali, che sono rilevanti antropologicamente e moralmente.

 

b) E' importante abitare il mondo digitale; occorre conoscerlo nei suoi aspetti positivi e nei suoi rischi. Esso favorisce la relazione. La relazione digitale deve portare alla relazione fisica e la relazione fisica è integrata dalla relazione digitale, che ha anche una forte

capacità di aggregazione e di convocazione. Oggi la relazione è significativa se è dentro una dinamica interattiva.

 

c) Occorre anche conoscere il mondo dei socia) network; essi organizzano la relazione tra simili selezionati, per affinità; c'è il rischio di perdere l'alterità, la tensione, il conflitto,

l'integrazione, il progresso comunitario. È vero che si creano "cerchie" selezionate, quasi , club, però la comunicazione è tendenzialmente ordinaria, popolare e universale.

 

d) Bisogna riconoscere che i candidati che arrivano nei nostri Istituti portano con sé un

mondo di conoscenze, affetti e amicizie che sono presenti nella rete; essi mantengono e
costruisco relazioni nella rete; occorre aiutarli a discernere e selezionare le relazioni, che

hanno una validità affettiva ed anche pastorale, orientandoli così a un uso pastorale proficuo della rete e dell'ambiente digitale.

 

La questione ecclesiologica

(Cf. sintesi del gruppo)

 

La crisi economica

(Ct. sìntesì del gruppo)

 

2.2. Aree del servizio dell'autorità

 

In questa Assemblea sono state scelte quattro aree in cui è importante che il Superiore
generale eserciti il suo servizio di autorità: l'accompagnamento delle crisi, la trasformazione dell'Istituto in "Famiglia religiosa", la formazione iniziale e permanente, la relazione tra religiosi e laici

 

Accompagnamento delle crisi

 

La crisi è un cambiamento traumatico o stressante per un individuo oppure può riguardare una situazione sociale instabile e pericolosa; crisi significa anche opportunità di trasformazione e di miglioramento; la crisi riguarda una persona nella sua interiorità e nella sua autenticità.

 

a) Le minacce fondamentali alla autenticità della persona consistono nella frammentazione, nella depressione e nella disarmonia. Alla base di tutte le minacce, c'è l'ansia, che è la reazione, a livello prevalentemente emotivo, che segue la percezione di un pericolo all'integrità dell'io. Ci può essere la paura della solitudine, la paura dell'immagine di sé, la paura dell'impotenza e della colpa.

 

b) La strategia fondamentale dell'autorità di fronte alle crisi del religioso è di non farlo sentire solo e di assicurare l'accompagnamento; non sempre sarà il superiore ad accompagnare, ma occorrerà porre vicino una persona e inserire in una comunità che

instaurino una relazione di aiuto. Occorre invitare la persona ad esprimersi; comunicare a lei valori e ideali; cercare le domande del suo cuore.

 

c) Non bisogna aspettare a lungo di fronte alla crisi di un confratello; occorre affrontare le situazioni ai vari livelli psicologico, spirituale, terapeutico con l'intervento anche di figure diverse per aiutare a prendere in mano le proprie sicurezze umane — gli onori, le ricchezze, l'immagine di sé - per far scoprire un'autentica libertà.

 

Trasformazione da "Istituto" a "Famiglia"

 

Nella ecclesiologia di comunione, prima di sottolineare la specificità delle diverse vocazioni nella Chiesa, occorre evidenziare e vivere maggiormente gli aspetti comuni della vocazione cristiana: siamo tutti discepoli del Signore Gesù e quindi suoi apostoli. In questo senso occorre tornare alla bellezza e alla gioia della Chiesa apostolica, quando tutti erano un cuor solo e un'anima sola e non c'era tra loro distinzione dì persone; tutti erano una sola famiglia: la famiglia di Dio.

 

Questo cambio di paradigma che riguarda la Chiesa, ha rilevanza anche per la vita
consacrata: lo stesso carisma è condiviso da diverse vocazioni, specialmente dai laici. Precedentemente si insisteva maggiormente sulla nostra identità specifica di consacrati e sul nostro "stato di vita"; oggi invece si sottolineano maggiormente le nostre relazioni con altre vocazioni. La condivisione dello stesso carisma con i laici nello spirito e nella missione, non è principalmente una scelta strategica dei nostri Istituti, ma è un dono dello Spirito. Cosa possiamo fare per accogliere questo dono?

 

a) E' necessario essere consapevoli che il carisma non è proprietà dell'Istituto, ma che è

un dono dello Spirito, dato alla Chiesa attraverso una Congregazione. Anzi è un carisma
dato al mondo, per cui anche persone di altre religioni o atee possono vivere il carisma a

loro modo. Questo ha portato alla costituzione di Famiglie religiose, come la Famiglia
carmelitana, la Famiglia paolina,        Ciò domanda di avere cura di queste Famiglie con
attenzione ai singoli, alle coppie, ai laici associati. Non dimentichiamo di promuovere

anche il grande apporto della donna al nostro carisma.

 

b) Nella cura della "Famiglia religiosa" occorre promuovere diversi tipi di legami come una promessa, una consacrazione, un impegno pubblico, ...; in qualunque modo si formalizzi il legame con l'Istituto, occorre far crescere il senso di appartenenza. Poi questi vari gruppi potranno avere anche Costituzioni, Regolamenti, Progetti di vita apostolica, dando così

identità al gruppo. Infine, come già è, avvenuto, numerosi di questi "gruppi associati" potranno avere il riconoscimento della Ch/CSVA o del Pontificio Consiglio per i Laici.

 

c) Per far crescere l'identità del "gruppo associato" e il senso di appartenenza alla

"Famiglia religiosa" è necessario favorire la condivisione; la condivisione del carisma,
ossia dello spirito e della missione, la condivisione della vita e la condivisione della

formazione con momenti congiunti. Tutto ciò ci domanda di riscrivere le "Mutuae relationes" all'interno del nostro carisma.

 

Formazione iniziale e permanente

 

I cambiamenti nella Chiesa avvenuti dopo il Concilio, hanno posto l'accento sulla formazione della persona e su ciò che è vitale, esperienzíale ed esistenziale. Il rifiuto della visione di una natura umana immutabile ha fatto maturare una coscienza storica dello sviluppo della persona, una consapevolezza della responsabilità personale nella propria crescita, una corresponsabilità di tutti verso il mondo in cui si vive. Ciò ha cambiato anche la formazione, portando l'attenzione sulla interiorità; in questo senso anche gli aspetti umani della crescita hanno avuto una nuova enfasi.

Il modello classico di formazione aveva attenzione maggiormente agli obiettivi, ai valori religiosi, agli aspetti razionali e intellettuali, al senso dell'autorità gerarchica e trascurava le dinamiche profonde dell'individuo, i sentimenti e le emozioni, i gruppi informali e le loro dinamiche, i conflitti con le istituzioni, le discussioni e i processi per prendere decisioni, il contributo delle scienze del comportamento, ... Oggi si ha attenzione più alla libertà interiore che a quella esteriore, all'impegno personale che a quello istituzionale, alla persona che cambia più che alla sua stabilità.

 

a) Nella formazione iniziale occorre aiutare il cambiamento di modello, superando la conformazione e la compiacenza, andando verso la identificazione e successivamente verso la internalizzazione. Ciò domanda di tenere maggiormente in conto la cultura del soggetto che influisce sulla persona più che la formazione, la situazione delle famiglie separate di provenienza, l'incertezza di orientamento sessuale, l'influsso interculturale.

 

b) E' urgente assicurare la formazione di formatori, non solo come preparazione intellettuale, ma specialmente come formazione all'accompagnamento. C'è un accompagnamento comunitario o di ambiente che richiede attenzione alle sue dinamiche proprie di comunità, ma c'è anche un accompagnamento personale, che domanda una personalizzazione dei processi formativi e maggior attenzione al discernimento vocazionale con i suoi criteri di idoneità e di crescita.

 

c) Nella formazione iniziale occorre pure una strategia in riferimento alle comunità formatrici interprovinciali, alla costituzione di equipe di formatori di diversa provenienza culturale, all'esperienza interculturale, ...

 

d) Occorre creare maggior integrazione tra formazione iniziale e formazione permanete, aiutando ad assumere una mentalità di formazione continua. Nello stesso tempo se la formazione permanete non avrà un maggior impulso, il carisma gradualmente perde la sua vitalità e la formazione iniziale diventa sempre più debole e ininfluente.

 

Relazione tra religiosi e laici

 

Nella relazione tra religiosi e laici vi sono alcune strategie da privilegiare, che possono favorire una la testimonianza, la corresponsabilità, l'arricchimento reciproco.

 

a) Risulta essere importante coinvolgere i laici in un progetto apostolico secondo il carisma dell'Istituto, che risulti attraente; ciò creerà entusiasmo tra religiosi e laici. Insieme occorrerà elaborare il progetto di azione, determinare obiettivi, strategie e interventi,
distribuire i compiti, eseguire le azioni programmate e valutare il lavoro svolto. Il lavoro di
equipe farà crescere la relazione e la conoscenza reciproca, a partire dalla concretezza

dell'azione.

 

b) La relazione potrà crescere se si troveranno anche momenti in cui si condividono esperienze spirituali e se soprattutto se ci sarà un coinvolgimento circa il carisma. Il coinvolgimento nella missione richiede pure il coinvolgimento nello spirito dell'Istituto; si tratta di un coinvolgimento nel carisma più che nell'istituzione.

 

c) La comunità religiosa sarà in grado di coinvolgere i laici nella missione, nello spirito e nel carisma, se sarà aperta e accogliente verso di loro e saprà superare l'autoreferenzialità; se vivrà la relazione e l'incontro con il senso teologico della vera esperienza di comunione e di Chiesa; se avrà fiducia nel loro apporto e sarà capace di offrire loro responsabilità; se vedrà il coinvolgimento come vera occasione di arricchimento reciproco.

 

d) In tutto questo hanno un ruolo fondamentale le relazioni umane di rispetto reciproco, di sincerità e onestà, di informazione e comunicazione, di interessamento alle situazioni familiari, di vicinanza alla vita di ognuno, ma anche di incontri congiunti, di formazione insieme, di momenti informali.

 

La relazione con i laici richiede quindi strategie precise e azioni di leadership per motivare, incoraggiare, presentare esperienze riuscite, affrontare le sfide che si presentano.

 

3. ELEMENTI DI UN NUOVO STILE DI LEADERSHIP

 

J'ai regroupé un certains nombres d'idées entendues lors des conférences ou des
carrefours autour de quatre points. J'ai pu y ajouter quelques éléments extérieurs ou qui
m'ont paru étre des oublis, mais ils sont un contrepoint qui participent à la musique. Si certains éléments sont redondants avec la partie précédente, cela en fera ressortir davantage l'importance.

 

Distinction entre l'autorité et le pouvoir

 

Plusieurs interventions et à propos de contextes divers ont insisté sur la crainte que l'autorité ne devienne parfois autoritarisme.

 

- le temps de l'obéissance aveugle est terminé et le dialogue a aujourd'hui toute sa piace dans les prises de décisions.

 

- vous avez répété combien l'exercice de l'autorité relève du service et non du pouvoir, mais cette dimension du service est-elle bien comprise ? Est-elle méme percue par les jeunes qui sont au seuil de la vie religieuse, si c'est ce point de l'obéissance à l'autorité qui doit leur poser problème, voire les faire renoncer?

 

Puisque nous sommes à Rome, je rappelle qu'un auteur latin ancien mettait le pouvoir du cóté de l'empereur (qui exerce la force), et l'autorité du cóté du Sénat (qui a l'expérience - ou la sagesse !). Le pouvoir est capable de se faire écouter par la force, l'autorité est celui que l'on a besoin d'écouter, que l'on a envie d'écouter. Quand le pouvoir n'est plus là, on soupire de soulagement ! Quand l'autorité n'est plus là, il nous manque quelque chose...

 

Le difficile exercice de l'autorité

 

Le Père Benoit Grière nous a rappelé qu'il nous fallait accepter d'étre tous un peu boiteux sur la route. Ne révons pas d'un modèle de vie religieuse où l'exercice de l'autorité serait aisé.

 

- Le Christ aussi a été confronté à l'incompréhension et à une société qui résiste à son

message. Méme si l'on nous dit qu'il enseignait avec "autorité", ses arguments s'arrétaient

parfois à "...il ne sera pas donné à tous de comprendre".

 

- Peut-ètre les difficultés semblent-elles croissantes et nous avons évoqué plusieurs

éléments :

 

- l'obéissance est un chemin de croissance vers une liberté jamais acquise, et les mèmes religieux peuvent passer par des étapes où l'obéissance devient difficile. Dans la vie apostolique, en particulier, c'est sans doute parfois plus difficile de faire sa valise à 60 ans qu'à 30. Ce n'est pas la faute de ('époque actuelle, mais de l'àge (quelle que soit ('époque).

 

des religieux plus jeunes, baignés dans une culture où l'affectif et l'émotionnel jouent ur róle croissant, demandent sans doute plus de dialogue pour se laisser convaincre, une plus grande attention à la qualité de relation.

 

Les difficultés croissantes ne viennent pas seulement de l'intérieur de la vie religieuse : dans les temps anciens, quand notre identification à la mission étaìt plus evidente et que nous étions seuls à la tète des institutions, le supérieur ayant à exercer l'autorité avait plus de cartes en main et avait la sensation de maitriser davantage les paramètres. Si, particulièrement depuis Vatican Il, nous sommes plus situés au milieu du peuple de Dieu, participants de structures qui appartiennent à d'autres, où collaborant avec des laics qui ont leur propre rythme, de plus en plus de paramètres nous échappent et les processus de prise de décision se complexifient. L'art du responsable n'est plus seulement de savoir quelle décision prendre, mais d'avoir les moyens d'apprécier si toutes les prises de consciences nécessaires ont été opérées au point que la situation soit more pour que la décision soit prise.

 

Parfois des problèmes nous semblent difficilement surmontables, comme dans les cas d'abus sexuels. II est sans doute important, ici, de ne pas ètre seul pour affronter ces situations.

 

A propos de plusieurs de ces problèmes, il a été question de formation. Il faut redire le róle préventif -et pas seulement formatif- de la formation : anticiper les situations problématiques par la formation peut diminuer les recours à l'autorité que l'on sollicite souvent seulement quand il y a problème.

 

Des maìtres-mots sont apparus comme les composantes d'une bonne gouvernance :

- l'écoute (et donc toute la qualité de relation que cela suppose)

 

- la collégialité : elle n'est pas seulement présente dans les divers conseils et les instances de discernement (Rappelons que la multiplication des étages peut servir d'alibi pour retarder les prises de décision, ou pour décider de ne rien décider). Une forme de collégialité atteint désormais chacun : si l'on a insisté sur la nécessité de responsabiliser
les personnes, c'est bien pour que, dans le dialogue, elles se sentent acteurs des
décisions qui les concernent. Il y a là une authentique participation individuelle au processus de prise de décision.

 

Diversité de la représentation de I'autorité dans les diverses cultures

 

Plusieurs exemples nous ont été donnés de l'impact des différentes cultures sur la compréhension de ce que nous devrions avoir en commun dans un institut, voire dans la vie religieuse toute entière. Si l'impact de ces cultures influe sur notre perception, par exemple, de ce qui compose la matière méme de notre vie religieuse, l'apostolat, le sens des voeux, la vie spirituelle... il n'est pas surprenant de voir l'autorité confrontée à la nécessité de gérer des situations d'écart par rapport à ce qui est notre tradition ou notre charisme.

 

Plus spécifiquement, les modes de représentation tant du pouvoir que de l'autorité sont différentes selon les lieux et les cultures :

 

- sociétés traditionnelles où le respect des anciens prime (au risque de voir les anciens ne pas faire la piace qui revient à leurs frères plus jeunes...)

 

- sociétés démocratiques occidentales où tout est soumis à des débats (qui risquent de s'éterniser tant que le consensus n'est pas trouvé...)

 

Tout cela pèse sur l'exercice de l'autorité, et des solutions ont été évoquées, en particulier la promotion de la collégialité, des instances décentralisées... Dans un carrefour (et à propos d'un autre sujet) on a parlé de l'importance des rencontres internationales. Au delà de la connaissance mutuelle et de la découverte des cultures, il faut mesurer l'impact de ces rencontres sur la manière de nous former une conscience commune sur certains points fondamentaux : elles sont souvent le terrain préalable aux prises de décision qui seront alors mieux comprises.

 

Si les décentralisations sont indispensables pour donner corps à la nécessaire inculturation de l'Evangile localement, un participant a alerté sur les limites à poser sur certains points fondamentaux qui doivent rester l'héritage de tous. Il y va sans doute de la crédibilité de notre forme de vie.

 

J'ajouterai un autre motif de vigilante par rapport à cet équilibre à trouver entre le loca) et l'héritage commun à tous : la vie religieuse a développé une véritable expertise dans la collégialité internationale, la solidarité, le respect des diversités mais au service d'un projet commun pour une humanité unifiée au delà des clivages. A l'époque où une forme de mondialisation est perQue comme une menace, où les sociétés développées ont tendance à se replier sur elles-mémes, je crois que la vie religieuse est porteuse d'une valeur a
promouvoir, et qui est une de ses dìmensions les plus frappantes pour nos contemporains. Un morcellement excessif des lieux de prise de décision ferait perdre en partie une visibilité de notre "mondialisation réussie".

 

L'obéissance dans la vie religieuse actuelle comme chance dans le monde d'aujourd'hui ?

 

Face à la crise actuelle dans notre société, nous ne devons pas renoncer à témoigner de
l'espérance et de la nouveauté permanente de la VR dans ce monde. Non pas pour réver de restaurer un ordre ancien, mais bien pour témoigner de voies nouvelles ou de nos intuitions fondatrices qui ont encore de la pertinence pour aujourd'hui.

 

Au risque de surprendre, je mettrais volontiers notre manière d'exercer l'autorité et de gouverner parmi nos apports majeurs et mème modélisants pour la société d'aujourd'hui. On a vite dit que l'autorité était en déficit aujourd'hui et que nos contemporains - singulièrement les jeunes- avaient peut-étre du mal à obéir, mème s'ils étaient à la recherche de normes pour se rassurer.

 

Pourtant nos contemporains obéissent tous les jours, et il se soumettent au pouvoir plus
qu'à l'autorité : ils obéissent à leur banquier, aux actionnaires, aux cours de bourse, aux résultats de parts de marché, aux plans de restructuration de multinationales... Un pouvoir diffus et souvent anonyme qui peut décider demain de les mettre à la rue.

 

Dans la vie religieuse, quelle chance nous avons de vivre une forme de démocratie réelle !
Nous obéissons, sans doute, mais à des personnes que nous choisissons et que nous
investissons de I'autorité, à des personnes que nous connaissons, à des personnes qui viennent dialoguer avec nous quand une décision nous concerne ! Et nous obéissons à des personnes qui ne risquent pas d'accaparer la piace : les mandats sont rarement renouvelables indéfiniment, contrairement à ce qui se passe à la téte de certains états... Quels sont nos contemporains qui ont cette chance ?

 

Vue de cette manière, la vie religieuse a sans doute encore bien des signes d'espérance à
montrer au monde d'aujourd'hui, des valeurs à partager, et en particulier cette dimension du service de tous dans l'exercice de I'autorité, qui devrait Atre le fait de tout mandat politique.

 

 

 

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:35
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