“IL REGNO DI DIO È QUI!”

Published in Missione Oggi

P. Stefano Camerlengo, Superiore Generale IMC

 

Bastano due occhi sgombri per vederlo, e un cuore libero per accoglierlo: anzi è il Regno stesso che viene a sgombrare il cuore, a spianare le montagne, a irrigare il deserto, a far fiorire la vita sempre: in ogni condizione, in ogni situazione si trovi l’uomo e con lui la sua vita!

 

Introduzione

Carissimi, mi trovo a Puerto Leguizamo in Colombia nella bellissima terra del Cachetà caratterizzata dalla presenza più che cinquantenaria dei missionari e missionarie della Consolata. In questi giorni il territorio è in festa per l'arrivo del nuovo Vescovo e per l'inzio del Nuovo Vicariato di Puerto Leguizamo – Solano affidato dal Papa Benedetto XVI a noi Missionari della Consolata. IL territorio è vastissimo parliamo di 64.000Km2, la popolazione dispersa sui fiumi costituita da coloni e per la maggior parte da indigeni. La missione che aspetta il nuovo vescovo è molto sfidante e piena di difficoltà, ma anche ricca di umanità e di memoria storica per la presenza di tanti missionari e missionarie testimoni che hanno dato una configurazione cristiana a queste terra dei fiumi. Pensado a questa missione e riflettendo sulle opportunità che questa presenza offre ho scritto questi appunti sulla missione del Regno pensando che, a volte, la Chiesa non può arrivare a tutti e a tutto, ma che il grano della Parola continua comunque a fiorire e a dare segni di speranza e a generare comunque vita per tutti.

Il Vangelo del Regno!

Il vangelo di Marco riassume la predicazione di Gesù di Nazaret con queste parole: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio si avvicina; ritornate e credete nel vangelo». A di là delle difficoltà e delle sfumature della traduzione, una cosa è chiara: la fede ha come suo oggetto il vangelo, l’annuncio gioioso che Dio sta per istaurare il suo Regno nella vita degli uomini e delle donne. E Gesù invia i discepoli, che hanno accolto il suo annuncio e lo hanno seguito, a predicare anch’essi il vangelo e da loro gli stessi suoi poteri: guarire dalle malattie e schiacciare i demoni. Lo stile essenziale della predicazione del vangelo, sia per Gesù che per i discepoli, è la povertà, come ci ricorda la Lumen Gentium al numero 8,3, ma come ancora prima ci ricordano le parole della missione dei discepoli: “E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.” (Mc 6, 8-9) Paolo darà poi una particolare enfasi a questo aspetto, fino a presentare la manifestazione della vita trinitaria: “Da ricco che era si fece povero per voi” (2Cor 8, 9); “essendo nella forma di Dio … svuotò se stesso, prendendo la forma di schiavo” (Fil 2, 6-7). La comunità primitiva, dopo la risurrezione elaborò il vangelo su Gesù, per evidenziare il ruolo decisivo della vicenda di Gesù di Nazaret in questo avvento del Regno di Dio, come annuncio di vita e di gioia per la gente del popolo. Nonostante i tanti segni e testimoni, nella congiuntura storica attuale sembra dominare il silenzio su questo vangelo piuttosto che il suo annuncio gioioso e il Regno sembra dimenticato dalla predicazione e nell'evangelizzazione. Il richiamo del lieto annuncio del Regno ai poveri si è risentito forte nella nostra Chiesa e ha trovato un’eco, fievole e tuttavia  decisivo, nel Vaticano II. Ma a quel richiamo è subentrata la normalizzazione ecclesiastica e istituzionale, soprattutto nelle Chiese missionarie dell'Africa e dell'America, dove sono stati messi a tacere i fermenti evangelici che sembravano contenere la dinamicità per rinnovare il volto della Chiesa in generale e delle Chiese locali in particolare. E suona veramente amara la confessione del Card. Martini nel suo libro di confidenze e confessioni "Conversazioni notturne a Gerusalemme”: "Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni".

Penso che tutti soffriamo molto per il ritardo dei 200 anni, come ha detto sempre il card. Martini, di questa Chiesa rispetto alle istanze della storia dove si fa presente il Regno che noi dovremmo annunciare. Ma la soluzione non è il rimprovero o la lamentela verso la Chiesa gerarchica, ma la riscoperta in primo luogo per noi stessi della forza del vangelo che abbiamo ricevuto. Un vangelo che è più grande della Chiesa e la trascende e non è legato a nessuna istanza umana. Esso patisce continuamente violenza, come è accaduto nel destino di Giovanni Battista e di Gesù (Mt 11, 12) e ci sono i vari violenti della storia che cercano di toglierlo di mezzo. Ma noi non possiamo partecipare a questo atto di volenza nel confronti del vangelo e dobbiamo invece accoglierne la forza dirompente. Quali possono essere le ragioni di questo silenzio e di queste difficoltà?

   a. In primo luogo, certamente, nell’opacità della storia contemporanea. L’immagine del mondo attuale che viene fuori è quello del dominio del capitale finanziario e dell’inevitabilità della divisione tra perdenti e vincenti. La forza della redenzione resta affidata alla luce fievole di coloro che si fanno carico del peso dei vinti, senza tuttavia poter incidere veramente nel sistema, nelle cause dell’ingiustizia. Rovesciare il sistema sarebbe bello, ma è realistico fare i conti con esso. Quando le parole grandi non si possono pronunciare, è ugualmente importante operare ciò che è giusto fra gli uomini (Bonhoeffer) e dobbiamo accettare che il Regno giunga davanti a noi nella veste della debolezza. Noi possiamo anticipare il Regno solo in frammenti, in sprazzi di luce, spesso nel silenzio, nell’impotenza che però genera desideri, tensioni positive. Dobbiamo sempre pregare con il Salmo 130,1: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore/ e non si leva con superbia il mio sguardo;/non vado in cerca di cose grandi, /superiori alle mie forze”. La consapevolezza della debolezza dei nostri tentativi non deve essere un motivo per spegnere il lucignolo fumigante, ma incentivo ad affidarci con fiducia alla misericordia del Padre, nella consapevolezza del poco che riusciamo a a fare e del fatto di essere servi inutili. Stare nel suo abbraccio amorevole come bimbi slattati in braccio alla madre, come continua a dire lo stesso salmo che si chiude con l’esortazione a sperare, ora e sempre, nel Signore.

   b. La causa del silenzio sul vangelo è data anche dal fatto che la Chiesa è troppo preoccupata di se stessa, del suo riconoscimento da parte degli uomini, del suo ruolo nella società. Ma il vangelo, il lieto annuncio della presenza di Dio nella vita degli uomini, trascende la Chiesa, è dimostrazione dello Spirito e della sua potenza (1Cor 2,4), non mezzuccio per l’autoaffermazione del proprio ruolo, fosse anche quello dell’istituzione ecclesiale. Quando perdiamo il contatto con la verità della Parola e con la Presenza del Signore della storia allora non siamo più né visibili e neppure credibili.

“Quello che abbiamo visto ed udito, ve lo annunciamo”!(1GV 1,1.3)

Paolo pone alla base della sua predicazione, quale titolo di legittimazione, il fatto che egli crede: “Avendo tuttavia quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato (Ps 115,1), anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.” (2 Cor 4, 13-14). La citazione è quella del Salmo 115,1 nella versione dei LXX (il testo ebraico, 116,10, è molto diverso: Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice). Paolo in ogni caso legittima il suo diritto di predicare il vangelo con il rimando alla propria esperienza di fede nel Risorto, quando Dio gli aprì gli occhi (1Cor 3, 15) per mostrargli colui che era risuscitato dai morti.

Senza la fede vissuta nel vangelo, senza cioè l’esperienza della presenza vittoriosa di Gesù crocifisso e risorto nella storia degli uomini, manca la possibilità stessa, il titolo che legittima la predicazione del vangelo. Se noi vediamo la realtà attorno a noi ridotta semplicemente a luogo dove domina il principe di questo mondo, la Bestia che ha impresso il marchio sui suoi adoratori, quel marchio senza il quale non si può comprare alcunché ( Apoc. 13, 16-17), la predicazione del Regno diventa impossibile. Il senso del vangelo di Gesù è che il Regno si avvicina nel tempo che ormai è compiuto, che è arrivata l’alba, anche se il giorno pieno tarda a venire. La sentinella di Isaia continuava a ripetere a chi gli chiedeva quanto tempo restava perché finisse la notte: «Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!» (Isaia 21,12). Gesù continua anche lui ad attendere il Regno di Dio, la venuta del Figlio dell’Uomo sulle nubi, ma sente che questo Regno ormai si avvicina, sente il mattino, sperimenta che il dito di Dio che scaccia i demoni è un chiaro indice che il “Regno di Dio è giunto davanti a voi” (Lc 11, 20). E i racconti evangelici ci spiegano il senso di questa fede di Gesù. E’ Marco a sottolineare come Gesù, prima di moltiplicare i pani alzi gli occhi al cielo (Mc 6, 41; Mt 14,19), e lo faccia ancora prima di guarire il sordomuto (Mc 7, 34). La fede nella venuta del Regno è fatta indissolubilmente di preghiera che invoca e di potenza operante contro il male. Credere nel vangelo del Regno non è quindi esperienza interiore soltanto, ma visione della storia come luogo di una presenza “del Dio che viene”, la presenza del Regno del Padre che la fede riesce a far “giungere davanti a noi”.

L’orizzonte del vangelo del Regno!

Quando Gesù spiega sia agli abitanti di Nazaret (Lc 4, 16-20) che ai discepoli del Battista (Mt 11, 4-6) chi egli sia, usa come riferimento centrale il brano di Isaia 61,1-3. Egli è venuto per portare ai miseri il lieto annuncio della loro liberazione.

Il vangelo del Regno si colloca dentro un contesto che è quello della sofferenza umana in quanto tale, da qualunque parte essa provenga. Giobbe avrebbe detto con una delle sue parole più grandi (6, 14): all’uomo sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se si fosse allontanato dal timor di Dio. Il vangelo del Regno non ha quindi un orizzonte perimetrato dai muri della credenza o della non credenza, dalle chiese o dalle religioni, ma dall’uomo e dalla donna che soffrono. Non è un caso che nel discorso della montagna Gesù dica che il Regno di Dio è dei poveri e che otto beatitudini su nove siano rivolte non ai discepoli e a quelli che patiscono per causa sua, ma ai poveri, agli afflitti, ai miti, a coloro che hanno fame e sete di giustizia, ai misericordiosi, ai puri di cuore, agli operatori di pace, ai perseguitati per causa della giustizia. La Chiesa non si può appropriare delle Beatitudini, ma solo accoglierle come via d’accesso per collocarsi nel cuore di Dio. Ma non se ne possono appropriare nemmeno gli uomini religiosi o coloro che si ritengono giusti. Il padre Dupont, nel suo grande commento alle Beatitudini, ha sottolineato con forza come esse non configurino un insegnamento morale. Essere poveri non è una virtù, come non lo è quella di essere afflitti o di patire ingiustizia. Si tratta piuttosto di affermazioni teologiche, di affermazioni cioè che cercano di cogliere i sentimenti di Dio nei confronti dell’umanità, nella quale egli ha i suoi prediletti. Credere al vangelo del Regno, significa accogliere come propri questi sentimenti di Dio, essere figli del Padre celeste che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, ma riserva la sua predilezione ai poveri. Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo » (Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. La Chiesa non può ignorare questo nodo centrale, deve ancora, dopo venti secoli, semplicemente fare i conti con Gesù, interrogarsi su di sé, chiedersi se è disposta a bere il calice che Gesù ha bevuto e ad essere battezzata nel battesimo nel quel lui è stato battezzato (Mc 10, 35-45).

Il vangelo è annuncio gioioso e responsabile!

Nell’allocuzione conciliare di Giovanni XXIII, la Gaudet Mater Ecclesia, papa Giovanni dichiarava di dover “dissentire risolutamente da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio”, e motivava questo suo dissenso con la convinzione che Dio continua a condurre la storia umana verso la salvezza. Chi annuncia il vangelo lo fa con grande lucidità. Sempre con le parole di papa Giovanni, chi annuncia il vangelo del Regno sa che “Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita”, anche se ci sono coloro che “vivono senza di lui o combattono contro di lui.” La fede nella Risurrezione è il fondamento solido della speranza di chi annuncia. Egli sa che ci sono nella storia le forze che si oppongono al Regno, che gli fanno violenza, ma sa con altrettanta forza che in Cristo c’è il definitivo sì di Dio all’uomo. L’annuncio del vangelo parte quindi dalla convinzione che in ogni situazione umana cova una speranza, come brace sotto la cenere, che deve essere ravvivata.  La gioia che porta con sé e la speranza che vuole accendere contiene al tempo stesso un giudizio. Il giudizio è la semplice conseguenza dell’accoglimento dei sentimenti di Dio nel cuore dell’uomo. Esso è giudizio nei confronti delle cause che generano la sofferenza e la miseria, è rifiuto di ogni connivenza con il potere che è al servizio del nemico dell’uomo, dell’Avversario, di Satana principe di questo mondo. L’Apocalisse nelle sue immagini sempre attuali distingue tre figure dell’Avversario dell’uomo: quella del Satana/Drago, quella di una Bestia che “viene dal mare” (il potere politico, allora quello di Roma con la sua potenza marittima) a cui il Drago ha dato il suo potere, e quella di una seconda Bestia che “viene dalla terra”, ed è rappresentata da tutti coloro che si mettono al servizio del Drago e convincono gli abitanti della terra ad adorare il Drago perché ha dato il potere alla Bestia.

Conclusione

Il momento presente così difficile e complesso, è tuttavia, carico di opportunità e ci invita al coraggio; bisogna essere realisti e vedere sia le ombre che i segni di speranza, adottando un’attitudine teologale nella contemplazione del mondo: «È necessario inoltre che siano valorizzati ed approfonditi i segni di speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi: in campo civile, i progressi realizzati dalla scienza, dalla tecnica e soprattutto dalla medicina a servizio della vita umana, il più vivo senso di responsabilità nei confronti dell'ambiente, gli sforzi per ristabilire la pace e la giustizia ovunque siano state violate, la volontà di riconciliazione e di solidarietà fra i diversi popoli, in particolare nei complessi rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo ...; in campo ecclesiale, il più attento ascolto della voce dello Spirito attraverso l'accoglienza dei carismi e la promozione del laicato, l'intensa dedizione alla causa dell'unità di tutti i cristiani, lo spazio dato al dialogo con le religioni e con la cultura contemporanea ...» (Terzio Millenio adveniente, n. 46).

L'annuncio del Regno ci richiede, in prospettiva, una vita vissuta nella fede con:

- impegno e conversione: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”, Mt 3,4; Is 40,3;
- attesa e vigilanza: “Vegliate dunque, perché non sapere né il giorno né l’ora”,Mt 25,13;
- preghiera e invocazione: “Vieni, Signore Gesù”, Ap 22,20.

Come ci insegnano le parabole evangeliche, c’è una piccolezza da cui nasce una dismisura, quella del piccolo seme che diventa un grande albero (cfr. Mc 4,30-32), ma non è immediatamente evidente. Siamo chiamati a cambiare il nostro sguardo per discernere le tracce del regno, a contribuire con la nostra vita alla sua venuta…Resta indispensabile la lettura dei “segni dei tempi”, per saper distinguere il “già”, così come il “non ancora”… per suscitare fiducia e speranza.
Si può trovare una guida in queste parole di frère Roger, il fondatore di Taizé: «Senza fiducia siamo vivi a metà!». L’annuncio del Regno da parte di Gesù voleva suscitare fiducia e speranza. Vanno nella stessa direzione i messaggi e le scelte operative che alimentano la fiducia. In tutti, senza confini di appartenenze confessionali, etniche, nazionali o politiche. Annunciare il regno significa annunciare fiducia per tutti, quale che sia la loro condizione, fosse anche la più misera e agire di conseguenza. Non esiste ostacolo assoluto all’evangelizzazione, poiché la fede in Cristo è vincitrice del mondo (1Gv 5,4-5). Annunciamo con gioia ed amore il Regno del Signore e facciamo della nostra missione un “gridare il Vangelo con la nostra vita”!

 

A tutti ed ad ognuno il mio augurio e saluto: Coraggio e avanti in Domino!

 

 

 

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:35

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