AEFJN - Una riflessione Teologica sulla necessità di perorare e fare pressione per la missione

Published in Missione Oggi

 

 Nel febbraio 2004, in un remoto appezzamento di foresta tropicale dell’Australia, un invecchiato cantante rock, una modella e un ex corrispondente Reale, si esercitavano in un gioco di sopravvivenza, dal titolo: “Sono una celebrità, venite a liberarmi”, simile ai più recenti “Realty T.V. Shows.”

Undici milioni di persone, solo nel Regno Unito, si sintonizzavano regolarmente per settimane a questo programma. Ma, come dice Melanie McDonagh su “The Tablet” del 7 febbraio, questo programma non ha niente da vedere con la realtà, perché è basato su false sofferenze e false celebrità, con lo scopo  di intrattenere cittadini annoiati e ben nutriti di una società consumistica. Un titolo più adatto avrebbe potuto essere: “Sono una celebrità che faccio di tutto per rianimare la mia carriera.”

 Nel frattempo, in molte parti del mondo si combatte una vera lotta per l’esistenza, e che al dire di John Morrish su “The Tablet” del 7 Febbraio, nessuno guarda. La differenza è che non si tratta di falsi celebrità ma di milioni di persone prese in una lotta giornaliera per la sopravvivenza, ed è con loro e per loro che noi dobbiamo essere agenti di speranza e di liberazione integrale.

Il Cristianesimo è fondamentalmente una religione di speranza. E’ basato e vive, secondo la promessa di Dio, per il futuro dell’umanità, e a dire il vero per il completo ordine della creazione. La missione cristiana scaturisce e dà reale espressione a questa speranza. Ess è, al dire di David Bosch, “azione di speranza” (1). E’ il mezzo con cui il futuro che speriamo è messo in relazione con il presente in cui viviamo. E’ il ponte che Dio ha messo a disposizione per un mondo che non è ancora arrivato alla dimora che gli è stato preparato” (2).

La mia presentazione sarà centrata su l’imperativo della missione come “azione di speranza”, nel contesto del mondo d’oggi con i suoi crudi contrasti ed accecanti ingiustizie, e metto in rislato alcune iniziative per attuare quesdta missione. Ed inizio con alcune osservazioni sul contesto della nostra missione.

Un mondo globalizzato

Nonostante che oggi si parla tanto di “globalizzazione”,  bisogna riconoscere che c’è poco accordo sul suo significato e su come reagire al riguardo. Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) la definisce come “crescente interdipendenza mondiale di nazioni a motivo del crescente volume e varietà di transazioni internazionali in beni e servizi, e della diffusione generale di tecnologie” (World Economic Outlook, May 1997). Peter Henriot, SJ, la definisce similmente come “l’integrazione delle economie mondiali tramite il commercio, i flussi finanziari e lo scambio di tecnologie e informazioni.” Queste definizioni, tuttavia, non riescono a darci un senso delle enormi trasformazioni che si attuano in ogni sfera ed aspetto della nostra vita per il rapido sviluppo di ciò che sono le nuove tecnologie di informazione. Intanto, come dice Anthony Giddens: “per il meglio o per il peggio, noi siamo catapultati in un ordine globale che nessuno capuisce pienamente ma che fa sentire i suoi effetti.”

Il  problema con la globalizzazione non è solo il processo in quanto ale. La Globalizzazione può essere buona o cattiva a secondo di ciò che viene globalizzato. Per esempi, la globalizzazione potrebbe essere usata per estendere i benefici di un capitalismo responsabile socialmente, una scienza umanizzata e una tecnologia per tutti i popoli. Una tale globalizzazione sarebbe ben venuta. Intanto ciò che sta per essere globalizzato sono: un capitalismo liberale (definito dal Papa ‘Capitalismo selvaggio’) che va a vantaggio dei ricchi e alla spesa dei poveri; ed una tecnologia materialstica che sfrutta e distrugge la natura. Queste sono cose problematiche e altamente sconcertanti. Il dominante attore sul palcoscenico odierno è “il libero mercato.” Il globo è concepito come un mercato diretto da motivazioni di profitto delle imprese private che non conoscono confini nazionali né alleanze locali.

Michael Amaladoss, teologo indiano molto ben conosciuto, disegna un quadro abbastanza triste degli abusi che vengono perpetrati da questa forma di globalizzazione.

“I ricchi capitalisti adesso hanno un mercato globale dove giocare. La facilità di rapida comunicazione di massa sono usate per aumentare  i profitti cercando lavoro a buon mercato in nazioni povere. I mercati internazionali sono valutati a favore delle nazioni ricche che li controllano. I settori commerciali e di servizi sono favoriti mentre i beni di prima necessità perdono valore. Persone che eran eloquenti  circa i diritti di proprietà intellettuale ignorano i diritti naturali ed umani. Le compagnie multinazionali sono più potenti di molte nazioni. Ovunque i politici sono a servizio di interessi commerciali. Le nazioni più ricche usano la loro potenza politica e militare, anche fuori dei loro confini, per favorire e proteggere i loro interessi economici… Quello che noi abbiamo non è la globalizzazione del benessere e dell’abbondanza ma la globalizzazione della povertà e dell’ingiustizia” (Global Homogenisation: Can Local Cultures Survive"”su Website www.sedos.org).

Gli effetti negativi sono molto visibili in Africa. Le statistiche mostrano chiaramente che la globalizzazione non lavora a favore della maggior parte degli Africani. Se da una parte ha incrementato le opportunità per una crescita economica e di sviluppo, dall’altra si è sperimentato un aumento di disparità e di ineguaglianza  in modo particolare in Africa. L’Africa ha 33 delle 48 nazioni  in via di sviluppo, secondo un recente apporto della Nazioni Unite. Ha anche il più alto debito commerciale. Nell’ultimo decennio il GNP delle maggior parte delle nazioni africane è stato in costante declino con i prezzi dei prodotti di prima necessità in caduta libera.

La promozione di investimenti stranieri diretti (FDI - Foreign Direct Investment) è acclamata come la nuova motrice per lo sviluppo, ma tali investimenti in Africa sono molto limitati, largamente vantaggiosi solo per poche nazioni come il Sud Africa, e mirano a beneficiare l’elite già privilegiata.

Inoltre il processo di globalizzazione in Africa è una forza trainante dietro l’imposizione di severe riforme economiche sotto  il “structural adjustmente programme (SAP). Il peso della transizione da economia statale ad economia di libero  mercato è stato portato avanti in modo disuguale, e da quelli che sono già penalizzati, cioè la maggior parte delle nazioni povere. Il  SAP ha avuto l’effetto di fare aumentare il prezzo delle necessità basilari, quali: la salute, l’educazione; ed ha causato la diminuzione della forza d’impiego e lo smantellamento delle strutture economiche locali, a fronte della liberazione del mercato. Mentre gli economisti neoliberali sostengono che vi può essere “sofferenza temporanea ma guadagno a lunga scadenza”, con l’attuazione del SAP, è del tutto evidente che in Africa la “sofferenza temporanea” causata dai tagli dei servizi sociali con il danno economico e l’erosione della base industriale, a lungo andare avrà effetti disastrosi sulla speranza di un integrale e sostenibile sviluppo umano.

Una delle conseguenze più disastrose del SAP in Africa oggi è il rendere redundante il popolo africano. L’impiego della forza lavorativa è calata del 14% negli ultimi anni in molte nazioni senza una esplicita politica generazionale inclusa nei programmi governativi.

La semplice definizione dell’economia che mi piace è: Donne e uomini che lavorano insieme la terra per soddisfare le necessità basilari. Infatti non c’è né cooperazione né progresso quando la popolazione locale è ignorata e usata solo come fattore di maggiore profitto per interessi esterni. Sono le donne che sentono di più hli effetti negativi delle riforme economiche. La globalizzazione guarda all’Africa e agli Africani come componenti di un mercato libero globale, prescindendo da considerazioni di sostentamento e sviluppo umano integrale.

In breve:

* - 88% delle Nazioni Africane sono considerate ad “alto rischio” a motivo della: inabilità politica e leadership corrotta, violenza e anarchia, tribalismo e razzismo, avidità di profitto economico e noncuranza dei diritti umani.

 * - 40% delle Nazioni Africane sono in guerra con tristi risultati, quali: spostamento di persone, massacri e perdite di vite umane, bambini soldati, distruzione delle infrastrutture e delle facilità sanitarie ed educative, mancanza di cibo; cose tutte che rendono difficile la vita di oltre 100 milioni di Africani, in maggioranza donne e bambini.

 * - Più di 1/3 di tutti i bambini sono denutriti.

 * - 28 milioni di Africani vivono con la sindrome HIV/AIDS (e sono il 70% degli infettati in tutto il mondo).

 * - Più di 300 milioni di Africani vivono con meno di un dollaro americano al giorno.

 Missione

Fino a poco tempo fa, la missione della Chiesa cattolica tendeva in generale alla sua estensione fino agli estremi confini della terra, più che alla sua trasformazione  e a quella del mondo sulla scia della speranza cristiana di una nuova terra ed un nuovo cielo. Tuttavia non è stato sempre così. La primitiva missione cristiana, come predicata da San Paolo, si ispirava ed era guidata dalla speranza di una nuova creazione. Nella missione di Paolo, missione e speranza erano legate intimamente. La missione sgombera la via e prepara l’umanità per la tappa finale verso il regno di Dio, quando non solo l’umanità ma tutta la creazione sarà liberata e trasformata sul modello della risurrezione di Cristo. Per Paolo, missione vuol dire: annunciare la signoria di Cristo su tutto e invitare i popoli a rispondere alla sua chiamata. Missione vuol dire proclamare un nuovo stato di cose che Dio ha iniziato con Cristo; uno stato di cose che è d’interesse delle nazioni e di tutta la creazione, culminante nella celebrazione della gloria finale di Dio.

Ma non basta la predicazione di qusto nuovo stato di cose. La vittoria finale del regno di Dio richiede coinvolgimento attivo. La missione richiede una attiva partecipazione al piano di Dio per la liberazione dell’umanità. Nella teologia  della missione di Paolo, noi troviamo la base per una protesta coraggiosa contro le strutture oppressive del peccato e della morte e per un impegno sentito nella promozione della giustizia, pace e integrità del creato. Nella luce della venuta gloriosa del regno di Dio, i cristiani sono chiamati e messi in grado di sfidare le strutture oppressive e di rendere visibili i segni del nuovo regno di Dio (4).

Vi sono oggi tante definizioni della missione della Chiesa. Tra queste, quelle che mi piacciono di più sono le seguenti:

·         La trasformazione del mondo nel regno di Dio (Sean Healy).

·         La gioiosa ed universale proclamazione della risurrezione di Cristo.

·         L’effusione dello Spirito divino della vita e dell’amore dal Risorto in tutti gli esseri umani e nell’intero cosmo.

·         Cooperazione illimitata tra Dio e tutti gli uomini e donne per dare forma a un mondo continuamente libero da ogni tipo di peccato e schiavitù fino a quando non arrivi alla pienezza d’amore e vita come intesa da Dio.

Attitudini specifiche per la missione, oggi:

·         Testimoniare con la vita più che con le parole (“La rosa non ha bisogno di predicare. Essa semplicemente effonde il suo profumo. La fragranza è il suo specifico sermone.”  Gandhi :- The Gospel of the Rose).

·         Ascoltare prima di parlare.

·         Operare con la gente, anziché per loro.

·         Imparare più che insegnare.

·         Senza avere tutte le risposte.

·         Ascoltare la voce dello Spirito che ci parla negli altri e attraverso gli altri.

·         Trovare Cristo nell’altro e convertirci all’altro.

·         Renderci conto che il nome di Dio è Yahveh, cioè “Colui che veniamo a conoscere quando apriamo il nostro cuore agli altri ed a ciò che sarà.” Noi n non possediamo Dio.

·         Avere il coraggio di essere umili.

·         Soffrire con gioia.

·         Agire con speranza nonostante la disperazione.

La comprensione della missione nella maniera sopraindicata, comporta un impegno effettivo per la giustizia, quale punto centrale della missione e del ministero svolto in nome di Cristo e del Vangelo.  Per essere veri testimoni ed annunciatori del vangelo integrale di Cristo è necessario essere interessati e attivi nel promuovere un più giusto, pacifico e salubre ambiente. Tutto questo fa parte della testimonianza della Chiesa a Cristo e al regno di Dio nel mondo d’oggi. Questa è forse la sfida più impegnativa per le Congregazioni religiose oggi. Ci sono tre basilari e collegati dimensioni di questo impegno che desidero specificare; essi sono:

·         Sperimentare il mondo degli esclusi e degli emarginati.

·         Riflettere e capire il mondo dalla prospettiva di quella esperienza.

·         Lavorare assieme ai poveri e agli emarginati in programmi di azione diretti alla trasformazione del mondo.

Nonostante che queste tre dimensioni siano collegate, tuttavia esse sono distinte, aventi ciascuna i suoi metodi e traguardi. La prima dimensione (con enfasi sull’esperienza) usa il metodo di esporsi al mondo dei poveri, esclusi ed emarginati, e mira all’empatia con le vittime dell’ingiustizia, per vedere il mondo dalla loro prospettiva. La seconda dimensione è più intellettuale ed analitica. Essa usa il metodo dell’investigazione intellettuale, della ricerca ordinata e di una prolungata riflessione, per capire il mondo dal punto di vista delle vittime dell’ingiustizia. La terza dimensione (basata sulla solidarietà) sviluppa programmi di azione diretti alla trasformazione del mondo o muovendo nella direzione in cui Dio lo vuole muovere.

Esperienza ed Esposizione

Sperimentare il mondo dei poveri e degli emarginati deve essere il punto di partenza e di riferimento per tutti gli impegni di “giustizia, pace e integrità del creato” (JPIC). Questo è in linea con la “opzione preferenziale per i poveri” adottata più di 30 anni fa come il criterio fondamentale dell’impegno apostolico di mole Congregazioni religiose e missionarie. Al giorno d’oggi però non si sente parlare molto di questa opzione, ma – secondo me – è rilevante come sempre. E’ una opzione che scaturisce da dentro e dà rilevanza alla scelta di Dio nell’amoroso coinvolgimento con i suoi figli. E’ un modo concreto di vivere le Beatitudini di Cristo e una imitazione del suo metodo missionario. E’ dal punto di vista dei poveri ed esclusi che noi incominciamo a percepire le vie di Dio e ci allineiamo al progetto di Dio per l’umanità. E’ necessario esporsi a mondo dei poveri ed esclusi per sperimentarne l’impatto.

Nel passato la formazione religiosa e missionaria in genere avveniva in centri sicuri e confortevoli, lontano dal trambusto e tafferuglio della gente povera. Oggi, non sono sicuro di quanto ci siamo mossi da quel tipo di formazione, cosa non facile a farsi. Persino centri recenti di formazione in Africa ed Asia non si sono distanziati dai metodi tradizionali, e possiamo dire che oggi questi centri sono più confortevoli di prima.

Il metodo di esporsi al mondo dei poveri ed emarginati implica vivere con loro, identificarsi con le loro paure, speranze,  frustrazioni, lotte, gioie e dolori (proprio come fece Gesù). Solo così si può imparare a immedesimarsi e simpatizzare con quelli che vivono ai margini della società civile e politica, e vedere il mondo dal loro punto di vista. Nei rimi anni di formazione, credo, l’enfasi dovrebbe essere posta in questa forma di esposizione che genera empatia e solidarietà con i poveri ed oppressi.

Riflettere e capire

Ogni esperienza deve essere interpretata, e questo vale anche per l’esperienza fatta con i poveri ed emarginati. Non basta l’empatia; è vitale interpretare e capire il mondo dalla loro prospettiva. Questa interpretazione deve essere fatta principalmente alla luce del Vangelo, della tradizione cristiana, e in secondo luogo anche alla luce del carisma specifico di ciascuna Congregazione o Istituto.

La formazione intellettuale, specialmente all’inizio, deve mirare non solo ad informare, ma a provvedere ad interpretare e capire il mondo che loro hanno sperimentato in prima persona. E’ cruciale comunicare le informazioni basilari a riguardo gli squilibri che affliggono il nostro mondo per quanto riguarda l’economia, politica, relazioni sociali e sessuali, e la nostra relazione con l’ambiente. Corsi specifici al riguardo ed anche sulla dottrina sociale della Chiesa, dovrebbero completare i soliti programmi di studi teologici, spirituali e pastorali. Inoltre i candidati, fin dalla formazione basilare dovrebbero essere incoraggiati a fare delle ricerche specifiche (per esempio: trattamento dei rifugiati in una determinata area, soluzione di un conflitto, ecc.). Una conoscenza intellettuale del mondo non basta. In quanto cristiani dobbiamo affrontare i problemi con la testa, l’intelletto, il cuore e lo spirito.

Azione di cambiamento in solidarietà con i poveri

Come servi del vangelo di Cristo, la nostra missione non è soltanto di capire il mondo, ma di cambialo, trasformarlo nella luce e in linea con le richieste della venuta del regno di Dio. La nostra fede nel Risorto ci rende inquieti con lo stato di cose in vista del mondo futuro che ci è stato promesso. Per cui la formazione alla giustizia deve includere l’iniziazione alle tecniche e al pratico saper fare per essere agenti effettivi di cambiamento sociale ed economico. Si tratta qui di agenti capaci di motivare la gente, far sentire la loro voce, e mettere in atto i programmi scelti da loro stessi. Mentre soltanto un piccolo numero può essere preparato a fare l’avvocato, tutti invece dobrebbero avere un minimo di conoscenze dei sistemi politi ed economici.

Avvocatura – Professione di Avvocato

L’avvocatura è molto importante nel promuovere la giustizia nella nazioni in via di sviluppo. Le decisioni prese nell’emisfero nord hanno grande e durevole impatto sulla vita di milioni di persone dell’emisfero sud. ’ imperativo che la loro voce sia udita nel processo decisionale. Le Congregazioni religiose non debbono eludere questa sfida. Chiaramente l’avvocatura è una strategia che richiede la più grande cooperazione possibile tra i religiosi ed i gruppi laicali che hanno come comune ideale la creazione di un mondo più giusto.

L’AFJN (Africa Faith and Justice Network) e l’AEFJN (Africa-Europe Faith and Justice Network) sono state istituite specificamente per questo tipo di cooperazione. C’è un proverbio dello Zimbabwe che dice: “Quando i ragni si uniscono, possono legare un elefante.” Il Vangelo della speranza, che noi siamo chiamati a proclamare con la parola e le opere, ci sfida e ci dàla forza di legare l’elefante delle ingiuste strutture economiche, e far sì che il regno di Dio, regno di giustizia, pace e amore diventi una realtà per tutti i figli di Dio.

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:55

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