La Parola di Dio nella vita della Chiesa e del prete

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INTRODUZIONE

La Parola di Dio, ben lo sappiamo, non è mai da ridurre ad una dottrina scritta da accogliere. La Parola è originariamente una Persona, è il Logos Eterno che "era presso il Dio", il Verbo che si è fatto carne per portare all'umanità la pienezza della Rivelazione, il vero e definitivo volto di Dio, che è un volto trinitario.

Dunque la Parola è una persona e da questo punto di partenza è sempre necessario muovere sia per rinnovare costantemente la nostra adesione personale e comunitaria a Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, sia per condurre i fratelli, quelli che ancora non lo conoscono ed i tanti battezzati lontani da una fede viva e convinta, all'incontro autentico, personale, vivificante e reale con Lui, Unico Salvatore della storia e di ogni umana esistenza.

Certamente il cammino compiuto dalla Chiesa negli ultimi decenni, a partire dal Concilio Vaticano II, riguardo all'importanza centrale della Parola di Dio per i cristiani, è stato ed è davvero determinante: quanta "strada" ha fatto la Parola di Dio, quanto studio, approfondimento, meditazione, quanto rinnovamento spirituale e quante nuove comunità sono nate, partendo proprio da un "ritorno alla Parola di Dio". Il Concilio è stato preceduto e accompagnato da un significativo movimento biblico, soprattutto qui in Europa. La Costituzione Dommatica Dei Verbum, sulla Parola di Dio, è uno dei più importanti documenti dello stesso Concilio. Poi abbiamo la Evangelii Nuntiandi, sull'evangelizzazione, di Paolo VI. Giovanni Paolo II ha pubblicato diversi documenti che riguardano fondamentalmente la Parola di Dio, come la Catechesi Tradendae, sulla rinnovamento della catechesi, la Redemptoris Missio, sulla missione, tanti discorsi e documenti sulla nuova evangelizzazione e, finalmente, il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il Pontefice attuale, l'amato Papa Benedetto XVI, continua in questa strada e presiederà tra pochi mesi un Sinodo sulla
Parola di Dio. Tutto questo importante cammino è realmente una luce divina, che costantemente guida la Chiesa e, attraverso di Essa, l'umanità intera, all'incontro col Padre, per il Suo Figlio, nello Spirito Santo.

Anche limiti ed unilateralismi, però, non sono mancati, soprattutto in tutti quei casi in cui si è confusa la "Rivelazione", o la "Parola di Dio", con la sola Sacra Scrittura, non accogliendo il ruolo determinante della Tradizione e quello del Magistero il quale, in obbedienza al mandato di Cristo stesso, possiede il carisma della corretta interpretazione della Rivelazione globalmente intesa, come unità di Sacra Scrittura e Tradizione.

Ricordo, a tale proposito, un brano della Dei Verbum: "L'ufficio [...] d'interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo"1. Certamente il Magistero stesso è sottoposto alla Parola della Rivelazione, quindi alla Scrittura ed alla Tradizione insieme, ma ciò non ne diminuisce affatto, anzi ne esalta, sia il compito sia l'autorevolezza per tutta la Chiesa.

LA PAROLA DI DIO NELLA VITA DELLA CHIESA

Dio parla agli uomini. Ecco, la meraviglia sorprendente dell'amore di Dio verso di noi, poveri esseri umani. A Lui piacque rivelarsi a noi, far conoscere il mistero intimo ed eterno della sua vita divina, una e trinitaria, conversare con noi, entrare in comunione con noi, amarci e avere così rapporti personali con noi. Dio ci ama e perciò ci parla e ci apre il suo cuore paterno ed amabile.

Volgendoci, adesso, alla Sacra Scrittura, vediamo che nell'Antico Testamento Dio parla ad Israele ed a tutti gli uomini, in molte forme diverse, ma soprattutto per mezzo i profeti. Resta, però, chiaro che la parola divina non è data come rivelazione privata a persone singole o gruppi selezionati da Dio, ma si tratta d'un messaggio anzitutto per il popolo eletto di Israele e poi per l'intera umanità. Dunque, tutti gli esseri umani, iniziando dal popolo d'Israele, sono destinatari della parola che Dio pone sulla bocca dei suoi profeti. Questo indica la necessità del lavoro missionario, evangelizzatore, la missione d'annunciare a tutti la Parola di Dio.

In Israele, la Parola di Dio (cf. Xavier Leon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Parola di Dio, Ed. Marietti, 2006, pp. 844-853) appare come legge e regola di vita, a partire da Mosè, che riceve da parte di Dio, a favore del popolo, il Decalogo, le "dieci parole", come documento dell'Alleanza di Dio col suo popolo. La legge divina non è solamente un documento scritto, ma un rapporto con un Dio personale, una persona divina, che parla, Si rivela e attua il proprio disegno nella storia di questo popolo. Per Israele non si tratta, quindi, soltanto d'accogliere una dottrina o la lettera di una legge, ma è implicita una adesione personale e comunitaria per la persona di Dio. Si tratta di un'Alleanza tra persone, cioè da una parte Dio e dall'altra la comunità e le singole persone che formano il popolo d'Israele. Infatti, nel momento di consegnare il Decalogo al suo popolo, Dio parla in prima persona, con queste parole: "Io sono Jahve, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto" (Es 20,2).

Finalmente, la Parola di Dio indica il futuro, lo svela in anticipo. Attraverso i secoli della storia d'Israele, in un processo continuo, Dio illumina il suo popolo sul futuro, sia sul futuro storico, più o meno immediato, sia su ciò che avverrà "negli ultimi tempi". In questo modo, diventa chiaro che la Parola di Dio nell'Antico Testamento non si riduce mai ad un messaggio dottrinale rivolto agli uomini, ma è una realtà dinamica, una potenza che opera infallibilmente gli effetti intesi da Dio, un messaggio vivente, sul quale Dio veglia per compierlo.

Il Nuovo Testamento prese inizio quando questa Parola di Dio si fecce carne ed abitò tra noi. Dice la Lettera agli Ebrei: "Dio, che aveva parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza di sua parola..." (Eb l,l-3). Il Vangelo di San Giovanni annuncia: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio..., tutto è stato fatto per mezzo di lui... E il Verbo si fecce carne e venne ad abitare in mezzo a noi... pieno di grazia e di verità" (cf. Gv 1,1- 14).

Questo Verbo fatto carne, che ha ricevuto il nome di Gesù, è il Figlio eterno di Dio e come Figlio è la parola sussistente del Padre eterno. Lui è il Logos, la Ragione che da senso a tutte le cose. È la Verità fondante e fondamentale di tutto ciò che esiste. È questa parola che si manifesta e attua nella creazione, nella storia della redenzione e nel compimento escatologico della nostra salvezza. Gesù, il Figlio di Dio, rivelatore e autore della salvezza, ha fatto conoscere agli uomini il Padre: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato", dice il Vangelo di San Giovanni (1,18). Con la sua parola e tutta la sua vita terrena tra noi, anzitutto nella sua passione, morte e risurrezione, Gesù ha rivelato il vero Dio, il Dio che è una comunità di amore di tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, l'Amante eterno, l'Amato eterno e l'Amore eterno, la divina Trinità, nel mistero di un unico e indiviso Dio. Ha rivelato il piano di amore e salvezza di Dio verso di noi, uomini immersi nel peccato, nelle tenebre della menzogna e nella morte. Gesù è venuto e ha dato la sua vita in croce "per riunire insieme i figli di Dio dispersi" (Gv 11,52). E così fondò la Chiesa, comunità di salvezza per tutta l'umanità. Per la Chiesa, Lui è il compimento di tutta la Rivelazione di Dio agli uomini. Dice la Dei Verbum del Concilio Vaticano II: "Gesù Cristo, vedendo il quale si vede anche il Padre (cf. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna" (DV, 4). Egli, davvero, è la Buona Novella, l'Evangelo di Dio agli uomini.

La Chiesa si riunisce intorno a questa Parola vivente, che è Gesù Cristo, morto e risorto. I primi discepoli di Gesù sono coloro che l'incontrano e in questo incontro lo conoscono, fanno l'esperienza del suo amore verso l'intera umanità e verso i singoli esseri umani, ascoltano la sua parola, sono trasformati per la forza del Suo Spirito, aderiscono a Lui incondizionatamente e si propongono di seguirLo, ovunque conduca loro, pronti a dare la vita. Sono i discepoli di Gesù Cristo. Così comincia a riunirsi la Chiesa di Cristo, nella forza trasformatrice della parola del Signore.

La Parola di Dio è al centro della vita della Chiesa. Essa la custodisce nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, autenticamente interpretate dal Magistero. Ora, dice la Dei Verbum: "A Dio che rivela è dovuta ` l'obbedienza della fede ' (Rm 16,26), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli `pieno ossequio dell'intelletto e della volontà' e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa" (DV,5). La Chiesa ascolta e proclama costantemente questa Parola. Infatti, dice la Dei Verbum: "Il Cristo Signore (...) ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona, venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini" (DV, 7). Scrive Giovanni nella sua Prima Lettera: "Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (1 GV 1,2-3). L'ascolto e la proclamazione della Parola è parte centrale della vita e del ministero della Chiesa, quotidianamente e attraverso i secoli. La predicazione, l'evangelizzazione, l'attività missionaria, la catechesi, la testimonianza sono sempre forme per attuare lo stesso grande e decisivo ministero ecclesiale della Parola. Una proclamazione ed un ascolto più solenne e vivificante avvengono nella sacra Liturgia, anzitutto nell'Eucaristia. "La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo" (DV,21).

Cosi, il Concilio può affermare: "Questa sacra Tradizione e la Scrittura Sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cf. Gv 3,2)" (DV, 7).

LA PAROLA DI DIO NELLA VITA DEL PRETE

L'esistenza di ciascuno di noi, sia fedeli laici sia sacerdoti, è mirabilmente segnata dalla Parola, che è Gesù Cristo. Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricordato a tutta la Chiesa, nell'Enciclica Deus Caritas est, che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro con un Avvenimento, una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva"2. Egli ha voluto così escludere dal panorama di comprensione contemporanea del cristianesimo sia la tentazione del moralismo ("Non c'è una decisione etica"), sia la possibile deriva illuminista o ideologica ("Non c'è una grande idea"). All'origine di tutto, della nostra esistenza, della nostra vocazione sacerdotale, c'è una persona: la persona di Cristo Signore, vivo e presente nella Chiesa e nella storia, incontrabile realmente oggi in coloro che, dall'incontro con Lui, sono stati cambiati.

Incontri con Dio che cambiano l'uomo possiamo trovarli spesso nell'Antico Testamento. Poi ci sono i primi incontri del Signore Gesù con gli Apostoli nel Nuovo Testamento, anzitutto nei quattro Vangeli. Un tale incontro dovrebbe esserci anche nell'itinerario di fede di ogni cristiano e, tanto più, del singolo sacerdote che è, per l'ordinazione, un ministro qualificato della Parola di Dio.

Emerge quindi chiaramente la necessità di un legame imprescindibile tra conoscenza coinvolgente e trasformatrice della "Parola scritta" ed una esperienza personale e comunitaria di Cristo Risorto vivo e presente, da fare in un incontro con Lui. Un incontro forte, con cuore aperto e accogliente, pronto allo stupore davanti alla meraviglia di Dio che ci ama e che si è fatto uomo per essere il Dio-con-noi. È così accaduto con i primi discepoli di Gesù, che da quel primo incontro sono usciti trasformati, colpiti, entusiasmati, con un nuovo fuoco nel cuore, una nuova passione, una nuova speranza, una voglia di annunciare questa loro esperienza ad altri per portare loro ad un simile incontro col Maestro, il Messia riconosciuto in Gesù di Nazareth. I due primi discepoli, secondo il Vangelo di San Giovanni, così reagirono al loro primo incontro con Gesù. Andrea, uno dei due, è corso dal fratello Simon Pietro per condurlo da Gesù. Il giorno dopo Gesù incontrò Filippo, che dopo l'incontro è corso a chiamare Natanaèle, e anche lui s'incontrò con Gesù. Tutti loro si sentirono profondamente coinvolti e attratti dal Maestro, hanno aderito a Lui di tutto cuore, hanno creduto in Lui e deciso di seguirLo, ovunque li conducesse, senza riserve o calcoli, ossia sono stati trasformati in discepoli suoi e allo stesso tempo fatti annunciatori gioiosi e appassionati di quello che avevano avuto la grazia di udire, vedere e provare in quell’incontro straordinario. Da quell’incontro in poi, per questi discepoli era Gesù che dava senso alla loro vita. Hanno deciso di investire in Lui tutto ciò che erano e avevano, e, perfino, hanno dato la loro vita per Lui.

Ecco, questi discepoli devono essere un esempio per ogni sacerdote. È così che si penetra nel mistero profondo della Parola vivente di Dio, che è Gesù stesso. È così che si diventa missionari, evangelizzatori appassionati, pieni del fuoco dello Spirito. A causa di questo fuoco, di questa passione divampante nel cuore, l'apostolo San Paolo scrisse: "Io so a chi ho creduto" (2Tm 1,12); "Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 20,20); perciò, "non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo" (1 Cor 9,16).

Se è vero che per penetrare nel senso profondo della Parola di Dio, bisogna fare un incontro forte con la persona di Gesù Cristo, il Verbo fatto uomo, morto e risorto, allora come e dove incontrare Cristo oggi, dopo il suo ritorno al Padre, in questo tempo della Chiesa? Per rispondere può venirci in aiuto Giovanni Paolo II. Nel suo documento Ecclesia in America (1999), egli indica luoghi di incontro con Cristo oggi. Scrisse: " Perché la ricerca di Cristo presente nella Chiesa non si riduca a qualcosa di meramente astratto, è necessario mostrare i luoghi ed i momenti concreti nei quali, all'interno della Chiesa è possibile incontrarlo. (...) Innanzitutto, (nella ) Sacra Scrittura letta alla luce della Tradizione, dei Padri e del Magistero, approfondita attraverso la meditazione e la orazione" e, il papa raccomanda "i Vangeli, nei quali è proclamato, con parole facilmente accessibili a tutti, il modo in cui Gesù visse tra gli uomini. La lettura di questi testi sacri, quando ci si pone in ascolto con la stessa attenzione con cui le folle ascoltavano Gesù sul pendio del monte delle Beatitudini, o sulla sponda del lago di Tiberiade mentre predicava dalla barca, produce autentici frutti di conversione di cuore"; e il Papa indica allora "un secondo luogo d'incontro con Gesù", cioè "la sacra Liturgia", in modo speciale nella Eucaristia. "La Scrittura e l'Eucaristia, quali luoghi di incontro con Cristo, sono richiamati dal racconto dell'apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus". "Ma" - continua Giovanni Paolo II - "il testo del Vangelo sul giudizio finale (cf. Mt 25,31­46), in cui viene detto che saremo giudicati sull'amore verso i bisognosi, nei quali misteriosamente è presente il Signore Gesù, indica che non bisogna trascurare un terzo luogo di incontro con Cristo: le persone, specialmente i poveri, con i quali Cristo si identifica" (EA, 12). Possiamo aggiungere che un altro luogo e momento prezioso per incontrar Gesù Cristo è la preghiera, sia personale, per esempio davanti il Santissimo Sacramento, sia comunitaria.

Torniamo, però, all'incontro con Cristo nella Sacra Scrittura, così determinante nel rapporto del prete con la Parola di Dio. Nel suo recente discorso di auguri natalizi alla Curia Romana, nel 21 dicembre scorso, Benedetto XVI ha detto: "Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averLo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare con Lui, l'entrare nei suoi sentimenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5).( ...) La catechesi non può mai essere solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare anche un impratichirsi della comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell'umiltà, nella giustizia e nell'amore. Solo così camminiamo con Gesù Cristo sulla sua via, solo cosi si apre l'occhio del nostro cuore; solo cosi impariamo a comprendere la Scrittura ed incontriamo Lui. L'incontro con Gesù Cristo richiede l'ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l'uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso. Diventare discepoli di Cristo è dunque un cammino di educazione verso il nostro vero essere, verso il giusto essere uomini".

Ora, una prassi oggi sempre più diffusa e raccomandata per fare l'incontro con Gesù Cristo nei testi della Scrittura Sacra è la cosiddetta lectio divina, cioè una lettura orante della Bibbia. Sicuramente la maggioranza di voi, forse tutti, conoscete questo metodo di lettura delle Sacre Scritture, che si compone di quattro momenti, cioè leggere, meditare, pregare e contemplare. Voglio soltanto ricordarlo brevemente. Tutto sia fatto alla luce del Spirito Santo che dobbiamo invocare all'inizio. Nel primo momento, o passo, si tratta di leggere e rileggere attentamente il testo per conoscere cosa Dio ha voluto dire, nel tempo in cui è stato scritto, agli uomini di quel tempo. Nel secondo passo, si tratta di meditare su ciò che ho scoperto nel primo. Meditare significa prendere e riprendere, ruminare e masticare il testo per scoprire cosa Dio vuol dire a noi oggi e a me in prima persona. Nel terzo passo la lettura si farà preghiera: come Maria, diciamo, in atteggiamento di umile adorazione e di gioiosa prontezza: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Il quarto passo, sarà il momento della contemplazione, ossia del discepolo davanti al divino Maestro, il momento che non avrà bisogno di molte parole dato che dovrà essere l'incontro vero e profondo con il Signore, il momento della esperienza del suo amore, della sua misericordia, della sua accoglienza che ci coinvolgerà in un modo misterioso ed indicibile. Così, la Parola di Dio può diventare sorgente di vita per noi. Diventa un itinerario spirituale inesauribile per il sacerdote.

Ovviamente, il rapporto sempre più approfondito e vissuto del sacerdote con la Parola di Dio richiede anche un costante studio della Parola, sia esegetico sia teologico. Un tale impegno di approfondimento avrà, senza dubbio, un importantissimo ruolo in tutto il ministero sacerdotale della Parola, come la predicazione, la catechesi, l'omelia e lo specifico insegnamento biblico alla gente. Mi permettete di ricordare un sacerdote, predicatore degli esercizi spirituali al clero della mia prima diocesi, cioè la Diocesi di Santo André, in Brasile. Egli disse ai preti: "Un sacerdote deve leggere almeno un libro di teologia all'anno, in caso contrario diventa disattualizato, insicuro e, in conseguenza, spesso autoritario".

E così ci avviciniamo ad un ulteriore rapporto del sacerdote con la Parola di Dio, ossia, oltre ad essere discepolo della Parola vivente, che è Gesù, il Verbo incarnato, il sacerdote deve essere anche predicatore di questa Parola. Deve essere evangelizzatore, missionario, che porta agli altri la buona novella, come dicevano gli apostoli: "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, (...) quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi" (1Gv 1,1-3). Anzi, questo è un comandamento dello stesso Gesù risorto: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15. "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19).

Qui vorrei fermarmi un po' di più alla necessaria missionarietà del sacerdote oggi. Sono sicuro che la Chiesa, oggi più che mai, debba riprendere la propria natura missionaria, non solamente "ad gentes ", ma nello stesso territorio, dove è gia organizzata e stabilita, spesso da secoli. Il futuro della Chiesa dipende moltissimo da una decisione, forte e cosciente, di un nuovo impegno missionario. Tutti sappiamo che la maggioranza dei nostri cattolici battezzati non partecipa ordinariamente, o a volte per nulla, alla vita delle nostre comunità ecclesiali. Questo accade, normalmente, non perché siano peggiori degli altri che partecipano, ma perché non sono stati sufficientemente evangelizzati. Nessuno li ha portati ad un incontro forte e personale con Gesù Cristo, in cui si rendesse possibile costruire un legame forte, personale e, poi, comunitario, con il Signore. Un incontro che segnasse la loro vita e la trasformasse, un incontro in cui comincerebbero ad essere veri discepoli di Cristo. Ora, questo indica la necessità della missione: dobbiamo andare a cercare i nostri battezzati, ed anche tutti quelli ancora non battezzati, annunciare loro, di nuovo o per la prima volta, il Kérigma, cioè, il primo annunzio della persona di Gesù Cristo,

morto sulla croce e risorto, e il suo Regno, e cosi condurli ad un incontro personale con Lui.

Forse, qualcuno si domanda se l'uomo e la donna della cultura post-moderna, delle società più avanzate, come quella europea, ancora sapranno aprirsi al Kérigma cristiano. La risposta deve essere positiva. Il kérigma può essere compreso ed accolto da qualsiasi essere umano, in qualsiasi tempo o cultura. Anche gli ambienti più intellettuali o quelli più semplici possono essere evangelizzati. Dobbiamo, perfino, credere che anche i cosiddetti post-cristiani possano di nuovo esse toccati dal Vangelo.

Benedetto XVI ha sottolineato questo bisogno di missione tra i stessi battezzati, in Brasile, quando ha parlato ai vescovi brasiliani, nel maggio scorso e ha affermato: "È necessario, pertanto, avviare l'attività apostolica come una vera missione nell'ambito del gregge costituito della Chiesa Cattolica (...), promovendo un'evangelizzazione metodica e capillare in vista di un'adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente di Gesù Cristo" (n.3). Dobbiamo, dunque, uscire ed andare a raggiungere di nuovo la nostra gente cattolica, li dove abitano e lavorano, soprattutto nelle periferie urbane e nelle campagne, ma anche a tutti i livelli della società e delle istituzioni sociali, politiche, economiche e culturali. Ecco la missione nel territorio in cui la stessa Chiesa è già stabilita. Ovviamente, dobbiamo anche partecipare alla missione "ad gentes", ossia, in quei territori in cui Cristo ancora non è stato annunciato. Ma, ripeto, il futuro della Chiesa dipende, in grande parte, dalla nostra capacità di essere concretamente missionari in mezzo ai nostri stessi battezzati. Noi li abbiamo battezzati e perciò loro hanno il diritto di esser evangelizzati da noi.

CONCLUSIONE

Cari Sacerdoti, concludo augurandovi ogni bene da parte di Dio. Che la vostra vita e il vostro ministero siano sempre vivificati ed illuminati dalla Parola di Dio, il Verbo fatto carne. Siete ministri ordinati della Parola di Dio. Di essa dovete fare il vostro itinerario personale e comunitario. Essa dovete predicare instancabilmente, "opportune et importune", come dice San Paolo. Ci stimoli, ognuno di noi, la parola dell'Apostolo: "guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Tuttavia, per essere buoni missionari, si richiede che siamo veri discepoli di Cristo, che ascoltiamo e seguiamo il Maestro, con gioia e determinazione, ovunque Egli ci porti, investendo in Lui tutta la nostra vita. Questo è bello! Sì, è bello essere discepoli di Gesù ed essere suoi missionari nei nostri tempi. "Come sta scritto: `Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene" (Rm 10,15). Che la Chiesa in Milano, Chiesa ambrosiana, straordinaria e sempre affascinante Chiesa, segnata da tanti santi, martiri e missionari, portatrice di una storia mirabile e grandemente significativa, riesca a presentarsi nella Chiesa universale come esempio di Chiesa missionaria nel mondo post-moderno di oggi!


Milano, 8 gennaio 2008.

Cardinale Claudio Hummes
Prefetto della Congregazione per il Clero
Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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