LA VOCAZIONE DEL FRATELLO OGGI

Published in Missione Oggi
LETTERA AI FRATELLI

Una delle proposizioni del nostro ultimo Capitolo Generale si riferisce alla Pastorale delle Vocazioni: «Ogni Regione dell’Istituto, autonomamente o in collaborazione con altre, programmi e organizzi per l’anno 2003, un Incontro Lasalliano di Pastorale delle Vocazioni, con l’obiettivo di dare nuovo impulso a questo ambito di animazione delle Province» (Proposizione 26). L’anno 2003, di conseguenza, ha per noi, nelle undici Regioni dell’Istituto, una importanza particolare nel rimettere in moto una Pastorale delle Vocazioni che sia testimonianza attiva.

Come ho avuto occasione di condividere in altre occasioni, questa proposizione è in gran parte il risultato della tenacia e dell’interesse dei Giovani Fratelli presenti al Capitolo. Io penso, personalmente, che numerosi Fratelli Capitolari provarono la stessa cosa, e sono rimasto molto impressionato dalla testimonianza di fede e d’amore per la nostra vocazione che i nostri Giovani hanno manifestato in quel momento. Sono convinto che la cosa più importante nella Pastorale delle Vocazioni è credere in noi stessi, credere nella validità che la nostra vocazione mantiene ancora oggi, e fare nostre le parole della Regola: ”S. Giovanni Battista de La Salle afferma che «questo Istituto è di grandissima necessità». I giovani, i poveri, il mondo e la Chiesa hanno bisogno del ministero dei Fratelli” (Regola 141).

Certamente viviamo situazioni differenti nell’Istituto. Le Province che esistono da lunga data vedono diminuire il numero delle vocazioni, mentre l’Istituto è in crescita in molte giovani Chiese. E’ importante considerare l’insieme dell’Istituto e non polarizzarsi su una delle sue parti. Andiamo verso un Istituto sempre più multietnico e multiculturale, la qual cosa presenta, allo stesso tempo, una grande sfida e una straordinaria ricchezza.

In queste pagine farò riferimento alla vocazione del Fratello, ma sono consapevole che oggi la Pastorale delle vocazioni deve condurci ad annunciare e promuovere un carisma che possa essere vissuto nella diversità delle vocazioni. Il tema della vocazione ci apre a quello della missione condivisa e dell’Associazione. Senza dimenticare che noi lavoriamo per la Chiesa e che è una esperienza meravigliosa constatare il numero di Vescovi, di sacerdoti, di religiosi, di religiose e di laici impegnati che sono usciti dalle nostre scuole. Durante la mia recente visita in Asia, ho avuto l’occasione di incontrare in Vietnam, a Singapore e in Malesia un buon numero di Vescovi, quasi tutti ex-alunni delle nostre scuole.... Le riflessioni che seguono provengono, in buona parte, dagli  scambi che hanno avuto luogo l’anno scorso in occasione di un incontro sulla vocazione organizzato dall’ARLEP (Regione Lasalliana Spagna-Portogallo).

DI FRONTE A UN MONDO DIFFERENTE, UNA NUO
VA PASTORALE DELLE VOCAZIONI

«La storia ci insegna che il carisma della vita consacrata è sempre in movimento e si dimostra capace di trovare, si direbbe quasi «di inventare», nuove forme che rispondano più direttamente ai bisogni e alle aspirazioni del tempo, pur restando fedele al carisma dei Fondatori» (Giovanni Paolo II, Udienza del 28/9/94).

Oggi si parla della fine della storia, come per invitarci a rinunciare all’utopia e all’impegno. Ciò che conta, è l’intimità e la realizzazione personale, un misticismo senza prossimo né storia, legato al pericolo dell’individualismo eccessivo, al culto di ciò che è privato, al desiderio ardente della riuscita, dell’imma gine e del potere. Tutto ciò non è senza conseguenze per la Pastorale delle Vocazioni, specialmente per il fatto che oggi la vita s’iscrive sotto il segno del provvisorio, perché nulla sembra definitivo; anche per il fatto che siamo testimoni di numerose rotture di relazioni stabili nella famiglia e nella vita religiosa stessa; per il fatto, infine, che oggi i processi di maturazione nella ricerca della propria identità sono più lenti e le decisioni riguardanti le vocazioni si prendono abitualmente più tardi.

Su invito della Chiesa, abbiamo intrapreso un cammino di rinnovamento adattato a partire dal Capitolo Generale del 1966-67. Questo rinnovamento è stato necessario e ha prodotto eccellenti frutti, ma oggi appare come insufficiente. Noi dobbiamo fare un passo in più. Giovanni Paolo II ci invita a «inventare». Rinnovare è diverso da ricreare. Il rinnovamento è avvenuto a livello di strutture; la rifondazione va più lontano, deve toccare le persone e trasformare la memoria del Vangelo che ci incoraggia a dare una risposta attuale alle sfide della realtà. Il rinnovamento riguarda più il passato, la rifondazione mira all’avvenire. Prevedere l’avvenire consiste, talvolta, nel consi-derare il presente e nel prolungarlo. Si tratterebbe di un movimento lineare. Ma oggi, non è sufficiente. Noi ora siamo in un periodo di cambiamenti radicali di paradigma e la previsione lineare non funziona più, visto che il cambiamento di paradigma presuppone la rottura e non la continuità. «Non possiamo in alcun modo predire l’avvenire. Possiamo soltanto inventarlo» (Denis Gabor).

Con il loro nuovo linguaggio, i giovani ci aiutano a scoprire nuove vie, sia all’interno che all’esterno della vita religiosa. Come ci dice la CLAR (Conferenza Latino Americana dei Religiosi e Religiose), «La loro voce è nuova e vuole essere ascoltata, essi hanno una storia che vogliono condividere, reclamano da noi un posto in questo compito permanente di rinnovamento e di rifondazione della vita religiosa». D’altra parte, noi non possiamo separare il problema dell’identità, di cui oggi si parla tanto, dalla missione. L’identità non si risolve ristabilendo semplicemente i segni esteriori: lo stile di vita, l’abito, i simboli distintivi, le istituzioni... L’identità, sia personale che collettiva, si riscopre meglio nella nostra ragion d’essere, nella nostra missione. Quando un gruppo identifica bene la sua missione, è capace «di inventare», di correre il rischio di nuove iniziative significative che rispondono ai bisogni attuali. «Colui che ha un ‘perché’ per vivere, può sopportare quasi ogni ‘come’ (Nietzche). Vedo in queste parole un motore che è valido per tutte le psicoterapie. I campi di concentramento hanno testimoniato che i più adatti a sopravvivere erano coloro che sapevano che li attendeva un compito da realizzare» (Victor Frankl).

Il Congresso europeo delle Vocazioni che si è tenuto nel 1997 riprendeva l’invito del Papa a fare un salto di qualità nella Pastorale delle Vocazioni. E, in questo senso, ci diceva: «E’ tempo di passare in modo deciso dalla «patologia della fatica» e della rassegnazione, che si giustifica attribuendo alla generazione attuale dei giovani la causa unica della crisi delle vocazioni, al coraggio di porsi le domande opportune e di considerare gli errori e le carenze eventuali, in modo da arrivare ad un nuovo e ardente impulso creativo di testimonianza» (Nuove vocazioni per una nuova Europa, 13). ALCUNI PRESUPPOSTI DELLA PASTORALE DELLE VOCAZIONI La prima condizione per un’autentica Pastorale delle Vocazioni è credere in noi stessi: credere nel valore che continuano ad avere la vita religiosa e la vocazione di Fratello. “Che sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi? Al di là delle superficiali valutazioni di funzionalità, la vita consacrata è importante proprio nel suo essere sovrabbondanza di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in un mondo che rischia di essere soffocato nel vortice dell’effimero” (V.C. 105)

Questo è fondamentale. Senza una fede profonda in ciò che siamo, saremmo incapaci di convincere altri a seguirci, soprattutto in un mondo in cui, come ci dice lo stesso documento post-sinodale, numerosi sono coloro che dubitano del senso della Vita consacrata: «Non sono pochi coloro che oggi si interrogano perplessi: Perché la vita consacrata? Perché abbracciare questo genere di vita, dal momento che vi sono tante urgenze, nell’ambito della carità e della stessa evangelizzazione, a cui si può rispondere anche senza assumersi gli impegni peculiari della vita consacrata?» ( V.C. 104).

La risposta a tali interrogativi non può essere di ordine funzionale. Ciò che dà senso alle nostre vite, è il fatto che siamo stati presi da Dio e vogliamo rispondere al suo amore con il dono totale di noi stessi. Noi non possiamo fare altrimenti. D’altra parte, e forse qui c’è un segno dei tempi che mantiene una certa ambiguità, oggi, i giovani si sentono più attirati dall’aspetto mistico della Vita Religiosa che dal suo aspetto funzionale.
Quando ero Visitatore dell’America Centrale, una domanda inevitabile in occasione del primo incontro con i postulanti riguardava la loro motivazione a voler essere Fratelli. In quegli anni della teologia della liberazione, segnati da rivoluzioni, da guerre e da una sensibilità più grande per la giustizia, la motivazione più frequente era di tipo sociale e apostolico. Mi sembra che oggi i giovani abbiano altre motivazioni, più centrate sulla ricerca del senso e della spiritualità. Queste due posizioni non cessano di essere ambigue, ma sono certamente anche un segno dei tempi. Se nel passato era necessario far integrare ai giovani la dimensione spirituale, forse oggi è necessario aiutarli a integrare la dimensione sociale e apostolica.

Credo che siamo tutti consapevoli che il problema delle VOCAZIONI è un problema vitale per noi. Ma credo anche che l’essenziale non è sopravvivere, non morire. Ciò che è fondamentale è andare incontro ai bisogni crescenti dei poveri e dei giovani e rispondere con fedeltà ai loro appelli. Sono loro la nostra ragion d’essere. Ciò che deve stimolarci è la costruzione del Regno di Dio. L’amore verso l’uomo e la donna nel bisogno deve incoraggiarci a essere testimoni attivi.

Secondo Amedeo Cencini, nel suo bel libro: «Vocazioni: dalla nostalgia alla profezia», la pastorale delle vocazioni deve tener conto di tre grandi ambiti strategici. Prima di tutto, quello del carisma, che deve condurci a presentare al candidato il suo significato originale, l’ispirazione che suscita in noi e le nuove forme per esprimerlo. In secondo luogo, quello dell’antropologia, che deve mostrare al candidato come il cammino che gli proponiamo favorisce la sua piena realizzazione umana ed evangelica. In terzo luogo, l’ambito spirituale, di una spiritualità che dà senso a una missione e può soddisfare le aspirazioni trascendenti del candidato.

Possiamo chiederci, dopo tutto, perché oggi, nella Chiesa, certi gruppi hanno delle vocazioni. Nel 1993, Albert Dilani, allora Vicario Generale dei Padri Maristi, ha pubblicato nella rivista americana Review for Religious, un articolo che cercava di dire le ragioni dell’esistenza attuale nella Chiesa di quello che viene detto il primo mondo, di gruppi che sono capaci di risvegliare un interesse per le vocazioni. Personalmente, non sono molto d’accordo con ciò che lui dice, perché mi sembra che manchi a questi gruppi la prova del tempo e anche perché non credo che alcuni loro metodi siano dei più adatti. Ma questo non impedisce che sia interessante fermarci sulle cause per cui questi gruppi attirano i giovani e di domandarci fino a che punto possiamo profittarne.

Apparentemente ci sono tre cause: obiettivi esplicitamente religiosi; una intensa vita comunitaria; una passione per l’evangelizzazione del mondo intero.

In rapporto alla prima di queste cause, lo studio dimostra
che gli obiettivi che attirano maggiormente i giovani di oggi verso questi gruppi non sono né di ordine psicologico, né in rapporto con l’azione sociale, o la giustizia e la pace, ma dipendono dal messaggio che Gesù è vivo e presente. Oggi i giovani non si sentono attirati né da una lettura politica della fede, né dalla sua traduzione intellettuale. Ciò che loro importa, soprattutto, è di avere una esperienza sensibile di Dio. Senza cadere nei riduzionismi né nello spiritualismo, che caratterizzano molti di questi gruppi, dovremmo domandarci: fino a che punto offriamo ai nostri giovani la testimonianza dell’assoluto di Dio nelle nostre vite e del posto centrale che Gesù vi occupa? Fino a che punto presentiamo loro una spiritualità e una mistica che attirano? In secondo luogo, i nuovi gruppi attirano i giovani perché offrono loro una forte esperienza comunitaria e un grande sostegno spirituale. Di fronte all’indebolimento della famiglia, i giovani cercano un nuovo gruppo di riferimento che prenda in conto la loro fragilità e il loro bisogno di sostegno. Danno più importanza ai legami affettivi, a uno stile più informale e più semplice, a una condivisione più spontanea che tocca i vari settori della loro vita, piuttosto che a ciò che è dogmatico e autoritario. Varrebbe la pena di interrogarci qui: fino a che punto le nostre comunità offrono un ambiente accogliente ai giovani? Fino a che punto le nostre comunità sono luoghi di incontro, di festa e di perdono? Vi rimando alla mia Lettera Pastorale del dicembre 2001: «Essere Fratelli in comunità: la nostra prima associazione».

Il desiderio ardente di evangelizzare il mondo è un’altra ragione dell’attrattiva esercitata da questi gruppi. Essi fanno del Vangelo il loro primo criterio, un Vangelo che vogliono portare dappertutto. E’ possibile che cadano talvol ta in un certo fondamentalismo e che non siano molto sensibili alle realtà del mondo postmoderno, né al dialogo interreligioso. Ma non sarebbe più valido dire che la nostra vocazione consiste nel «consacrare la vita a Dio per portare il Vangelo nel mondo dell’educazione» (R. 12) o di capire che «il lavoro di evangelizzazione e di catechesi, mediante il quale collaboriamo alla crescita della fede dei battezzati e all’edificazione della comunità ecclesiale, costituisce la nostra principale funzione»? (R. 15). ILLUMINAZIONE EVANGELICA

Nel Vangelo (Mc 3, 13-15), seguire Gesù implica due atteggiamenti fondamentali: Vivere con Gesù: «per essere con Lui» La missione per il Regno: «per inviarli a predicare» Seguire Gesù significa prima di tutto essere chiamati all’intimità con Lui, a una relazione profonda di fede e di contemplazione, che ci porta a lasciarci prendere dalla sua persona e a lasciarci penetrare dal suo modo di agire e di realizzare la missione del Regno affidatagli dal Padre. Ma seguire Gesù non si ferma lì. Seguire vuol dire anche continuare, cioè portare a termine con Lui e come Lui la propria missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). «Ecco, io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28, 20). Abbiamo bisogno di crescere per dare la vita e rispondere alla Missione a cui il Signore ci ha chiamato. Dobbiamo anche situare la Pastorale delle vocazioni nella prospettiva della Missione nella nostra vita alla sequela di Gesù: «L’invito di Gesù: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39) rimane ancora oggi la regola d’oro della pastorale vocazionale. Essa mira a presentare, sull’esempio dei fondatori e delle fondatrici, il fascino della persona del Signore Gesù e la bellezza del totale dono di sé alla causa del Vangelo. Compito primario di tutti i consacrati e le consacrate è dunque quello di proporre coraggiosamente, con la parola e con l’esempio, l’ideale della sequela di Cristo...» (V.C. 64).

Questi due atteggiamenti fondamentali si traducono in esigenze radicali che illuminano ciò che vuol dire mettersi alla sequela di Gesù:

«Chiamò a sé quelli che egli volle...» (Mc 3, 13). GRATUITA’: perché l’iniziativa viene da Dio e non dai nostri meriti personali.

«Abbandona tutto» (Mt 4, 20). SENZA CONDIZIONI: si è trovato il tesoro, la perla preziosa che ci fa relativizzare tutto il resto.

«Non volgersi indietro» (Lc 9, 62). SENZA RITORNO: Gesù è lo scopo ultimo, si tratta di seguirlo fino alla fine: non soltanto cronologicamente, ma fino in fondo, al massimo, senza limiti, totalmente.

«Non si può servire Dio e la ricchezza» (Mt 6, 24). ESCLUSIVITA’: Il Signore è assolutizzato, tutto il resto è relativizzato. Bisogna accettare Dio e rinunciare agli idoli. Dio è un Dio geloso che ci vuole interamente per sé. Nella mia Lettera ai Giovani Fratelli, ho citato diverse testimonianze, mostrando come alcuni tra loro vivono e sentono profondamente questa dimensione, non tanto in teoria, ma come una esperienza fondatrice di ciò che sono e di ciò che fanno.

«Chi vuole seguirmi, prenda la sua croce» (Lc 14, 27). CONTROCORRENTE: perché si tratta di rinunciare a tutto ciò che si fa passare per Dio e non lo è: il potere, il denaro, il prestigio, l’ideologia... Si tratta dell’aspetto contro-culturale della vocazione religiosa che continua ad attirare i giovani, come possiamo vedere nella loro accoglienza dei Messaggi del Papa in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù. «Portare la Buona Notizia ai poveri» (Mt. 11, 5). PARZIALITA’: optare per la via della povertà e della piccolezza. «Certo, i poveri e gli oppressi sono in se stessi i privilegiati della presenza di Dio; questo tuttavia non vuol dire che lo siano automaticamente per me; è proprio nell’esercizio della fede che «in se stessi» si cambia in «per me» (Ellacuría). Parlare della Pastorale delle Vocazioni, vuol dire, in primo luogo, riflettere sulla nostra propria vocazione e su quella dei nostri Fratelli, per aiutarci a vivere con autenticità, perché sappiamo che la vocazione non si riduce ad una chiamata iniziale; essa è piuttosto una serie di scelte lungo tutta la vita. E’ un
itinerario lungo il quale la persona si rende cosciente della chiamata di Dio e delle esigenze radicali che comporta, e a cui cerca di rispondere con fedeltà e amore. E’ chiaro che ciò di cui i giovani hanno più bisogno oggi, è la proclamazione e la trasmissione dei valori oggettivi e trascendenti e la testimonianza in loro favore. Hanno bisogno di modelli di vita, molto più che di indicazioni teoriche sul cammino da seguire, per quanto belle e convincenti possano sembrare.

LA VOCAZIONE: UNA CHIAMATA CHE BISOGNA RISVEGLIARE E ACCOMPAGNARE
La chiamata deve essere risvegliata. Si tratta di ravvivare la capacità di ascolto dell’appello di Dio e di rispondervi positivamente. Questo suppone di vivere un processo di fede in cui il Signore diventa Qualcuno che esce ad incontrarmi, prende posto nella mia vita e mi propone un compito nel suo Regno... Questo processo raggiunge il suo culmine quando il giovane è capace di vedere gli avvenimenti della sua vita come segni dell’azione di Dio; quando è capace di sentirsi interpellato dai problemi umani, dalle situazioni di marginalità o dall’assenza di valori...; quando è capace di scegliere in favore dei valori evangelici che implicano rinuncia o rischio; quando è nell’atteggiamento di disponibilità per assumere gli impegni che Dio gli chiederà (Cfr. Guida della Formazione, 78, 79)

Anche la missione condivisa ha qui lo spazio per un impegno concreto: «I Fratelli hanno il primo posto nel risveglio delle vocazioni. Tuttavia, ogni membro della Famiglia Lasalliana è invitato a partecipare al servizio della pastorale delle vocazioni» (Circ. 435, p.60). Durante il 42° Capitolo Generale, i Consultori furono i primi a sottolineare l’importanza della pastorale delle vocazioni. Per loro era molto chiaro che, senza Fratelli, non ci può essere né Famiglia Lasalliana, né Missione condivisa. Nello stesso tempo, noi Fratelli, dobbiamo essere
coscienti che non si tratta unicamente di risvegliare la vocazione di Fratelli, ma anche altri modi di vivere il carisma lasalliano, senza dimenticare tutte le vocazioni complementari nella Chiesa. Dobbiamo particolarmente aiutare il laico ad avere nella Chiesa il ruolo che gli spetta. L’appello che il 42° Capitolo Generale rivolge ai giovani Fratelli è ugualmente importante: «I giovani Fratelli essendo coloro che normalmente hanno una affinità maggiore con i giovani, si trovano favoriti per lavorare alla loro evangelizzazione e alla pastorale vocazionale. Di conseguenza, li incoraggiamo a coinvolgersi il più possibile nel ministero della pastorale dei giovani e della pastorale delle vocazioni» ( Circ. 435, p. 61).

La chiamata deve essere accompagnata: «All’entusiasmo del primo incontro con Cristo dovrà ovviamente seguire lo sforzo paziente della quotidiana corrispondenza, che fa della vocazione una storia di amicizia con il Signore» (V. C. 64).

Oggi dobbiamo tenere molto in conto la situazione vissuta dal giovane, sottoposta alla frammentazione e alla dispersione, con il rischio del fascino dell’immediato e del provvisorio che porta ad un’etica individualista e relativista, che limita la ricerca dei valori e orienta verso una ricerca insoddisfatta dello «stare insieme», senza direzione chiara, né progetto definito. Il clima dell’ambiente porta a cercare a prezzo ridotto i valori di «piccolo cabotaggio» e una felicità a basso costo. Cioè, tutto il contrario di ciò che noi dovremmo offrire nella vita religiosa. La parola-chiave dell’accompagnamento è: «accogliere». La Pastorale delle Vocazioni, nella prospettiva dell’accoglienza, consiste meno nel saper fare un discorso quanto nel sapersi mettere in situazione di vivere con il giovane che cerca la sua strada. Accogliere è, allora, impegnarsi a servizio della verità in una ricerca libera di cui nessuno dei due può prevedere la conclusione.
Il ruolo della comunità è determinante in questa doppia missione di risvegliare e di accompagnare le vocazioni. La forza per chiamare alla vocazione non è appannaggio di un Fratello, ma della comunità, in cui Gesù è al centro. I giovani sono oggi più sensibili alle esperienze vissute che al mondo delle idee.

Per questo una comunità di Fratelli che si amano, che condividono nella gioia le loro idee, i loro beni e il loro lavoro, chevivono nella semplicità, che sono disponibili e accoglienti, che pregano e celebrano insieme il mistero di Dio nelle loro vite e che hanno una predilezione speciale per i più poveri, offre un volto che interpella, mette in questione e incoraggia il giovane a seguire Gesù.

E’ ciò che afferma il 42° Capitolo Generale in uno dei suoi testi più belli: «La comunità interpella con uno scopo vocazionale, nella misura in cui testimonia con chiarezza: la fraternità, una vita spirituale profonda, una vita consacrata all’evangelizzazione e al servizio educativo dei poveri; tutto questo nella gratuità, nello spirito di accoglienza e di apertura, nell’incarnazione nella realtà culturale, nella gioia di vivere come Fratelli» (Circ. 435, p.61).

I NOSTRI IMPEGNI OGGI

La preghiera resta sempre la prima azione della pastorale vocazionale. Le vocazioni, per quanto condizionate da situazioni umane, sono sempre un dono e una grazia che dobbiamo chiedere a Dio, come ci diceva già il Fondatore: «Chiedete insistentemente a Dio che si degni di accrescere il vostro Istituto e che lo faccia fruttificare di giorno in giorno» (Med. 207,3). La preghiera, ci dice la Guida della Formazione, produce nella Pastorale delle Vocazioni degli effetti immediati, che sono nello stesso tempo una garanzia di affidabilità di questa preghiera: • Riconoscere l’iniziativa e il ruolo primario di Dio nella dinamica della vocazione.

• Sensibilizzare la comunità alla sua funzione inevitabile di mediatrice tra Dio e coloro che danno segni di vocazione.
• Servire da stimolo per il rinnovamento e la conversione della comunità.
• Incoraggiare un atteggiamento di ascolto e di ricerca della volontà di Dio presso i ragazzi e i giovani dei gruppi di approfondimento della fede che vengono iniziati alla preghiera (Cfr. Guida della Formazione, 58).

Il 42° Capitolo Generale constata che «la pastorale delle vocazioni si realizza meglio all’interno di una buona Pastorale dei giovani, in relazione con la pastorale della Chiesa locale» (Circ 435, p. 63). Infatti, ci dice la Guida della Formazione, perché la Pastorale dei giovani sia autentica, deve essere fin dall’inizio una pastorale vocazionale, proponendo, in modo progressivo, l’opzione per Cristo nella Chiesa e favorendo i ministeri, i servizi e i carismi in vista dello sviluppo della comunità cristiana (Guida, 54). Anche il documento sulla Vita consacrata insiste su questa relazione: «Il modo più autentico per assecondare l’azione dello Spirito sarà quello di investire generosamente le migliori energie nell’attività vocazionale, specialmente con una adeguata dedizione alla pastorale giovanile» (V.C. 64). Penso che sia importante per la nostra Pastorale delle Vocazioni, non dimenticare due segni dei tempi: l’inculturazione e la Nuova Evangelizzazione. Noi stiamo preparando la Chiesa di domani, stiamo costruendo l’Istituto del futuro. Un Istituto e una Chiesa, che forse più
di una volta abbiamo sognato, più incarnati in ogni realtà, con i tratti propri di ogni cultura, più vicini ai poveri, che prendono sempre più sul serio un Vangelo senza glosse e senza note a piè di pagina, come voleva san Francesco d’Assisi.

«Vita Consecrata» vede nella catechesi uno strumento molto appropriato alla pastorale vocazionale: «Oltre a promuovere la preghiera per le vocazioni, è urgente impegnarsi, con un annunzio esplicito ed una catechesi adeguata, per favorire nei chiamati alla vita consacrata quella risposta libera, pronta e generosa, che rende operante la grazia della vocazione» (V.C. 64). A questo riguardo, mi sembra molto opportuna un’affermazione del Padre Cencini, quando ci dice che dobbiamo sviluppare la pastorale delle vocazioni soprattutto nel territorio in cui lavoriamo e in cui dovremmo rendere visibile la ricchezza del nostro carisma e del modello di persona che vogliamo raggiungere. Almeno, questa dovrebbe essere la regola e non l’eccezione. Questo territorio dovrebbe essere per noi la scuola, la classe, il gruppo d’approfondimento della fede. Anche se le vie del Signore sono imprevedibili, il fatto chedelle vocazioni vengano da giovani che n on ci conosconosufficientemente risveglia sempre un certo dubbio.

La società ha scoperto oggi nel volontariato una forma di solidarietà e di impegno con i più poveri, non soltanto a livello religioso, ma anche secolare. Nella linea della solidarietà, la comunità non potrebbe incoraggiarlo? Ma, non sarebbe una contraddizione offrire ad altri la possibilità di un lavoro di frontiera e all’avanguardia, per accontentarci noi stessi e offrire ai nostri candidati di mantenere le opere che abbiamo già? Come allora non domandarci perché la nostra vita religiosa non attira questi giovani generosi? Non sarà forse perché questi giovani, pur ammirandoci, non ci percepiscono come persone che stanno sulla breccia, ma piuttosto come gente preoccupata di mantenere delle opere e di gestire un passato?

Tenuto conto del fatto che attualmente, un po’ dappertutto, i giovani hanno tendenza a impegnarsi più tardi e, prima di farlo, vivono anche un lungo periodo di sperimentazione riguardante diversi aspetti e modi di vivere, periodo che contribuisce alla stabilizzazione progressiva dei valori, non bisognerebbe pensare a un nuovo modello di Pastorale delle Vocazioni che parta da questa nuova prospettiva, e invitare i giovani a vivere un tempo previo di esperienza nel quadro di un progetto missionario, prima di rischiare per la vita? (Cfr. Gilles Routhier, «Renouveau de la mission: conditions d’un réveil des vocations», Congrès de Pastorale des vocations, Montréal. www.vocations.2002.org). Abbiamo esperienze in questo senso nei Distretti dell’Ecuador e in quello del Messico-Nord. Personalmente, penso che il problema dell’identità del Fratello, che è stato talvolta segnalato, è piuttosto quello del ruolo che il Fratello deve avere oggi nel contesto della missione condivisa e dell’associazione. Questo è un tema di riflessione per tutti. Credo che sia molto importante per la pastorale vocazionale, visto che fa riferimento a ciò che proponiamo ai giovani che desiderano unirsi a noi.

Ecco la
mia visione del Fratello oggi:

• Sacramento visibile dell’amore di Dio.

• Costruttore e testimone di fraternità in un mondo divi
so (La comunità è missione)
• Uomo disponibile e mobile secondo i bisogni della missione. Fratello senza frontiere.
• Compagno spirituale. (1a Lettera Pastorale)
• Memoria del carisma per gli altri membri della Famiglia Lasalliana.
• Cuore libero e aperto all’amore universale.
• Fratello impegnato, creativo e vicino ai giovani poveri

e in situazione di rischio.
• Catechista ed evangelizzatore per vocazione.

Termino, Fratelli, con la seguente raccomandazione del nostro santo Fondatore, sperando che ognuno di noi la faccia propria nella sua preghiera e nella sua vita: «Chiedete insistentemente al Signore che si compiaccia di far crescere il nostro Istituto e di farlo fruttificare ogni giorno più, in modo che - come dice san Paolo - i cuori dei fedeli siano confermati nella santità e nella giustizia» (Med. 207, 3).

Fraternamente in La Salle,


Fratel Álvaro Rodríguez Echeverría
Superiore Generale
Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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