“Con monsignor Romero Dio è passato per il Salvador”

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Durante il funerale all’Università Centroamericana (UCA) di San Salvador (El Salvador) Ignacio Ellacuria disse: “Con monsignor Romero Dio e passato per il Salvador”, e alcuni mesi dopo scrisse, molto opportunamente: “È stato un inviato di Dio per salvare il suo popolo”1. Da questa prospettiva teologale ci accostiamo a monsignor Romero, "Padre della chiesa"2.

     1.La conversione di monsignor Romero

L’assassinio di Padre Grande, radice di una "chiesa di poveri e martiri ”.

Tutto è avvenuto in tre anni. Cominciò ad Aguilares (El Salvador), il 12 marzo del 1977, quando oligarchi produttori di caffè assassinarono padre Rutilio Grande insieme a due contadini, Manuel, un uomo adulto, e il bambino Nelson: piccolo universale concreto di ciò che faceva parte del popolo e della sua chiesa. A Monsignore caddero le bende dagli occhi e si convertì. Era stato molto amico di Rutilio e apprezzava molto il suo agire sacerdotale, ma non condivideva la sua nuova pastorale, appresa da Medellin e da monsignor Proaño. Davanti al suo cadavere dovette pensare che se Rutilio Grande era morto come Gesù era perché aveva vissuto come Gesù. Non era Rutilio a essersi sbagliato, bensì lui. Monsignore cambio e si fece insigne seguace di Gesù, riproducendo il percorso della sua vita dal Giordano sino al Golgota.
Rutilio fu per Monsignore il precursore che Giovanni Battista fu per Gesù. “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò in Galilea”. “Dopo che Rutilio Grande fu assassinato, sorse monsignor Romero”. Alcuni anni dopo aggiungiamo: «Assassinato monsignor Romero, sorse Ignacio Ellacuria». Era una chiesa di tradizione, e tutto ciò che è fondamentale si trasmise di generazione in generazione. Questo aiuta a capire l’impronta gesuanica del nuovo Monsignore: come Gesù, egli iniziò raccogliendo la fiaccola che aveva lasciato Rutilio.
La "conversione" di Monsignore provocò grande sorpresa, per cui si parlava del "miracolo" di Rutilio. stata vistosa e istantanea. Egli pretese dal governo un chiarimento sui tre assassinii; promise di non assistere ad alcun atto ufficiale finché non vi fosse stato un chiarimento; e promise di non abbandonare il popolo. E così fece.

”Un corpo ecclesiale”

È la prima cosa che accadde. Monsignore convocò una gran quantità di riunioni di clero, religiosi e religiose, comunità, scuole cattoliche. Tutti insieme si chiedevano cosa fare, senza consultare curie né nunziature. I problemi erano tanti e seri. Che fare: aiutare le vittime e difendere i sacerdoti minacciati di morte; quindi, appoggiare il Soccorso giuridico, trasformare il seminario in rifugio... Che dire: nelle omelie e comunicati dell’arcivescovado; quindi, lettere pastorali, preparate in gruppo, sull’ingiustizia, la persecuzione, la violenza, le idolatrie, il dialogo, le organizzazioni popolari, i cui rappresentanti erano invitati alle riunioni del clero... Come vivere il vangelo, come seguire Gesù, come pregare Dio in mezzo a vittime e martiri. E la cosa più innovativa, quella non negoziabile, come accompagnare e dare speranza al popolo sofferente.
Monsignore era presente in tutte le riunioni, senza evitare i momenti difficili. Era la svolta da una chiesa piramidale, eccessivamente dipendente dalla gerarchia, a una chiesa corpo; "Corpo di Cristo nella storia", intitolò la sua seconda lettera pastorale. Da questa chiesa andarono via gli oppressori e i tiepidi. In essa restarono - e anche entrarono - poveri, contadini, operai, studenti, alcuni professionisti, intellettuali... Fu uno dei suoi grandi risultati. Mi soffermerò ora su quattro cose che avvennero nei primi tre mesi.

"La messa unica" e ”la gloria di Dio".

In segno di protesta per l’assassinio di Rutilio, in una riunione del clero fu proposta la celebrazione di un’unica messa di funerale in tutta l’arcidiocesi, la domenica 20 marzo. Monsignore già aveva approvato altri suggerimenti, ma gli costava accettare questo. “Il sacrificio della messa, come nessun’altra cosa dà gloria a Dio”, disse. Ma il p. César ]erez, Provinciale dei gesuiti, ricordò le parole di Ireneo: “Gloria Dei vivens homo”. Ciò tranquillizzo Monsignore, che approvò la messa unica contro il richiamo esplicito e indegno della nunziatura. Tre anni dopo, nell’università di Lovanio riformulo la massima di Ireneo: «Gloria Dei vivens pauper». Era il suo contributo alla teo-logia: vedere Dio a partire dal povero e il povero a partire da Dio.

”La messa ad Aguilares" e ”il popolo crocifisso”

L’11 di maggio fu assassinato padre Alfonso Navarro: in seguito, mentre Romero era in vita, sarebbero stati assassinati i padri Ernesto Barrera, Octavio Ortiz, Rafael Palacios e Alirio Macias. Il 19 maggio l’esercito entrò in Aguilares. I tre sacerdoti amici di Rutilio furono arrestati, maltrattati e portati via dal paese clandestinamente, senza alcuna difesa legale. L’esercito occupò la città per un mese, profanò l’eucaristia e assassinò molti contadini. Il 19 giugno, l’esercito lasciò Aguilares e Monsignore andò a consolare il popolo. Nell’omelia espresse la sua indignazione: “Chi di spada ferisce di spada perisce”. Condannò la profanazione dell’eucaristia, e disse ai contadini: “Voi siete il divino Trafitto”. Ricordai la distinzione di Agostino: il corpus mysticum, realtà più simbolica, è l’eucaristia; il corpus verum, realtà più reale, è la chiesa. Ora il corpus Christi era ancora più reale: contadini e contadine perseguitati e assassinati. Poco dopo Ellacuria si espresse così. E i due concordarono anche nel chiamare il popolo “servo sofferente di Jahvé”. Era il suo contributo alla cristo-logia.
L’inizio dell’omelia fu pure memorabile: “A me tocca andare a raccogliere feriti e cadaveri”, disse Monsignore, come se riscoprisse la sua identità episcopale: essere ex officio accompagnatore delle vittime. E fu anche memorabile il finale. Durante la processione attorno alla piazza, alcuni soldati presero la mira contro la gente, e tutti, istintivamente, volsero lo sguardo verso Monsignore che era dietro. Ed egli disse: “Avanti”. Era il suo contributo alla ecclesio-logia: essere vescovo a modo di pastore, non di re, né tanto meno di mercenario.
Quel giorno lo vedemmo in tutta chiarezza. Non era Monsignore che aveva bisogno del nostro aiuto, ma noi avevamo bisogno del suo: anche come teologi. Ciò riconobbe Ellacuria nel19854.

“La persecuzione all’interno dell’istituzione” e "Dio più grande della chiesa”.

Con la decisione della messa unica ebbe inizio un altro calvario. Il segretario del nunzio lo riprese apertamente per aver autorizzato la celebrazione di un’unica messa la domenica. È stato l’inizio di gravi problemi con le curie vati- cane5 e con i suoi fratelli vescovi della conferenza episcopale, e anche di grandi amicizie. A Roma trovava consolazione parlando col cardinal Pironio e con padre Arrupe. E al suo ritorno da Puebla, ricordò con stima don Hélder Cámara, Proaño e il cardinal Arns.
Nell’aprile del 1977, dopo l’assassinio di Rutilio, fece una visita a Paolo VI, che lo riempi di forza e consolazione: “Coraggio”, gli disse. Con Giovanni Paolo II ebbe un'esperienza difficile. A Roma, nel maggio 1979, dovette mendicare un appuntamento, dal quale, secondo un giornalista, uscì piangendo. Nel diario scrive l’8 maggio: “La mia impressione non fu del tutto soddisfacente”. Il Papa non comprendeva la situazione del Salvador. Non gli sembrava corretto parlare di persecuzione della chiesa, né l’atteggiamento apertamente critico verso il governo. Nel 1983, morto monsignor Romero, Giovanni Paolo II, senza segnalarlo al governo, visitò a sorpresa la sua tomba nella cattedrale. Lo elogiò come ”zelante pastore".
La nota dominante delle relazioni con le istituzioni ecclesiali fu di seria tensione. Ciò gli richiese di esercitare la virtù, ma anche qualcosa di più profondo: che la sua fede vivesse di linfa nuova, del mistero di un Dio più grande della chiesa. Casaldáliga dice: “Tutto è relativo meno Dio e la fame”. Qualcosa del genere visse monsignor Romero. Assoluto è solo Dio e i poveri. Di nuovo teo-logia.

"Conversione” e forza dell’esempio.

A monsignor Romero non piaceva che si parlasse di lui in termini di conversione, ed è comprensibile. Egli non passò dal fare il male a fare il bene. La parola ”conversione", tuttavia, possiede una forza speciale nel comunicare la radicalità del cambiamento. E nessuno nel paese, né poveri né oligarchi, aveva conosciuto un simile cambiamento.
Era stato devoto e zelante delle anime, di condotta etica irreprensibile e obbediente alla chiesa; ma gli mancava l’accettazione cordiale di Medellin. In termini di pensiero, Medellin lo spaventò, e più ancora la teologia della liberazione6. In termini di prassi non pensava che toccasse a sacerdoti e vescovi opporsi alle strutture di ingiustizia. Di fronte alla violenza, bisognava solo condannarla e prendere le distanze da essa.
Nei suoi ultimi anni come vescovo di Santiago de Maria già aveva avvertito la crudeltà dell’ingiustizia e la sua dimensione strutturale7. In ogni caso, fu eletto arcivescovo di San Salvador per pacificare gli animi liberazionisti di comunità e parrocchie, la Conferenza dei religiosi — CONFRES e la Università Centro- americana (UCA) di El Salvador... . “Non fu eletto perché fosse ciò che è stato; fu eletto piuttosto per il contrario“8.
Miracolo di Dio, e del popolo fu che monsignor Romero arrivasse a essere praticamente il contrario di ciò per cui fu eletto. Aveva 59 anni, età in cui gli esseri umani hanno consolidato le loro strutture psicologiche e spirituali. Ed era costituito proprio nella massima autorità dell’istituzione, il che inclina alla continuità e ad assicurare il potere. Intuì presto anche quello che si stava attirando; le ire dell’oligarchia e di tutti i potenti, sebbene si attirò anche presto l’affetto dei poveri e il rispetto della gente buona.
La "conversione" è stata esemplare, ma è stata anche determinante per generare una "nuova" chiesa, ed è importante tenerlo presente. A Medellin la conversione ecclesiale avvenne audacemente. A Puebla si mantenne sufficientemente. A Santo Domingo scomparve. E ad Aparecida si frenò soltanto un po' l’arretramento e si ottenne qualche miglioramento. Se Monsignore arrivò a generare chiesa di qualità, di peso sociale e di finezza di spirito, ciò è stato dovuto in buona misura alla profondità della sua stessa conversione, non alla sua autorità formale di arcivescovo.
     2.Padre di una Chiesa profetica e martiriale al servizio di Dio e della liberazione

Il seguace di Gesù.

Dopo la messa di Aguilares accaddero molte cose: massacri e persecuzioni per le strade si poteva leggere: “Se ami la patria uccidi un prete”  - e anche crescita delle organizzazioni popolari e della chiesa popolare. Ci fu Puebla e, con Lopez Trujillo, prese forza il movimento anti- Medellin. Monsignore poteva essersi stancato o poteva aver fatto solo piccoli passi. Ma non fu così. Cammino con maggiore decisione, come seguace di Gesù. La sua vita si puo leggere come una cristologia di testimoni, che aiuta a capire le cristologie di testi.
Per tre anni ha servito il regno di Dio - sempre con la coscienza di dover lottare contro l’antiRegno — e pose la chiesa al servizio del Regno. Fece un’opzione totale per i poveri. A loro annunziò la buona notizia della liberazione e di un Dio liberatore. In loro vide Cristo crocifisso, in loro ascoltò la voce di Dio e in loro s’incarnò. Fu questo che lo cambio completamente. “Ciò che era una parola opaca, amorfa e inefficace si trasformò in un torrente di vita, al quale il popolo si avvicinava per appagare la sua sete”9.
In questo popolo trovò grazia: “Con questo popolo non costa essere buon pastore” (18 novembre 1979). E con grande umiltà disse: “Se mi uccidono risusciterò nel popolo salvadoregno” (marzo 1980). E ricordiamo che Monsignore, come don Hélder Cámara e monsignor Proaño, non solo fu ammirato, ma amato dal suo popolo.

Chiesa di profezia.

Diceva K. Barth che bisognava predicare con la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra. Monsignore predicava con la Bibbia in una mano e con la realtà nell’altra, e stando immerso in mezzo a essa. Così lo espresse la vigilia del suo assassinio: “Chiedo al Signore, durante tutta la settimana mentre vado raccogliendo il clamore del popolo e il dolore per tanto crimine, l’ignominia di tanta violenza, che mi dia la parola adatta per consolare, per denunciare, per richiamare al pentimento” (omelia del 23 marzo 1980).
Prendendo sul serio Dio e la realtà, la sua parola doveva essere denuncia. “Questo è il grande male del Salvador: la ricchezza, la proprietà privata, come un assoluto intoccabile. E guai a chi tocca questo filo ad alta tensione! Si brucia” (2 agosto 1979). “Siamo in un mondo di menzogna dove nessuno crede più in niente” (18 marzo 1979), “Si continua a massacrare il settore organizzato del popolo solo per il fatto di sfilare ordinatamente per le strade” (27 gennaio 1980). “La violenza, l’assassinio, la tortura, dove tanti rimangono uccisi, il massacrare e buttare la gente in mare: questo è l’impero dell’inferno” (1° luglio 1979).
Denunciò per nome molte altre aberrazioni. Scrisse al presidente Carter, esigendo che tagliasse gli aiuti militari. Si scagliò contro la Corte Suprema di giustizia perché difendeva abusi, concludendo: “Questa denuncia me la impone il vangelo per il quale sono disposto ad affrontare il processo e il carcere, sebbene con ciò non si faccia altro che aggiungere altra ingiustizia” (14 maggio 1978). La sua ultima omelia in cattedrale terminò con queste parole:
“Io vorrei lanciare un appello in modo speciale agli uomini dell’esercito, e in concreto alle basi della Guardia nazionale, della polizia, delle caserme: Fratelli, che fate parte del nostro stesso popolo, voi uccidete i vostri stessi fratelli contadini mentre, di fronte a un ordine di uccidere dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: ”Non uccidere". Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale, nessuno è tenuto a osservarla. È ormai tempo che recuperiate la vostra coscienza e obbediate alla vostra coscienza piuttosto che alla legge del peccato. La chiesa, sostenitrice dei diritti di Dio, della dignità umana, della persona, non può restarsene silenziosa davanti a tanto abominio. Vogliamo che il governo si convinca che a nulla servono le riforme se sono ottenute con tanto sangue. In nome di Dio, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono ogni giorno più tumultuosi fino al cielo, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: basta con la repressione!” (23 marzo 1980).
Monsignor Romero aveva richiesto la conversione e aveva avvertito del castigo che si avvicinava nel non convertirsi: scoppiò la guerra. Ma il suo fu essere profeta di consolazione, come quello di Isaia del “Consolate, consolate il mio popolo”. “Su queste rovine brillerà la gloria del Signore” (7 gennaio 1979).
Nelle lettere pastorali rendeva ragione di ciò che nelle omelie diceva in modo profetico. Argomentava con la Bibbia, con la migliore tradizione della chiesa e del magistero, e con i segni dei tempi, vissuti esistenzialmente e analizzati dalle scienze sociali. I temi li prendeva dalla realtà: il diritto a organizzarsi, la liceità o illiceità della violenza, il dialogo... Prima di scrivere la sua ultima lettera pastorale aveva inviato un questionario alle comunità in cui chiedeva: “Chi è per voi Gesù Cristo?”. “Qual è il più grande peccato del paese?”. “Che pensate della conferenza episcopale, del nunzio, del vostro arcivescovo?”... E aveva preso sul serio le risposte.

Chiesa di martiri.

Durante i tre anni del suo ministero, molti sacerdoti, delegati della Parola, laici e laiche morirono assassinati. Era il martirio di Gesù nei nostri giorni. E vi furono massacri di contadini. Erano “il servo sofferente di Jahvé”. Nel parlare di un sacerdote assassinato spiegò con chiarezza le ragioni del martirio: “Si uccide chi disturba" … come uccisero Cristo” (23 settembre 1979). E disse parole impressionanti, che di solito non si dicono:
“Mi rallegro, fratelli, che la nostra chiesa sia perseguitata” (15 luglio 1979). “Sarebbe triste che in una patria, dove si sta assassinando con tanto orrore, non contassimo tra le vittime anche i sacerdoti. Sono la testimonianza di una chiesa incarnata nei problemi del popolo” (4 luglio 1979).
Monsignore stimolò la chiesa a essere chiesa di Gesù e chiesa salvadoregna, e perciò si rallegro di una chiesa martiriale. In essa ha vissuto ed è morto. Si è attirato calunnie. “Monsignor Romero vende la sua anima al diavolo”, diceva un addetto stampa. Mai rifuggì la persecuzione per coerenza e per non sentire la vergogna di non vivere ciò che predicava e non essere come il suo popolo. “Il pastore non cerca sicurezza, mentre non ha sicurezza il suo gregge” (22 luglio 1979). Morì come il suo popolo e pensando alla liberazione del suo popolo.
“Che il mio sangue sia seme di libertà e il segnale che la speranza sarà presto una realtà” (marzo 1980).
Facilmente si dimentica questo, per cui è necessario ricordarlo. Allo stato in cui è la chiesa, è importante ritornare al Vaticano II, e magari con buone conseguenze. Allo stato in cui è il nostro mondo dei poveri, bisogna risalire a Giovanni XXIII, Lercaro, Himmer e la chiesa dei poveri, di cui soltanto nel Concilio v’è traccia. Ma allo stato in cui è un mondo di vittime, bisogna andare a monsignor Romero e alla chiesa dei martiri. Non è facile. Monsignor Romero deve continuare a essere riferimento di una chiesa che vuole assomigliare a Gesù, in un mondo che produce tante morti.

La buona notizia della "liberazione" e di "Dio".

Per Monsignore è stata sempre fondamentale la buona notizia: "la liberazione", per cui occorre lottare, e la buona notizia di "Dio", a cui bisogna consacrarsi.
Monsignor Romero ha propiziato una chiesa della "liberazione", il che presume l’incarnazione storica nelle lotte per la giustizia, per i diritti fondamentali del popolo. Non si poteva essere chiesa dei poveri e abbandonarli alla loro sorte. Il fatto che si trattava di ”lotta", con la sua ambiguità, non lo ha bloccato. E nel caso limite della violenza, ricordò la lunga tradizione dottrinale della sua liceità condizionata.
Inserita tra gli oppressi, la chiesa doveva e poteva essere medicina per sanare i sottoprodotti negativi della lotta. E con lo spirito di Gesù poteva essere lievito che fa crescere e fermentare la massa. La chiesa di Monsignore annunciò la buona notizia che possiamo vivere come fratelli e sorelle. E ha lavorato per questo.
E ha annunciato "la buona notizia di Dio". Nell’ “ospedaletto", ospedale per donne povere, malate di cancro e senza speranza, ha vissuto "a tu per tu con Dio". Come Gesù presso il lago o nell’orto, egli pregava Dio che vede nel segreto.
Le mie prime parole pubbliche su Monsignore sono state:
“Monsignor Romero ha creduto in Dio”10. La sua fede era di una profondità che mi sormontava e che, a volte, mi prendeva per mano per incamminarci verso il mistero di Dio. Anche Ignaciò Ellacuria è rimasto colpito e contagiato dalla fede in Dio di monsignor Romero. Ellacuria poteva sentirsi più o meno collega di Zubiri in filosofia e di Rahner in teologia. Ma a livello di fede in Dio mai si sentì collega di monsignor Romero. La sua fede era sostenuta, penso io, da quella di Monsignore11.
Di questo misterioso Dio Monsignore parlò nelle sue omelie. Verso la fine, disse con tutta semplicità: “Nessun uomo si conosce finché non si è incontrato con Dio...! Magari, cari fratelli, il frutto di questa predicazione di oggi fosse che tutti noi incontrassimo con Dio e vivessimo la gioia della sua maestà e della nostra piccolezza!” (10 febbraio 1980).
La trascendenza di questo Dio non destoricizzava i processi, ma li storicizzava, come spinta a sradicare tutto ciò che fosse peccato e a rafforzare tutto ciò che fosse grazia. Diceva questo specialmente alle organizzazioni popolari, poiché in esse riponeva maggiore speranza. Vedere Dio così, e stare davanti a Dio con questa disposizione, facile a dirsi ma difficile a farsi, a lui riusciva con assoluta naturalezza.

   3.Padre della Chiesa latino-americana e universale

Nel Salvador, i poveri e la gente buona “mai avevano sentito Dio così vicino, lo Spirito così operante, il cristianesimo così vero, cosi pieno di significato, così pieno di grazia e di verità”12. Monsignore si convertì nel salvadoregno più "santo" e più "universale".

Don Pedro Casaldáliga così parlo a nome di tanti:

“L’America Latina già ti ha posto nella sua gloria del Bernini... San Romero d’America, pastore e martire nostro: nessuno farà tacere la tua ultima omelia”.

Al centro della facciata dell’abbazia di Westminster, monsignor Romero sta tra Martin Luther King e Dietrich Bonhoeffer. In Africa, l’arcivescovo del Congo, Christophe Mimzihirwa, assassinato nel 1996, lo chiamano "il Romero d’Africa". A Noam Chomsky, al compimento degli 80 anni chiesero: “Cosa la fa continuare nella lotta? ”. “Immagini come questa”, rispose. E indicò un quadro in cui si vede l’arcivescovo Romero e i sei gesuiti dell’UCA.
Sono forme diverse di "canonizzazione". E qualcosa di simile deve significare dichiarare qualcuno "Padre della chiesa". È il sensus fidei dei poveri del popolo di Dio che coglie, in chi è passato, Dio per questo mondo, e che Dio è quello che è passato. In monsignor Romero hanno visto il passaggio del Dio di Gesù di Nazaret.

San Romero d’America, pastore e martire nostro

Di Pedro Casaldaliga

L’angelo del Signore annunciò il vespro…
Il cuore del Salvador segnava 24 di marzo e di agonia. Tu offrivi il pane, il corpo vivo - il triturato corpo del tuo popolo; il suo sangue sparso vittorioso – il sangue contadino del tuo popolo massacrato che deve tingere di vini d’allegria l’aurora impedita!

L’angelo del Signore annunciò nel vespro, e il Verbo si fece morte, un’altra volta, nella tua morte; come si fa morte, ogni giorno, nella carne nuda del tuo popolo.

E si fece vita nuova nella nostra vecchia chiesa! Stiamo un’altra volta sul piede della testimonianza, San Romero d’America Pastore e Martire nostro!

Romero della pace quasi impossibile su questa terra in guerra.  Romero in fior violetto della speranza incolume di tutto il continente. Romero della Pasqua Latinoamericana.

Povero Pastore glorioso, assassinato a pagamento, a dollaro, a valuta. Come Gesù, per ordine dell’impero. Povero Pastore glorioso, abbandonato dai tuoi stessi fratelli del pastorale e di messa! (Le curie non potevano comprenderti: nessuna sinagoga ben costituita può comprendere il Cristo).

I tuoi poveri si ti accompagnavano, in disperazione fedele pastore e gregge, allo stesso tempo, della tua missione profetica. Il popolo ti fece santo. La ora del tuo popolo ti consacrò nel Kairós. I poveri t’insegnarono a leggere il Vangelo. Come un fratello ferito da tanta morte sorella, tu sapesti piangere, solo, nell’orto. Sapesti aver paura, come un uomo in combattimento però sapesti dare alla tua parola, libera, il suo suono di campana!

E sapesti bere al doppio calice dell’altare e del popolo, con una sola mano consacrata al servizio. L’America Latina già ti ha posto nella sua gloria del Bernini nella spuma aureola dei suoi mari, nel baldacchino arieggiato delle Ande vigili, nella canzone di tutte le sue strade, nel calvario nuovo di tutte le sue prigioni,di tutte le sue trincee, di tutti i suoi altari…

Nell’ara sicura del cuore insonne dei suoi figli! San Romero d’America Pastore e Martire nostro: nessuno farà tacere la tua ultima omelia!

In memoria del vescovo Romero
Venti anni fa padre Davide Maria Turoldo, l'indimenticato mistico e poeta dell'Ordine dei Servi di Maria, scriveva in una sua poesia intitolata In memoria del vescovo Romero, ucciso il 24 marzo 1980 a San Salvador:

In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi...
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai, che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?
David Maria Turoldo
Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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