CONTEMPLARE NELLE NAVATE DEL MONDO

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 "L'utopia di Francesco si è fatta ... Chiara"  Edizioni Cittadella

Raimon Panikkar, (nome completo Raimundo Pániker Alemany) (Barcellona, 3 novembre 1918Tavertet, 26 agosto2010), è stato un filosofo, teologo e sacerdote spagnolo , di cultura indiana e catalana, oltre ad essere un sacerdote cattolico, autore di più di sessanta libri e di diverse centinaia di articoli su religioni comparate e dialogo interreligioso. Considerato uno dei massimi studiosi del dialogo tra culture e religioni del XX secolo, è morto ieri sera nella sua casa di Tavertet, vicino a Barcellona, all'età' di 91 anni.

 

Dove altrimenti possiamo contemplare, se la contemplazione non deve essere una fuga e una sconfitta? Una consolazione di quelli che non potendo fare altro si rinchiudono per fare almeno qualcosa di importante?
Consultando il dizionario, si vede che navata si può anche interpretare «navetta» del mondo; siamo su una navetta ed è per questo che il nostro compito è importante.
Grazie a Dio, abbiamo oggi tante macchine, gli elettrodomestici che ci aiutano a vivere più comodamente. Ma è più vita? Ho i miei dubbi, forse abbiamo perso il senso della vita, il senso-direzione, il senso-sensualità, il senso-contenuto, i sensi-direzioni, la dottrina. La contemplazione ci fa scoprire il senso della vita: è la vita. Punto e basta. Abbiamo ricoperto la vita di tante cose e pensiamo che vivere è pensare, è godere, è soffrire, è fare il bene. Tutti questi sono accidenti e tante volte anche incidenti della vita nella vita. «Io sono venuto, dice Giovanni (10, 10), perché abbiano vita e vita infinita». Le traduzioni italiane dicono «vita eterna», e quasi nessuno lo sa che cosa voglia dire «vita infinita»: Vita. La contemplazione ci fa scoprire il senso della vita che è semplicemente la vita. E la vita non è pensare, non è agire, la vita non è amare, la vita non è soffrire, la vita non è lodare, la vita non è sentire; tutte queste sono operazioni della vita, ma la vita è previa a tutte queste operazioni, e allora con la vita in sé vivente pensi, soffri, cammini, parli e fai tante cose. Noi perdiamo il senso della vita ignuda (e questa per me sarebbe la chiave ermeneutica per capire in termini moderni la passione per la povertà di Francesco e Chiara), la nudità totale della vita che quando non ha niente si trova dinanzi al rischio semplicemente di essere. E come direbbe Divus Thomas: Vita viventibus est esse, la vita è l'essere per i viventi.

Noi, che sappiamo tante case e abbiamo tante macchine al nostro servizio, abbiamo dimenticato forse l’unica parola che e l’arte del vivere, non abbiamo ancora imparato a vivere. Senza la vita non si può vivere ed è la vita, questo valore primordiale divino che noi abbiamo perso; perciò ci arrabbiamo e godiamo per tante cose che facciamo o che non possiamo fare. Ma sembra che l’esperienza ignuda della vita ci sia vietata. Siamo cosi indaffarati di tante buone cose che facciamo che la realtà più profonda, più fondamentale, ma anche più elementare, come il respirare, segno di vita, di spiritualità, pare che ci sfugga. La contemplazione ci fa scoprire la pienezza della vita.

In una lettera ad Agnese di Praga Chiara riproduce lo schema trinitario che da Platone alle Upanishad, da Ugo di San Vittore a Thomas Merton, dai monaci buddhisti dei primi secoli agli ultimi, hanno tutti, in una forma o un’altra, seguito. Lei ci parla di questi tre passi, – processi – per cui si arriva alla vera vita: intuere, considera, contempla; mira, medita e contempla, o nobilissima regina; guarda, considera, contempla. Tre passi. In Chiara, m’immagino, riverberava, risuonava quell’inno cosmico cosi straordinario della liturgia latina della Trasfigurazione: quicumque Christum quaeritis oculos in altum tollite, che ha ancora il coraggio di andare un po’ contro gli angeli dell’ascensione: non guardate in alto, ma guardate intorno a voi. Tutti voi che cercate Cristo – e il leit-motiv di Chiara – levate, innalzate gli occhi in alto. Non ci sono navate, ci sono le stelle e ancora di più: tutti voi che cercate Cristo, spalancate gli occhi dappertutto e cercate in alto dappertutto, in alto.

Lo schema è lo stesso, da Platone in poi ci sono tre grandi momenti che noi forse in questo processo di voler accelerare tutto abbiamo dimenticato. Primo: guarda, ascolta, mira, senti, intuere: senza cura della vita dei sensi,
senza un rapporto più che fraterno con tutto il mondo materiale, senza aver superato l'alienazione che comincia dal nostro corpo e continua con il corpo dell'altro fino a tutto il resto del mando materiale, non si può avere una vita pienamente umana. Godere la sensualità piena per ritrovare questa dimensione tante volte menomata, meno apprezzata, caduta nell'oblio o nell'adorazione in tutti gli estremi di tutto il mondo materiale, di tutta la vita dei sensi, di tutta la bellezza. Chi non è un innamorato della materia, chi non è sensibile alla bellezza che è sempre dei sensi, non potrà poi né estrapolare, né saltare, né fare qualsiasi altra cosa e tutto allora diventerà una specie o di alienazione o di astrazione o di parole vuote. Mira, guarda, innamorati delle cose belle, dei fiori, di tutto; mira, guarda, intuere, o nobilissima regina, guarda intorno a te, non aver paura di niente. Senza l'intuizione, senza la cura della vita dei sensi, senza la nostra identificazione con tutto il mondo materiale, cominciando con il nostro corpo: io non ho un corpo, sono corpo. Sono tante altre case, ma sono, siamo materia, terra. Il guaio dell'ecologia è cominciato qui. I maschi trattano le donne come un oggetto, tutti gli uomini trattiamo la terra come un oggetto. È un passo, ma soltanto il primo.

Considera la sensibilità, la bellezza. Avete mai pensato un po' a questo passaggio straordinario: la difesa che fa Cristo di Maria di Magdala? Questo atto che è di una spiccata bellezza, femminilità e sessualità: il profumo, i capelli, i piedi, i baci. E la difesa di Cristo Gesù: «Lasciatela, ha compiuto una bella opera». Sulla giustizia, sui poveri, sul profumo si poteva anche discutere, ma sulla bellezza non si può discutere, lei è stata sensibile alla bellezza e facendo questo ha scoperto la vita. «Lasciatela, ha compiuto una bella opera».
Intuere, guarda, ma seguita Chiara, considera. Pensa. La funzione della mente, la responsabilità dell'intelletto: pensare è fare una specie di scorciatoia dimenticando o disprezzando l'intelletto, la scienza, il sapere, l'altra faccia della realtà, evidentemente la realtà sensuale, la realtà materiale, la realtà temporale, ma senza vedere quest'altra faccia che non si vede con i sensi, che non si sente con la sensualità ma che sta là e si scopre con la mente e con l'intelletto. Guai a pensare che la scienza o il conoscere siano un lusso o un ostacolo alla vera e piena vita. Avere un'apertura al secondo occhio, l'occhio della mente, l'occhio dell'intelletto. Quello che è invisibile alla sensibilità, il primo occhio, si fa visibile alla meditatio, al considera. Considerare è una delle parole più ambiziose che esistono, ma considerare vuol dire l'atto straordinario di mettere le stelle insieme; considerare, quello che non possono fare le mani, perché non ci arrivo, lo fa la mente, mettere tutte le stelle in una unità armonica di un universo divino. Considerare, mettere le stelle al loro posto, nella loro armonia; colui che considera, entra senza far troppo rumore nella realtà totale e considerando, cioè meditando, entra in armonia con essa, fa parte di essa e contribuisce al dinamismo di questa stessa realtà.

La responsabilità dell'intelletto: nessuno ci può rinunciare, come non possiamo rinunciare al corpo, non possiamo rinunciare alla mente dell'intelletto, non possiamo rinunciare a tutti i problemi. E qui la modernità ha fatto un passo da gigante per abolire tutte queste scorciatoie, per arrivare alla pienezza della vita, lasciando da parte altre dimensioni di questa stessa realtà. Considera, medita, pensa. E il secondo occhio che ci fa scoprire la faccia sempre invisibile della luna, ma che sappiamo che sta là; che ci fa scoprire la faccia ugualmente invisibile dell'eternità', che non è altro che l'altra faccia della temporalità. L'eternità' non viene dopo, sarebbe troppo naif, o come diceva Simeone, il nuovo teologo: «Quelli che non hanno goduto della vita eterna qui, possono dire good bye alla vita eterna, perché dopo non c'è». Quelli che non sono capaci di scoprire la vita eterna nella temporalità, evidentemente non la possono scoprire dopo, è tutta un'altra cosa: senza questo secondo occhio della meditazione, senza meditazione in una forma o un'altra, non si può avere una vita umana.

Per me, una delle grandi scuole della meditazione è stato parecchie volte il metrò di New York, dopo le 10 di sera, o a volte anche alle 7 o alle 9. Tutta una popolazione stanca morta della schiavitù del lavoro, torna a casa con la mente bianca; stanno là, non pensano a niente, vivono, stanno là, sanno quando devono scendere, ma meditano senza saperlo. È una scuola di meditazione straordinaria, tu passi, non ti vedono, non guardano, non leggono, niente. Stanno alcune ore religiosamente in piedi, meditando: lasciano che le cose tornino a loro in una forma spontanea e naturale, non ci sono le forze, il modello massimo della meditazione, ma può essere una scuola per cominciare a penetrare. Senza una vita di meditazione non si può avere una vita umana piena. Allora siamo peggio dei robots, bombardati di qua e di là, e le nostre reazioni sono reazioni a quello che ci hanno dato prima. Non possiamo essere liberi se non pensiamo per conto proprio e non possiamo pensare se non lasciamo al pensiero quello spazio necessario per la digestione che è la meditazione.
Mira, considera, contempla. Soltanto quando il primo occhio e il secondo occhio sono aperti, il terzo occhio, come dicono i buddhisti, secondo l'espressione letterale di Ugo di San Vittore per esempio, si apre il terzo occhio della contemplazione.

Senza i due primi la visione è sbagliata, ma senza il terzo non si vede chiaro, non si ha la terza dimensione. Viviamo ancora come in un film, uno dello schermo televisivo, se abbiamo soltanto i due occhi della mente e dei sensi; non abbiamo scoperto la terza dimensione chi ci da' propriamente la prospettiva esatta. Il reale è di tre dimensioni; la vita è di tre dimensioni. Senza il terzo «oculo» le cose non si vedono nella loro realtà, le cose non si scoprono nella loro vita. E allora cadiamo vittime o di un sensualismo aberrante o di un intellettualismo inumano. Quindi non è che sia un lusso per alcuni la contemplazione: è assolutamente necessaria per reggere la vita umana, per poter vedere le cose e per poter pensare la realtà. Un pensiero solo distrugge la cosa pensata, un contatto meramente sensuale con la realtà la soffoca, ma ugualmente una specializzazione della contemplazione che può fare a meno e del pensiero e dei sensi diventa angelica nel sentire della spiritualità cristiana, cioè non umana, e sbagliata, cioè, eretica.
Quello che si sente, quello che si pensa, quello che si contempla: il terzo occhio. E cosa vede il terzo occhio?

La contemplazione è quella che ci fa realmente vivere, e che si fa senza uno sforzo immediato. Ha bisogno di una preparazione, evidentemente, bisogna passare per il guarda, intuere, medita, ma la contemplazione non ha un oggetto fisso. Questa sarebbe la meditazione. Si fanno le cose senza sforzo, perche il motore è la vita, o con altre parole, l'amore. Perciò quando si contempla non c'e bisogno di un premio, di un qualcosa che venga dato dopo perché hai fatto molto bene, non c'è bisogno di considerare la vita come una gara in cui alcuni ci arrivano e altri no; non c'è bisogno di un consumismo spirituale o di una competitività ascetica che porta tante volte alle deformazioni della vita intellettuale e della vita spirituale. La contemplazione è quella che ci fa entrare in contatto diretto con tutta la realtà. È allora che il soggetto non sparisce, non si divinizza. C'è un'estasi costante perché questa separazione letale tra oggetto e soggetto non c'è più. Ama il tuo prossimo come te stesso, non come un altro tizio al quale tu devi fare tutte le cose che vorresti per te. Se tu non scopri questo te stesso, nell'altro, evidentemente non sei arrivato alla contemplazione perche sei ancora nella dicotomia, nel dualismo di uno e l'altro. Allora l'unica cosa che possiamo fare è considerare i diritti dell'altro e tante altre cose per ragioni pragmatiche, pratiche, politiche che vanno molto bene, ma che entrano in una gara intellettuale, economica, politica e spirituale. Il contemplativo non ha paura di perdere niente, non ha la tentazione di fare il bene; come se dovesse giustificare la propria vita per il molto bene che fa; è un fuoco interno, è la vita eterna, è la vita infinita. Questo e quel vedere l'invisibile che diceva Paolo, «capendo l'incomprensibile», il terzo occhio che si apre soltanto insieme agli altri due; così si supera il mondo delle cose, il mondo delle idee e non si fa di Dio il grande fantasma di quasi tutta la filosofia e teologia occidentale. La contemplazione ci porta a essere, ed essere – qui sono nella più grande tradizione sia orientale che occidentale – è un altro nome di Dio. E Dio, per ritornare all'esempio di Chiara, si è manifestato, rivelato nella faccia di Cristo. La contemplazione ti fa essere, o come lei dice, ti porta alla divinizzazione. Colloca i tuoi occhi, colloca la tua anima, colloca il tuo cuore, i tre momenti: i sensi, la mente, la contemplazione. E allora trasformati interamente per mezzo della contemplazione. Chiara si trasforma nell'immagine della divinità di Lui. Tutti noi sappiamo, almeno quelli che credono nella Trinità, che l'immagine è esattamente uguale al modello. Divinizzati. La contemplazione porta a essere. Essere è un verbo, essere è Dio e dunque porta a quello che l'essere è, actus purus, come dicevano gli Scolastici.

La contemplazione è eminentemente attiva, eminentemente actuosa, eminentemente agisce ma con una attività che non è frutto d'un pensiero, che non è frutto di un piacere che mi attrae, ma che è frutto di una pienezza che viene da dentro ed è frutto dell'amore. Quindi la contemplazione non è nemmeno la sintesi tra la teoria e la pratica, e quella esperienza anteriore, previa alla dicotomia prassi e teoria. La contemplazione non è soltanto guardare il mondo delle idee, non è guardare con l'occhio interno, è molto di più: è trasformazione, «trasformati», dice Chiara, «divinizzati». In che cosa? In quello che tu puoi trasformare, in quello che tu realmente, fondamentalmente, sei: essere, e l'essere e atto e l'atto e attività e l'attivita' e l'agire di ciascuno di noi là dove noi siamo. E qui il circolo diventa un circolo vitale: la contemplazione non è contraria alla prassi, non è in opposizione teoria-pratica; la teoria, il pensiero porta alla chiarezza di idee, la tattica porta a fare cose, la contemplazione porta a realizzare in me e attraverso di me quello che si deve fare, perche l'essere è atto. Quindi la contemplazione porta alla trasformazione propria e di tutto ciò che è intorno, perciò la contemplazione ha intrinsecamente una dimensione politica, sociale, mondana nelle navate del mondo.

La contemplazione non è un racchiudersi per un'altra vita, è un trasformarsi per trasformare tutta la realtà. La nostra trasformazione in Cristo, il Cristo totale che non è soltanto quello del crocifisso, ma è quello della risurrezione, dell'Eucarestia. La risurrezione non è soltanto quella di Cristo Gesù', ma è la vocazione di ognuno di noi. Se non siamo capaci di mostrare la nostra risurrezione non c'è contemplazione, non c'è trasformazione, siamo ancora nella vita mezzo morti. La risurrezione è nostra, e adesso, è precisamente questa gioia che è frutto diretto della contemplazione, che ci da' l'umiltà' necessaria (non voglio il premio, il riguardo, l'ambizione, la vanità, il sorriso dell'altro, il grande successo), per buttarci là dove dobbiamo stare e fare quello che trasformandoci noi, trasforma anche la realtà.

Dobbiamo essere sufficientemente svegli per renderci conto che dopo quarant'anni la gente si è resa canto che il sistema non andava e bisognava fare riforme; le riforme non vanno più. La deformazione, cioè la violenza, il distruggere per distruggere, pensando che così si inizierà una cosa nuova, e anche naif, anche immorale e poi non va. La trasformazione, la metamorfosi non può essere frutto del pensare che tutto va pianificato, ma deve scaturire da un fondo molto più profondo in ognuno di noi; allora siamo i sinergoi di questa avventura straordinaria che e l'avventura di tutta la realtà. Soltanto un contemplativo oggi ha la forza di intraprendere questa trasformazione radicale, politica, economica, sociale, ecc., di cui il mondo ha bisogno oggi, dopo seimila anni di esperienza storica, dopo seimila anni di patriarcalismo, guerre, sfruttamenti, religioni al servizio dello status quo. Penso che è arrivato il momento di cominciare senza violenza ad avere la visione di cui già disse Paolo di Cristo: «Una nuova creatura, in Cristo una nuova creazione, in Cristo una novità costante di tutte le cose». Ma soltanto un contemplativa può farlo, un contemplativo che però è passato per le due fasi dell'intelletto e della sensualità. Non è sciamanismo, dove le cose si trasformano per magia. E tutta un'altra cosa.

L'azione che scaturisce dalla contemplazione non è un'azione premeditata, è un'altra cosa. La contemplazione è la sincerità assoluta, e allora uno si rende conto che prima di dire una parola (e ogni parola che non è un sacramento e una bugia), egli non deve essere l'autore di questa parola, ma deve averla ascoltata: «tutto quello che il Padre dice, io dico». La rivoluzione, parola che a me non piace, bisogna che sia radicale, è una cosa che comincia da noi, è molto di più, è trasformazione. Quindi la contemplazione non è soltanto la vocazione dell'uomo, è l'unica speranza anche di questa realtà sociologica, umana, ecologica. Contemplare nelle navate del mondo vuoi dire precisamente due cose: poter sostenere i pilastri, le colonne di questo mondo e, quando ce ne fosse bisogno, come Sansone, farle crollare, senza aver paura.
C'è un termometro della contemplazione, gli altri sono effetti, ed è l'amore evidentemente. Ogni volta che il Risorto è apparso ai discepoli ha detto due cose: prima pace, che vuol dire silenzio, vuol dire non aspettare troppo, vuol dire essere gioioso e contento con se stesso e con gli altri; vuol dire irradiare un'armonia che se dentro c'è, si comunica.
E poi aggiunge: non aver paura.

Il termometro della contemplazione è quest'ultimo: non aver paura. Paura del domani, paura di che sarà per mio figlio, paura del mondo che va a rotoli, paura del mio lavoro... paura. Se hai paura di checchessia, la contemplazione è sfuggita. E la paura non è frutto del pensiero, della volontà. Se noi abbiamo paura dell'inferno, paura di non riuscire, paura di tante cose, no: pace e poi non aver paura. E la contemplazione è la grande rivoluzione cristiana. E i farisei e le prostitute, e i ricchi e gli epuloni e i poveri, tutti sono chiamati alla contemplazione, non c'è discriminazione. Per arrivare a questa terza tappa ognuno deve riempire fino in fondo, come una canna, la propria sensibilità e intelligenza e poi lasciarsi fare. Qui Chiara torna a essere un modello: il sapere accettare, il trasformare trasformandoci, trasformando quella parte della realtà che ci è stata affidata. Contemplare dunque nelle navate del mondo è la nostra gioia, e il nostro compito.

 

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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