Diaconia: Strumenti della Riconciliazione

Published in Missione Oggi

20 May 2010

SEDOS RESIDENTIAL SEMINAR 2010

ARICCIA 'CASA DIVIN MAESTRO'


Preghiera

 

I miei occhi grondarono lacrime

notte e giorno, senza cessare.

Da grande calamità è stata colpita

la figlia del mio popolo

da una ferita mortale.

Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada;

se percorro la città, ecco gli orrori della fame.

Anche il profeta e il sacerdote

si aggirano per il paese e non sanno cosa fare.

Hai forse rigettato completamente Giuda,

oppure ti sei disgustato di Sion?

 

 

 

 

Perché ci hai colpito,

e non c’è rimedio per noi?

Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene,

l'ora della salvezza ed ecco il terrore!

 

Riconosciamo la nostra iniquità, Signore,

l’iniquità dei nostri padri:

contro di te abbiamo peccato.

Ma per il tuo nome non abbandonarci,

non render spregevole il trono della tua gloria.

Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi.

 

(Ger 14: 17-21

- Cantico, lode mattutina, venerdì della terza settimana)

 

 

 

Introduzione

 

La riconciliazione in Africa è un’impresa assai complessa e difficile. Nessuno può pretendere di trattare questo argomento in maniera esauriente o di dare delle risposte. Può costituire solo un tentativo di esplorare alcune possibilità e di porre delle domande come un contributo a quelle fatte anche da altri. E’ un punto di partenza alla ricerca di qualche risposta possibile. Il mio è quindi uno di questi tentativi. Non c’è una soluzione facile alle situazioni di sofferenza e di sgretolamento in Africa, una sofferenza e uno sgretolamento di cui sono permeati tutti gli aspetti della vita, quello fisico, spirituale, psicologico, socio-culturale, economico e politico. Questi fattori si estendono anche alle risorse naturali.

 

Vi è una cultura della violenza e della morte che è stata accettata nel suo insieme dalla società; vi è una cultura di odio, gelosia, ingordigia e vendetta che porta a delle espressioni molto distruttive. Alcuni, dall’alto e dal basso, povero e ricco, giovane e vecchio, hanno preso in mano il potere e stanno causando la violenza e le ingiustizie che sperimentiamo giornalmente. Il peggio che è in noi sta venendo fuori. Dalla gente tutto questo è vissuto con un senso di impotenza e di abbandono al “fato” quasi come se Dio ci avesse abbandonato ai poteri di questo mondo. Siamo paralizzati dalla paura..

 

Molte volte, quando vedo in televisione la violenza e le molte facce della sofferenza in Africa, la mia mente e il mio cuore vanno alla descrizione della Settimana Santa. Vedo Gesù, vedo Pilato, vedo i soldati romani che eseguono attentamente l’ordine del loro governatore. Vedo le Guardie del Tempio mentre arrestano Gesù, anche loro eseguono l’ordine dei propri superiori. Vedo i capi giudei consultarsi, tenere corte e promulgare la sentenza di morte per Gesù, ritenendolo colpevole del crimine più grave in Israele: la blasfemia! Vedo vari gruppi religiosi che urlano ed incitano la folla; maltrattandola o corromperla o di ricattarla per gridare con loro: “Crocifiggilo!” Pilato, impaurito, acconsente volente o nolente, ma comunque acconsente. Per paura di una rivolta e di quello che gli costerebbe egli è d’accordo con loro, pur sapendo che Gesù è innocente. Vedo Erode deridere Gesù, usandolo per entrare nelle grazie di Pilato. “In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici, anche se prima erano stati nemici” (Lc 23:12)1. Vedo la folla, vittima dell’ignoranza e manipolata dai suoi capi che grida: “Crocifiggilo!” senza sapere che male egli abbia fatto per meritare la crocefissione. E vedo anche i discepoli che temono di dover condividere il suo destino, che, confusi, assistono impotenti aspettando la sorte avversa che spetterà al loro maestro. Non sanno che fare. Essi si vergognano del fatto che non sono in grado di aiutarlo e temono di identificarsi con lui nel caso dovesse succedere la stessa cosa a loro.

 

Eppure questo non è avvenuto all’improvviso! Le autorità giudaiche avevano cercato di uccidere Gesù già all’inizio del suo ministero. Le scritture lo riportano, il che significa che i discepoli erano al corrente del pericolo che il maestro stava correndo. Gesù stesso sapeva dell’ostilità degli Ebrei nei suoi confronti. Perché nessuno ci ha fatto caso e ha fatto qualcosa prima che la tragedia accadesse? Dov’era Dio in tutto questo? Perché non lo ha evitato?

 

Quello che vediamo in Africa è più o meno la stessa cosa. Tutti l’abbiamo visto arrivare ma non sapevamo come fermarlo. Non abbiamo gridato per chiedere aiuto prima che succedesse e siamo stati colpiti dall’orrore quando è avvenuto. Ci siamo guardati vergognandoci. Ci siamo arrabbiati. Abbiamo accusato e ancora accusiamo puntando le dita. Ma intanto l’olocausto era già avvenuto e se non facciamo nulla, continuerà a succedere. Ma ci guardiamo l’un l’altro e diciamo: cosa posso fare? L’enormità di ciò che sta succedendo e la profondità in cui la nostra gente è regredita nella sua vendetta è davvero terribile. Possono le persone essere capaci di commettere le cose terrificanti che abbiamo visto così recentemente in Liberia, in Sierra Leone, in Ruanda, in Kenya, ecc.? Non è stata l’azione di un singolo uomo tale da farci dire: è pazzo! E’ stata una regressione collettiva.

 

La Chiesa in Africa ha deciso di fare qualcosa per questa situazione. Ha accettato la sfida di essere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Non è un compito facile. Questa Chiesa è ognuno di noi: africani e missionari in Africa che hanno risposto alla chiamata del Signore di camminare con l’Africa nella sua reazione a voler vivere “La Strada” nella sua relazione con Cristo.

 

 

La Chiesa Africana al Servizio della Riconciliazione

 Nel Sinodo del 2009, l’Africa in quanto Chiesa è stata chiamata alla sfida nel considerare la Riconciliazione nel continente come necessaria e urgente e nel diventare un suo credibile strumento. (IL 48)

 

 

Radicata nell’amore di Dio e fede in Africa

La prima sfida delle Chiese Africane è contenuta nel motto che ha echeggiato lungo tutto il Sinodo: Africa, alzati e cammina. Questa è la sfida che l’Africa deve far entrare nel profondo delle sue viscere: ditelo nelle case ai loro figli, proclamatelo dal pulpito. Ogni membro della Chiesa in Africa deve diventare consapevole di questa grande responsabilità: quella di alzarsi e camminare. Per troppo tempo l’Africa ha accampato delle scuse di vario genere come spiegazione della sua paralisi. Che la Chiesa dia la chiamata del risveglio – una chiamata a crescere, a diventare adulti. Questo è quello che Gesù fece per coloro che erano paralizzati. Oggi è responsabilità della Chiesa di fare lo stesso: gridare la chiamata del risveglio per i suoi membri e per coloro che ne sono fuori.

 

Questa prima sfida di Riconciliazione chiama la Chiesa Africana ad assumersi la propria responsabilità per qualsiasi cosa essa desideri che avvenga. L’Africa deve riconciliarsi con se stessa per usare le proprie risorse piuttosto che dipendere da altri che intervengono in suo aiuto. La sfida di Gesù al paralitico è la sfida all’Africa ed è una sfida di riconciliazione con il nostro proprio talento. E’ una chiamata a riconoscere la nostra propria situazione e di farne qualcosa. Siate certi che ce la possiamo fare. Questa è la sfida più ardua. L’Africa ha cercato per troppo tempo aiuto oltre i propri confini. Essa non è riuscita a riconoscere le proprie risorse e a credere nelle proprie capacità. Una capacità che viene da Dio. E’ una mancanza di fiducia e una mancanza di fede. E’ il grido dell’uomo che ha ricevuto un solo talento e che rifiuta di rischiare di perderlo. Chi darà all’Africa questa fede? Questa è la sfida!! La sfida delle figlie e dei figli dell’Africa è di stare dinnanzi a Dio e di dialogare con lui. Riconciliatevi con il fatto di essere africani.

 

C’è un senso di inferiorità che consuma le migliori energie del Continente Africano. Eppure abbiamo risorse umane e naturali che possiamo usare. Abbiamo bisogno di una riconciliazione con la nostra “Africanità” – per guardarci abbastanza a lungo e profondamente per scoprire l’eccezionale creatività e amore nello spronare l’Africa a vivere. In questo c’è una riconciliazione con Dio che va affrontata direttamente e sinceramente: “Perché Dio ci ha creato in questo modo?” E’ una domanda che gli Africani si pongono spesso. E’ una domanda che gli Africani devono affrontare. In questo troveranno Dio e la loro vocazione in mezzo agli altri figli di Dio. In questo essi scopriranno il loro legame con gli altri e prenderanno posto accanto a loro, diversi ma competenti. Quindi, rafforzati dall’amore di Dio, gli Africani possono accettare la sfida del Sinodo con coraggio e amore.

 

La Chiesa può avere un ruolo importante in tutto questo. Dato che ha accesso a molta gente per i servizi che essa offre, ha opportunità a sufficienza per coinvolgere popoli e persone nel processo di riconciliazione:

 

  • La Chiesa ha scuole che vanno dal nido d’infanzia all’università. Essa offre un’istruzione di qualità in tutti i settori, incluso l’addestramento professionale. Coloro che professano un’altra fede religiosa, frequentano le scuole della Chiesa. Qui c’è una possibilità di lanciare una sfida agli studenti per assumersi la loro responsabilità per la riabilitazione dell’Africa.

  • La Chiesa ha molti membri ed è organizzata nel servizio ai suoi membri. Le Piccole Comunità Cristiane, per esempio, sono uno spazio speciale che può essere utilizzato parecchio per far riflettere le persone su questioni concernenti i conflitti nella nazione, per capire la sfida della Cristianità a questo proposito e di agire secondo le esigenze della Dottrina Cristiana.

  • La Chiesa deve ridefinire la Comunità in termini cristiani ed essere determinata e conseguente nell’approccio della questione tribale. Dato che bisogna trovare dei cristiani oltre le linee tribali, essi possono avere uno strumento per affrontare questo soggetto intricato. I vescovi possono, come gli apostoli, far presente la questione a livello nazionale e continentale. Il collegio dei vescovi in Africa può rifiutare di avere divisioni basate sulla tribù e può presentarsi con delle strategie che facciano partire un processo di unità e di comunione fra i molti popoli nelle loro diocesi, nella loro nazione. Come cristiani noi crediamo che siamo tutti una cosa sola, figli dello stesso padre, Dio. Gli Africani hanno la “parentela” nei propri geni. Ora e’ tempo di costruire questa parentela ad un livello superiore, superiore a quello del legame di sangue. Gesù è morto perché fossimo suoi fratelli e sorelle, eredi con lui nel Regno di Dio. Che ciascuna diocesi ponga la domanda della “parentela” ai propri membri della chiesa. Bisogna che ciò sia fatto con urgenza. A chi dobbiamo fedeltà: alla mia tribù o alla mia fede in Cristo che costruisce un genere diverso di parentela fra i Cristiani e fra tutti i popoli a prescindere dalla loro fede?

  • La Chiesa deve dare più forza alle donne perché esse assumano nella società il loro ruolo di dare la vita. La Chiesa ha istruito molte donne e molte di loro ricoprono funzioni elevate in tutti i settori della vita sociale. Le donne sono una maggioranza nella presenza della Chiesa e la Chiesa vi deve riflettere e dare spazio al bene che esse possono fare per la riconciliazione a tutti i livelli: sia quello della famiglia e della comunità che quello nazionale e internazionale. Le donne hanno tutto l’ interesse che ci sia la pace. Esse hanno un padre, un fratello, un marito o un figlio fra coloro che sono coinvolti nei conflitti e nella violenza. Li vogliono vivi. Hanno famiglie da crescere. Che la Chiesa coinvolga le donne nel dibattito della riconciliazione.

  • Nel corso dei primi anni del Nazionalismo Africano la Chiesa ha consegnato quasi tutte le sue istituzioni scolastiche agli Stati. Oggi è un imperativo che la Chiesa si assuma il proprio ruolo di educatrice di bambini e di giovani in Africa. Nelle tradizioni africane i bambini ed i giovani erano considerati i beni di un clan o di una tribù e grande importanza era data alla consegna a loro dei segreti della tribù ed a assicurarsi che essi capissero il proprio ruolo. Il giovane adulto aveva il compito di difendere un clan dai suoi nemici. Qual è il ruolo della nostra gioventù oggi? Per che cosa li abbiamo evangelizzati ed istruiti? La nostra gioventù africana di ieri è passata da posizioni difficili per provare ai suoi anziani che essi avrebbero potuto mettere a rischio la propria vita per il bene della tribù. Per che cosa rischiano la vita i nostri giovani oggi? Dove sono i valori per cui vivere o morire? Oggi la nostra gioventù è facile preda di coloro che vogliono perpetrare qualsiasi genere di male in mezzo al popolo. Essa è facile preda come individui e/o gruppi per diventare strumenti di odio, vendetta e violenza. Nel reclamare il proprio ruolo educatore, la Chiesa deve rivolgersi alle differenti fasi della vita della comunità: ai bambini, ai giovani, ai giovani adulti, alle coppie sposate ed agli anziani.

 

 

La Riconciliazione come una Spiritualità

La Chiesa può avere un ruolo fondamentale nel rendere la riconciliazione una spiritualità con cui i Cristiani confrontano la loro vita quotidiana, nella relazione fra di loro e con coloro che non appartengono al loro gruppo. In questo modo essi possono diventare “il sale della terra e la luce del mondo.”

 

La riconciliazione è centrale nella missione di Cristo. Nella sua missione di riconciliare il popolo con Dio e le persone fra di loro, Gesù andò nei villaggi ad incontrare la gente ed a parlarci.

 

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità “(Mt 9:35 – 10:1).

 

Gesù scelse di camminare in mezzo alla gente per provarne il senso di abbandono, di scoraggiamento, insegnava e guariva. In altre parole, egli la nutriva, ma con una vicinanza che la faceva sentire sicura, e che fa sì che la gente sappia che Dio non l’avrebbe abbandonata. Faceva sentire che “Dio è con noi!” E’ una riconciliazione con Dio. Egli era un pastore in mezzo alla gente. Gesù avrebbe potuto scegliere altre forme di vicinanza con le persone, ma egli decise di stare tra di loro.

 

La Chiesa in Africa è chiamata ad abbassarsi e a far sentire la presenza di Dio al popolo – camminare con la gente dove essa si trovi. E’ una sfida per incarnare la Chiesa in Africa. Far sapere alla gente che Dio è con lei. Che le parole dei pastori della Chiesa in Africa siano parole di incoraggiamento, di consolazione, di speranza e di profezia. Durante le violenze in Kenya nel 2008 dei profughi chiamarono i vescovi a venire ad asciugare le lacrime sui visi dei bambini spaventati, a camminare in mezzo a loro e a dar loro la garanzia che Dio non li aveva abbandonati a se stessi.

 

Qui c’è una sfida: la possibilità di un approccio, la semplicità, la presenza e la vicinanza alla gente, meno strutture, meno potere. Far sapere alla gente quanto Dio le è vicino tramite il nostro modo di relazionarci con lei.

 

Nella formazione degli operatori di evangelizzazione, per esempio nelle nostre case di formazione: stiamo formando dei pastori, uomini e donne, o stiamo formando dei manager per le nostre diverse attività?

 

 

Questa è una chiamata per la Chiesa di accettare una conversione nella sua leadership, nei suoi ministri e religiosi. Far sapere alla gente, nel modo in cui viviamo, che siamo discepoli di Gesù Cristo. C’è una chiamata a vivere “La Strada” come l’abbiamo sentito nei Vangeli: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico … Non fanno i pagani lo stesso?” (Mt 5).

 

E’ un Modo di Vivere che invoca una nuova modestia e amore incondizionato per il prossimo. E’il Prezzo dell’essere Discepoli.

 

 

Partire dal Perdono

Siamo chiamati a vivere la riconciliazione come una spiritualità prima di tutto e soprattutto fra noi prima ancora di predicarla agli altri. In ogni relazione delle cose andranno male e un conflitto nascerà o internamente alla persona o esternamente fra persone coinvolte in questa relazione. Molte volte abbiamo paura di affrontare il conflitto – sia quello interno che quello che coinvolge altri. Noi aspettiamo, ci mettiamo sulla difensiva e complichiamo le cose fino a che il conflitto non raggiunga espressioni esplosive. Anche se non ne consegue che possiamo ferire gli altri, possiamo ferire noi stessi. Ci sono, per esempio, persone che si ammalano di malattie come la depressione, la paralisi; altri abusano di sostanze come l’alcool o la droga per calmare il tumulto interiore mentre altri potrebbero persino commettere il suicidio. Questo succede perché essi hanno accumulato conflitti irrisolti, un senso di colpa irrisolto e forse ritengono imperdonabili le loro azioni.

 

Gesù parla di questo quando cura l’uomo paralizzato da 38 anni e l’altro sceso dal tetto della casa dove Gesù stava predicando: “Alzati, prendi la tua stuoia e cammina … I tuoi peccati sono perdonati”. Il perdono è la parte in salita del viaggio nel vivere la riconciliazione. Eppure è la chiave per la riconciliazione e la pace. Se io non perdono e non sono perdonato, ne consegue un intero complesso di azioni, verbali e/o non verbali che complicano il nostro vivere insieme in armonia. Ci sentiamo traditi dal non-perdono che è fra noi: c’è risentimento ed una necessità di farla pagare e talvolta seguiamo tale sentimento utilizzando svariati gradi di violenza.

 

La Chiesa in Africa deve urgentemente sottolineare il perdono usando tutti gli strumenti disponibili nella Chiesa e nella cultura Africana. Parlo di perdono non sacramentale. Molti Cristiani non hanno accesso alla riconciliazione sacramentale per diversi motivi. Qualsiasi possano essere i casi, in molte situazioni di conflitto non è sufficiente sussurrare i nostri peccati al sacerdote nell’intimità e nell’anonimato sia per l’offensore che per l’offeso. Talvolta è salutare mettere le carte in tavola e chiamarle per nome in modo che le due parti possano valutarlo e disporsi a perdonare e a riconciliarsi. Spesso la famiglia e la comunità coinvolta prendono parte nell’animosità. E’ necessario dissotterrare anche questo. L’animosità ancorata nel cuore è velenosa sia per chi la sente che per la comunità nel suo insieme. Nelle culture africane non esiste il peccato individuale perché l’individuo è un membro della comunità e qualunque cosa egli faccia, questo tocca la comunità intera. Per questo l’espiazione del peccato ha connotazioni coinvolgenti la comunità. Si chiama pulizia perché tenta di purificare il cuore, la radice del problema. E’ fatta con simboli e azioni simboliche che toccano le profondità degli spiriti e li guarisce. Quando un individuo ha l’abitudine di far torto agli altri deve “vomitare” l’iniquità che è in lui. La credenza è che dall’interno sono originate le azioni cattive. L’impurità di un solo uomo diventa la sporcizia della comunità. Perciò è necessario il perdono, la riconciliazione e la pulizia della comunità. Come cristiani africani ci sentiamo esonerati da tutto questo. Ci è stato raccontato che basta sussurrare la nostra iniquità al sacerdote che ci perdona in nome di Cristo. Ma sono stato perdonato dalla comunità, dai bambini i cui genitori ho eliminato o menomato? Quando questi bambini hanno delle difficoltà, essi malediranno chiunque abbia ucciso i loro genitori!

 

Si racconta un altro proverbio di una comunità africana: ci vogliono due dita per uccidere un pidocchio o una pulce. Quindi è bene che i due interessati puliscano l’aria fra di loro. L’aria che respiriamo in Africa è contaminata dai peccati dell’ingiustizia e della violenza. Come possiamo renderla salubre? Possiamo imparare dalle tradizioni africane anche se cerchiamo nuove vie che possano essere rivolte adeguatamente all’attuale generazione di africani?

 

Desidero dare al perdono un accento particolare. Gesù ha sottolineato la sua importanza nell’unica preghiera attribuita al suo insegnamento “Padre Nostro … perdona i nostri peccati come noi perdoniamo coloro che ci hanno fatto torto…”. Se vogliamo essere perdonati dobbiamo perdonare. Gesù ci ha dato il potere di perdonare i peccati altrui. E’ un compito difficile ma è nel nostro potere. Gesù ci ha detto di regolarlo con il nostro nemico prima che questo ci porti in tribunale.

 

Perdonare e d’essere perdonati. Nelle nostre comunità di vita religiosa e nella leadership della Chiesa possiamo giocare spesso al perdono come un modo di vivere. Pensiamo di non avere nemici perché ciò che succede in mezzo a noi non è una guerra. E’ questa forse la ragione per cui non diamo molta importanza al perdono come modo di vivere per coloro che evangelizziamo? Di fatto i conflitti in Africa continuano a coglierci di sorpresa. Anche dopo il Ruanda e il Congo le altre nazioni africane hanno continuato come se nulla fosse accaduto finché non è successo di nuovo in Kenya. Non eravamo preparati a prevenire il fatto e stiamo ancora lottando per vedere cosa fare per guarirne le ferite e prevenire conflitti futuri di simile portata.

 

Cosa facciamo con le nostre “piccolo guerre”, frutto di emozioni mal gestite come la rabbia e la gelosia, complessi di inferiorità/superiorità, spirito di competizione, pregiudizi, le nostre diverse interpretazioni della verità ecc.? Gesù parlava del cuore come la ragione di tutti i mali. Che genere di attenzione stiamo dando nella nostra Catechesi al cuore?

 

Le case di formazione degli operatori di evangelizzazione devono includere il cuore nei programmi di formazione. Dobbiamo insegnare a coloro che sono in formazione di riconoscere la verità dei movimenti del loro cuore e delle azioni che ne conseguono, di far sì che le confrontino con valori cristiani che desiderano abbracciare. Dobbiamo spingerli a prendersi la responsabilità delle loro azioni senza proteggerli. La verità li renderà liberi. Dobbiamo insegnar loro di non considerare la realtà come giusta o sbagliata. Coloro che sono in formazione temono di essere considerati sbagliati, in difetto, per paura di essere mandati via. Dobbiamo insegnar loro che non succederà nulla se non ce la fanno o se sbagliano: la misericordia e il perdono sono disponibili. Dobbiamo insegnar loro di chiedere e di concedere perdono; di concederlo anche quando non è stato richiesto. Devono imparare a perdonare, rinunciando al loro diritto di farla pagare o di aver ragione e persino il loro diritto al risentimento e alla rabbia. Dobbiamo creare un’atmosfera di misericordia e di perdono – debellare la paura della punizione e incoraggiare il fare e il non fare spinto dall’amore.

 

Accettando di aver sbagliato e riconoscendolo verbalmente ad un altro che lo accetta senza giudicare e ti rispetta dopo aver saputo di te, crea un’atmosfera di amore incondizionato, qualcosa di simile a quello che trovò il figliol prodigo quando tornò a casa dopo aver sperperato i risparmi di suo padre. Come Chiesa abbiamo innalzato, e troppo a lungo, la “perfezione” a norma. E’ una menzogna! Nessuno di noi è perfetto. Possiamo commettere degli sbagli e solo questo già ci deve rendere umili di fronte agli errori altrui. Questo atteggiamento attutisce il nostro giudizio sull’errore o omissione altrui.

 

Nei recenti conflitti in Congo, Burundi, Ruanda e Kenya il dibattito etnico è giunto fino alle comunità religiose. Molte delle nostre comunità sono multiculturali e multi-etniche. Mi ricordo un’intervista in cui veniva rivolta la domanda ai candidati di un programma di formazione: in che modo i conflitti etnici hanno influenzato la tua vita in comunità? Come aiuteresti un candidato di una tribù ad integrarsi con altri i cui parenti hanno ferito e cacciato il suo popolo? O con quelli che il suo popolo ha cacciato? Alcuni hanno negato l’esistenza di qualsiasi animosità fra le varie tribù di cui è composta la comunità. Eppure sappiamo che ci sono dei problemi nelle comunità religiose ogni volta che ci sono degli scontri tribali. Ho conosciuto delle Sorelle che avevano paura a restare nelle loro congregazioni per paura delle rappresaglie delle SorelIe della tribù opposta. Cosa stanno facendo le nostre comunità per la questione etnica?

 

Imparare a perdonare e a ricevere perdono nel nostro rapporto quotidiano con gli altri e come comunità è un passo avanti. La Chiesa Africana è chiamata come lo era la prima Comunità Cristiana a imparare ad accettare le differenze in modo che ogni gruppo etnico possa veramente dire che è a casa nella Chiesa e che viviamo insieme riuscendo a gestire le nostre differenze senza combatterci e distruggerci l’un l’altro. La Chiesa in Africa ha un vantaggio nella mediazione delle differenze in quanto essa lavora con tutte le tribù e tutti I popoli.

 

 

Avvicinare coloro che feriscono

Ci sono molti discorsi, energie e soldi investiti nel consegnare alla giustizia chi ha causato così tanta sofferenze umana e la distruzione nelle strutture sociali ed ambientali in Africa. Questo è giusto. Che la giustizia faccia il suo corso.

Ma dopo che siamo stati in tribunale e abbiamo ottenuto giustizia; dopo che abbiamo punito coloro che sono stati giudicati colpevoli, le nostre coscienze sono pulite? Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare? Cosa faremo della nostra colpa collettiva?

 

Quindi, andiamo in tribunale, troviamo gli accusati ma per favore non rallegriamoci del fatto che giustizia sia stata fatta. Mentre andiamo al tribunale e quando ne torniamo ci resta ancora molto da fare.

 

Guardiamo le facce di coloro che sono stati feriti o distrutti spiritualmente e psicologicamente. Guardiamo le ferite aperte e guariamole. Le ferrite fisiche guariscono facilmente e rapidamente. Ma non quelle psicologiche e spirituali. Esse rimangono latenti sotto le cicatrici. Perché il cuore guarisca ci vuole tempo. Il cuore non guarisce con la giustizia. Coloro che sono stati feriti, e anche molto gravemente, hanno bisogno di sfogarsi con qualcuno disponibile ad ascoltare i dolori e gli orrori che hanno vissuto. Essi hanno bisogno di estrinsecare le loro paure, la loro rabbia, le loro perdite, la loro vergogna e senso di colpa.

 

Quando guardi l’Africa e pensi ai bambini-soldati o ai bambini che si prostituiscono, come si ridà loro la loro innocenza; come togli loro la loro vergogna e senso di colpa. Qualcuno li ha trasformati in strumenti di distruzione e questo li perseguita nel sonno.

 

Si pensi ai giovani che non vedono un futuro davanti a sé. Come ridiamo loro la fiducia nella vita? Altri hanno dato loro delle droghe perché potessero eseguire gli orrori che hanno poi commesso: che cosa daremo loro per portare la pace al cuore turbato e per aiutarli a tener conto dei loro sensi di colpa?

 

Come possiamo portare la pace e la fiducia nei cuori delle molte vedove e degli orfani che hanno perso i loro cari nelle guerre per il potere politico e/o economico? In che modo daremo fiducia alle donne e agli uomini che sono stati violentati?

 

Come riconciliamo le persone usate come strumento per uccidersi fra di loro e spinte a considerarsi fra di loro nemiche? Come possiamo fermare questa follia ?

 

Le risorse naturali, come le foreste ed i minerali, sono state distrutte in una guerra di ingordigia. Di conseguenza abbiamo la desertificazione che rende il clima africano ostile all’abitazione umana. In che modo porteremo il perdono e la riconciliazione anche qui?

 

Non dobbiamo dimenticare che i colpevoli hanno il diritto al servizio che la Chiesa desidera dare all’Africa: anche loro sono stati feriti così come essi hanno ferito altri. Anche loro sono figli di Dio e devono tornare a Cristo il Buon Pastore.

 

Questo e molto di più deve affrontare la Chiesa se si tratta di essere al servizio della riconciliazione nella nostra Africa ferita. La Chiesa, come il suo Maestro, deve caricarsi della situazione secondo la missione attribuitale dallo stesso Gesù (Matteo 9-10). Questo è ciò che ha fatto Gesù. Egli ha incontrato la gente ferita, sia come gruppo che come individui. Ha guarito i suoi mali, ha cacciato gli spiriti del male in mezzo al popolo. Gli ha dato speranza. Lo ha fatto sentire voluto da Dio. Gli ha fatto sapere che Dio, il Padre prodigo, li stava aspettando perché tornassero da lui e dagli uni presso gli altri.

 

La Chiesa può usare la conoscenza delle scienze sociali sanitarie e psicologiche per contribuire a guarire le ferite del popolo. La Chiesa può utilizzare ciò che le culture africane hanno usato per molto tempo per guarire ferite spirituali e psicologiche sia dell’individuo che delle comunità. La Chiesa può usare il potere datole da Dio tramite Gesù per guarire coloro che vengono feriti. La Chiesa deve tornare a credere che le è stato dato il potere di guarire e di espellere gli spiriti del male. La Chiesa lo deve all’Africa. Che essa usi quanto possiede come Chiesa di Gesù Cristo, che usi quanto l’Africa già possiede e ove ciò non fosse sufficiente che lo chieda in prestito ai vicini come siamo soliti fare nelle nostre culture africane.

 

 

 

Conclusione

 La grazia edifica sulla natura e la natura si può ribellare al nostro vantaggio quando proviamo difficoltà come si vivono in guerra e in altre esperienze traumatiche e violente. Siamo inorriditi dalle profondità in cui possiamo regredire in situazioni di violenza e di vendetta. Questo orrore può paralizzarci a meno che la nostra relazione con Dio non ci dia una mano a superare il risentimento, il bisogno di vendetta, odio, rabbia e paura, perché Dio possa perdonare e guarire attraverso di noi. Solo allora possiamo andare ad insegnare ad altri come vivere una spiritualità di perdono e di riconciliazione (IL # 54). La Chiesa in Africa ha accolto la sfida di fare proprio questo: diventare ministri di riconciliazione (IL #s 42-43).

 

La Chiesa ha molti operatori di evangelizzazione a sua disposizione. Essi devono essere formati per realizzare il processo del perdono e della riconciliazione. Ma questo dovrebbe servire prima e soprattutto per loro stessi in modo che con la personale esperienza dei benefici di una vita riconciliata essi possono essere strumenti credibili di riconciliazione per gli altri. Tale processo di formazione deve includere dirigenti come vescovi, sacerdoti parrocchiali, direttori di seminari, rettori e presidi delle nostre università e scuole, centri catechetici come anche case di formazione dei religiosi ecc. Sono da includere ugualmente coloro che lavorano nei servizi che la Chiesa offre al popolo.

 

Queste risorse umane possono quindi essere utilizzate per lavorare con:

  • Gruppi pilota per formare successivamente un team di coordinamento proveniente dalle varie diocesi

  • Gruppi finalizzati come professionisti cristiani, gruppi d’interesse, politici cattolici, professionisti di altre fedi che devono essere coinvolti se deve avvenire la riconciliazione, ecc. I giovani sono un gruppo prioritario!

  • Gruppi di base cristiani e di altre fedi, a livello nazionale ed internazionale

  • Scambi di programmi fra le varie diocesi, fra nazioni e fra fedi

 

La Chiesa in Africa non può svolgere il compito che ha intrapreso da sola. Già dialoga con altri: è un dialogo ecumenico, interreligioso con l’Islam e le religioni tradizionali dell’Africa. Ciò è un bene notevole. La Chiesa Cattolica può invitare questi gruppi ad unirsi a lei per trovare un modo per dare luogo al perdono e la riconciliazione.

 

Quello che propongo è la mobilitazione di tutte le nostre risorse per garantire che il maggior numero possibile di persone faccia parte di questo processo di perdono e di riconciliazione come un modo di vivere.

 

_____________________________

 

 

Domande su cui riflettere

 

  • La parentela è molto importante in tutte le culture africane: quando ci incontriamo cerchiamo sempre di capire come siamo imparentati. Prima del Cristianesimo i sistemi tribali formavano la nostra identità e imponevano le regole delle relazioni fra noi e coloro che si trovavano fuori della relazione tribale. Tali sistemi regolavano la nostra organizzazione e la nostra unità. Che cosa ci tiene insieme oggi? Può il Cristianesimo darci un senso di appartenenza l’un l’altro, una parentela che va oltre il confine della tribù o della Chiesa?

  • La questione dell’etnicità ha avuto il sopravvento nella tua comunità? Come te ne occupi? Se avesse avuto il sopravvento, sei pronto ad occupartene?

  • Come hai messo in rilievo la questione dell’etnicità nei tuoi programmi di formazione?

  • Nei conflitti etnici avvenuti recentemente, da che parte stavi? Sei sicuro che le cose erano così come le vedevi tu?

  • I missionari in Africa non sono immuni dall’influenza dell’etnicità e delle differenze tribali. Quale parte hai abitualmente preso quando sono scoppiati dei conflitti?

  • Le nostre comunità di occupano apertamente di conflitti? Come individui e come comunità?

  • Gli operatori economici e politici (specialmente questi ultimi) si organizzano per mobilitare intere regioni in sostegno alla loro causa. Quali strategie usano? Possiamo imparare qualcosa da loro per utilizzarle in questo impegno?

 

1 Tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Bibbia Africana - Il Testo Biblico della Nuova Bibbia Americana. Edizioni Paoline, Africa, Nairobi, Kenya, 1999

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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16-07-2024 Missione Oggi

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Prima di tutto vogliamo essere grati a Dio, alla Chiesa e ai Missionari della Consolata; la gratitudine è la nostra...

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Una regione del Paese africano alla mercé della guerriglia islamista C’era ottimismo a Maputo, la capitale mozambicana. La guerriglia a Cabo...

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15-07-2024 Missione Oggi

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La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

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I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

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