LE SFIDE PRINCIPALI PER GLI ISTITUTI INTERNAZIONALI DELLE MISSIONI NELL’AFRICA DI OGGI NELL’AMBITO DEL SECONDO SINODO PER L’AFRICA

Published in Missione Oggi

di Michael McCabe SMA

 

 

SEMINARIO RESIDENZIALE SEDOS 2010

Introduzione

Pur restando in linea con il primo Sinodo per l’Africa del 1994 e con la sua tematica sull’evangelizzazione, il punto centrale del Secondo Sinodo è stato la dimensione ad extra della missione della Chiesa, il suo ruolo profetico nella società. Ciò è chiaramente evidenziato nel suo titolo completo: “La Chiesa in Africa al Servizio della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace: ‘Voi siete il sale della Terra ... voi siete la luce del Mondo’ (Mt 5:13,14).” Il Sinodo ha quindi confermato con vigore l’affermazione chiave del Sinodo del 1971 sulla Giustizia nel Mondo, per cui la promozione della riconciliazione, della giustizia e della pace non è una scelta supplementare ma una dimensione integrale della missione di evangelizzazione della Chiesa. Come enuncia la recente Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione è semplicemente l’espressione sociale della testimonianza da parte della Chiesa dell’amore.1 Nello stesso tempo, il Sinodo non pretende che la Chiesa potrebbe o dovrebbe fornire una risposta a tutti i malesseri politici, economici e sociali dell’Africa. La sua preoccupazione è volta piuttosto a come la Chiesa in Africa potrebbe diventare un fattore di trasformazione più autentico ed efficace (‘sale’ e luce) nella situazione attuale.2 Sono convinto che gli istituti missionari internazionali abbiano un importante e vitale ruolo da esercitare nell’aiutare la Chiesa africana a diventare un elemento più efficace di cambiamento sociale nell’Africa contemporanea. In questa relazione intendo mettere in luce una serie di sfide fondamentali menzionate dal Sinodo che gli istituti dovrebbero accogliere. Innanzitutto una parola in generale sulla lettura del Sinodo dell’attuale situazione dell’Africa.


Ottimismo stemperato da Realismo

Il Sinodo ha notato la crescente influenza dell’Africa sulla Chiesa universale. In poco più di un secolo la popolazione cattolica dell’Africa è cresciuta da 2 a 165 milioni. Non si tratta di un continente al buio (come annota un libro3 pubblicato qualche anno fa da P. Fritz Stenger, Mafr) ma di un continente caratterizzato da un giovanile spirito ottimistico con una nuova generazione di leader laici, religiosi e spirituali determinati a fare della Chiesa Africana sempre più un oggetto della storia, da una Chiesa che assume un ruolo sempre più primario nella missione della Chiesa (Messaggio 12). Nello stesso tempo i delegati del Sinodo erano coscienti del fatto che la Chiesa in Africa, pur crescendo in quantità ed in vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie, non ha il tipo di impatto sulla società che dovrebbe avere. Come uno dei delegati, l’Arcivescovo Palmer-Buckle del Ghana, ha affermato in un’intervista al National Catholic Reporter: “La Chiesa non ha trasformato né la società né se stessa... Dove c’è stata corruzione, sono stati coinvolti dei cattolici e dove c’è stata violenza, fra coloro che l’hanno istigata vi sono stati dei cattolici” (14 ottobre 2009).

Senza farci sommergere dal pessimismo, il Messaggio Conclusivo del Sinodo descrive un’immagine inquietante ma presumibilmente realistica dello stato attuale dell’Africa odierna. Pur essendo “ricca in risorse umane e naturali, molti del nostro popolo sono lasciati a dibattersi nella povertà e nella miseria, in guerre e conflitti, fra crisi e nel caos”. Questi mali, secondo il Sinodo, sono il risultato soprattutto di “decisioni e attività umane di persone che non hanno nessuna considerazione per il bene comune e questo spesso per tragica complicità e cospirazione criminale tra leader locali e interessi stranieri” (Messaggio, no. 5). La risposta appropriata a questi mali non è però la disperazione ma un sempre più grande e più concertato impegno da parte della Chiesa-Famiglia di Dio nei confronti di coloro che sono privati della libertà e della pace, di coloro la cui dignità di persona è violata, di coloro che “soffrono la povertà, le malattie, l’ingiustizia le guerre, la violenza e la migrazione forzata.” Nella sua omelia nel corso della celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo, Papa Benedetto ha chiamato la Chiesa a diventare “una comunità di persone riconciliate, operatori di giustizia e di pace, sale e luce in mezzo alla società di uomini e nazioni – e quindi un lievito potente di riconciliazione in ogni paese”. Il Papa ha espresso quindi con queste parole la sfida fondamentale del Sinodo nei confronti della Chiesa Africana, e cioè quella di testimoniare e di promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace nel continente. Per raccogliere questa sfida, la Chiesa africana deve incominciare a mettere ordine nella propria casa e utilizzare le sue considerevoli strutture in modo più concertato e collaborativo. Ritengo che sia la prima sfida del Sinodo.


  1. Maggiore Unità e Solidarietà nella Chiesa africana

Uno dei motivi della mancata realizzazione della Chiesa africana del suo potenziale come operatore di trasformazione della società africana nel suo insieme è la sua mancanza di unità, la sua mancata corrispondenza alla sua definizione di ‘Famiglia-di-Dio’. Il Sinodo ha spiegato che la Chiesa africana stessa deve essere modificata se vuole essere un catalizzatore efficace nella trasformazione della società. Può la Chiesa effettuare dei cambiamenti nella società? Sì, essa può, è stata la chiara affermazione del Sinodo, ma solo se i suoi membri collaborano efficacemente. “Un esercito di formiche ben organizzate può abbattere un elefante” (Messaggio 15). Tutti i membri della Chiesa - sacerdoti, religiosi e laici credenti – devono essere mobilitati per lavorare insieme nell’unità che dà forza” (Ibid.).

Proposta 3, mettere l’accento sul modello della Chiesa come comunione, fare appello ai vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici “di incrementare ulteriormente la loro cooperazione ai livelli diocesani, nazionali, continentali e intercontinentali”. Il Sinodo chiama i vescovi a far sì che le loro diocesi siano “modelli di buon governo, di trasparenza e di buona gestione finanziaria” (Messaggio 19) e a “mettere le questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace in alto nell’agenda pastorale” delle loro diocesi. Rivolgendosi ai sacerdoti, il Sinodo li esorta a dare un esempio di unità “vivendo insieme in pace oltre i confini tribali e razziali” e a “accogliere in letizia qualunque vescovo la Santa Sede nomini [per loro], senza tener conto del luogo di nascita” (Messaggio 20). Rivolgendosi ai religiosi, il Sinodo li esorta a “ dare la massima efficacia al [loro] apostolato tramite una comunione leale e convinta con la gerarchia locale” (Messaggio 21). Mi domando se in questa dichiarazione sia implicita una critica degli istituti religiosi e missionari. Sicuramente questi istituti hanno avuto un ruolo preponderante nella fondazione e l’edificazione della Chiesa in Africa. Ma dovremmo porci la domanda se si sia o no sviluppata negli ultimi anni una tendenza degli istituti missionari a distanziarsi dalla chiesa locale ed a perseguire le proprie finalità ed i propri obiettivi. Pur restando fedeli ai loro carismi specifici, ci sono dei modi in cui questi istituti potrebbero contribuire e a collaborare più efficacemente con la Chiesa locale?

Il Sinodo sottolinea altresì la necessità di rafforzare le istituzioni di solidarietà essenziale in Africa, come lo SCEAM (Il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar) e la ‘Confederazione delle Conferenze dei Superiori/e Maggiori dell’Africa e Madagascar (COSMAM)” e di sviluppare ulteriormente organismi di collaborazione e di supporto intercontinentale. La proposta no. 4 esorta i vescovi africani “a dar nuova vita alle strutture di comunione ecclesiale esistenti” e di promuovere altre strutture quali un direttivo continentale per il clero, uno per i laici e uno per le donne cattoliche.” Gli istituti missionari internazionali devono essere sicuramente coinvolti nella risposta a questa sfida, dato che hanno una lunga esperienza nella creazione e nella gestione di organismi efficaci di dialogo e di collaborazione a livello continentale e intercontinentale.


  1. Globalizzazione

Una seconda sfida messa in evidenza dal Sinodo riguarda l’impatto del fenomeno della globalizzazione sull’Africa di oggi. La globalizzazione non è una cosa nuova in quel continente. Tuttavia, nei quindici anni intercorsi fra il primo e il secondo Sinodo africano, il suo impatto sull’Africa è diventato sempre più evidente. Il Sinodo è stato tanto prudente da non condannare l’intero processo della globalizzazione (Proposta 31). Ribadendo Caritas in Veritate, il Sinodo ha rifiutato di considerare la globalizzazione in termini fatalistici ‘come se fosse il prodotto di forze anonime e impersonali o di strutture indipendenti dalla volontà umana’ (CV 42). Per se stessa, la globalizzazione non è né buona né cattiva. Si tratta di un processo dinamico che è in nostro potere formare e gestire. Ne siamo protagonisti e non vittime. La globalizzazione può essere usata, per esempio, per estendere a tutti i benefici di un capitalismo socialmente responsabile e di una scienza e di una tecnologia più umana. Una simile globalizzazione di solidarietà potrebbe essere oltremodo auspicabile. E’ possibile ‘dirigere la globalizzazione dell’umanità in termini relazionali, in termini di comunione e di condivisione di beni’ come Caritas in Veritate ha indicato (CV 42).

Sfortunatamente il processo di globalizzazione, così come è sperimentato oggi, è usato per promuovere un capitalismo liberale (o come lo ha definito Papa Giovanni Paolo II “capitalismo selvaggio”) che procura benefici ai ricchi a spese dei poveri ed una tecnologia materialistica, che sfrutta e distrugge la natura. E’ questa forma di globalizzazione che il Sinodo stigmatizza. L’attore principale sulle scene mondiali attuali è il libero mercato. Il globo è considerato come un unico mercato diretto dalle motivazioni di profitto di imprese private che non conoscono né confini nazionali né lealtà locali.

Michael Amaladoss, il noto teologo indiano, dipinge un quadro inquietante degli abusi perpetrati da questa forma di globalizzazione:

I ricchi capitalisti hanno ora da giocare su un terreno di mercato globale. Le facilitazioni di massa e le comunicazioni veloci vengono utilizzate per incrementare i profitti cercando lavoro a basso costo nei paesi poveri. I mercati internazionali sono valutati in favore delle nazioni ricche che li controllano. Il settore commerciale e dei servizi sono favoriti mentre i beni primari attraggono sempre di più prezzi più bassi. La gente che parla eloquentemente di diritti di proprietà intellettuale ignora i diritti naturali e umani. Le multinazionali sono più potenti di tante nazioni. Dovunque vi sono dei politici al servizio degli interessi economici. Le nazioni più ricche usano il loro potere politico e militare, anche oltre i propri confini, per favorire e proteggere i propri interessi economici. … Quello che arriva a noi non è la globalizzazione del benessere e dell’abbondanza, ma quella della povertà e dell’ingiustizia.4

Il quadro fatto da Amaladoss trova eco nel Messaggio e nelle Proposte Conclusive del Sinodo che pongono l’attenzione sui problemi e le conseguenti sfide che scaturiscono da una globalizzazione incontrollata del capitalismo liberale: l’ingiusto ordine economico mondiale che avvantaggia i ricchi a spese dei poveri (Messaggio 32); la distruzione criminale dell’ambiente da parte di avide multinazionali (Messaggio 33); l’ “etica globale nuova” proposta dalle Nazioni Unite, la Banca Mondiale e il FMI che con la scusa della “cultura moderna” sta minando i valori africani tradizionali (Messaggio 24 – 25).

Sotto la rubrica dell’influenza dell’impatto della “cultura moderna” in Africa, sono state criticate dal Sinodo anche le agenzie di assistenza occidentali. Pur apprezzando il buon lavoro che molte di queste agenzie svolgono nella lotta alla povertà, promuovendo lo sviluppo, difendendo i diritti di donne e bambini, e combattendo malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi, i vescovi hanno denunciato “tentativi surrettizi di distruggere e minare i preziosi valori africani della famiglia e della vita umana” (Messaggio 30). Essi hanno espresso la loro particolare preoccupazione in merito all’articolo 14/2c del Protocollo di Maputo che dichiara solennemente di “proteggere i diritti riproduttivi delle donne autorizzando l’aborto medico in caso di maltrattamenti sessuali, violenza, incesto, e dove la continuazione della gravidanza mette in pericolo la salute mentale e fisica della madre o la vita della madre o del feto.”

Come possono gli istituti missionari internazionali aiutare la Chiesa africana a contrastare gli effetti negativi della globalizzazione in Africa? Vorrei affermare che questi istituti stanno già facendo molto sia a livello locale che internazionale per promuovere i valori africani e sfidano le ingiustizie delI’ordine economico mondiale. A livello locale sono stati in prima linea negli sforzi a preservare i valori delle culture africane e a radicare il Vangelo nella cultura dell’ Africa. E’ evidente che non possono farlo da soli e vorrei suggerire che la sfida oggi è quella di intensificare il loro dialogo con la Chiesa locale (principale operatore di inculturazione) su come gli istituti possono continuare al meglio questa loro opera.

Sul fronte internazionale, per oltre un quarto di secolo più di quaranta istituti missionari e religiosi operanti in Africa sono stati impegnati in un ministero congiunto di sostegno e di influenza presso i centri internazionali del potere economico dove vengono decise le linee di condotta che influenzano la vita di milioni di africani. Mi riferisco particolarmente al lavoro della Rete Africana di Fede e Giustizia e Vivat Internazionale, ma ve ne sono altri.

La preoccupazione particolare di queste reti è quella di mettere in evidenza aspetti di ingiustizia strutturale radicata nella politica europea e statunitense che colpiscono negativamente l’Africa, specialmente nel settore dell’economia. I membri di queste reti si rafforzano l’un l’altro per esercitare un’influenza su coloro che prendono decisioni politiche a livello nazionale e sui centri internazionali di potere economico, in modo da influenzare le decisioni prese dall’Unione Europea e dal Congresso degli Stati Uniti in favore dell’Africa. Sono convinto che tali network possono essere utili all’Africa solo se c’è anche un contributo significativo non solo dai missionari e religiosi attivi in Africa ma anche dalle Chiese locali africane. E’ necessario stabilire dei legami più limpidi, radicali e stabili fra questi network e l’Africa. Una cooperazione più stretta fra le congregazioni membri di questi network e le Chiese locali africane migliorare l’efficacia del loro lavoro di sostegno.

  1. Dare Priorità al Perdono e alla Riconciliazione nella lotta per la Giustizia e per la Pace

Durante alcuni decenni, la Giustizia e la Pace sono stati punti importanti nell’agenda di praticamente tutti gli istituti missionari e religiosi internazionali operanti in Africa. Penso che siamo abituati a considerare la giustizia come un requisito primario per il perdono, la riconciliazione e la pace. Comunque, il Secondo Sinodo Africano sembra dare priorità al perdono, alla remissione e alla riconciliazione rispetto alla giustizia. La giustizia, secondo i vescovi, è il frutto del perdono e della riconciliazione piuttosto che il contrario. La Proposta 14 elabora la base teologica di questa asserzione come segue: “Dio perdona il peccatore guardando oltre i suoi peccati o una persona perdona il proprio offensore giustificando i suoi errori. E poiché Dio ci ha giustificato perdonando i nostri peccati, in modo da riconciliarci con lui, anche noi possiamo elaborare delle relazioni e delle strutture giuste fra noi stessi e nelle nostre società, perdonando e guardando oltre gli errori delle persone con l’amore e la misericordia. Come potremmo vivere diversamente in comunità e comunione?”

Il Messaggio del Sinodo ci dice che, nel processo di riconciliazione “la virtù del perdono è cruciale, anche prima dell’ammissione di colpa. Coloro che affermano che il perdono non fa effetto dovrebbero tentare la vendetta e vedere. Il vero perdono promuove la giustizia della penitenza e della riparazione, conducendo ad una pace che va alla radice del conflitto, rendendo amici, fratelli e sorelle chi prima era vittima e nemico” (Messaggio 8).

Questa priorità del perdono e della riconciliazione sulla giustizia ha senso solo dalla prospettiva della fede. Un approccio umanistico terreno tenderebbe sempre ad attribuire priorità alla giustizia. Tuttavia il punto di vista cristiano è unico. Il suo approccio alla soluzione di conflitti e alla costruzione della pace poggia su una spiritualità della riconciliazione basata sull’iniziativa di Dio: “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione... Così fungiamo da ambasciatori per Cristo” (2 Cor 5:19, 20).

Non tutti i teologi africani sono convinti di questo ragionamento. Il noto teologo tanzaniano Laurenti Magesa insiste sul fatto che nel processo di riconciliazione è alla giustizia che va data priorità.5 “Nel porre la riconciliazione alla base del processo di giustizia e di pace”, egli afferma, “pare rendere superfluo il più essenziale aspetto della giustizia come requisito fondamentale sia della riconciliazione e della pace.”6 Per Magesa, la giustizia dovrebbe essere il punto di partenza e l’obiettivo del processo di riconciliazione. Altrimenti, dice, finiamo nel genere di processo superficiale in cui, dal suo punto di vista, si è impegnata la Commissione Sudafricana per la Verità e la Riconciliazione (CVR): “Poiché il principio di base della giustizia era tenuto deliberatamente sullo sfondo per paura che il processo fosse messo in pericolo, non si può dire che la CVR abbia raggiunto lo scopo finale di un Sud Africa riconciliato. Qualunque altra causa possa essere addotta per l’attuale ribollire di risentimento in quella nazione, esso è dovuto in primo luogo a questo errore. La brutta punta di xenofobia notata qui è solo un’estensione di quella realtà.”7

Comunque sia, anche se il processo della CVR sudafricana non ha avuto un successo completo, non ha in fondo evitato il tipo di strage orrenda che è stata una caratteristica, anche troppo comune, di conflitti in Africa? Non sappiamo proprio cosa sarebbe potuto accadere se non ci fosse stato Nelson Mandela, il vescovo Tutu e la Commissione Verità e Riconciliazione. Tuttavia, vi è una certa validità nel ragionamento di Magesa. La lotta per la giustizia deve essere sempre una componente e una parte del processo di riconciliazione e di costruzione della pace. Se si trascura la giustizia, non finiremmo in una cultura di impunità invece che in una cultura di riconciliazione? Nel contempo, è sicuramente dubbioso che potremo mai stabilire una giustizia perfetta su questa terra. Non è presumibile che una lotta per la giustizia che non sia collocata in un contesto di un’etica più elevata che include virtù come la misericordia, il perdono e la compassione, possa facilmente degenerare in una preoccupazione fanatica per la riabilitazione di errori, che sembrerebbe più perpetrare che trasformare il conflitto? Robert Mudida, un docente keniano di Soluzione di Conflitti e Costruzione di Pace presso lo Hekima College a Nairobi, puntualizza che una giustizia non motivata da amore e stemperata da misericordia e compassione non porta a una pace duratura. Nello scrivere del contributo unico della Chiesa nella costruzione della pace, egli cita A. Tarimo e P. Manuela come segue:

Dal punto di vista psicologico e religioso, il perdono trasforma la vittima, il colpevole e gli altri membri della società. Il pentimento personale e il perdono, unito ad una pubblica esposizione della verità completano il processo di riconciliazione. L’approccio è costruttivo, dato che le vittime consumate dall’odio e dal desiderio di vendetta non possono edificare una società sana. Questo perché le loro energie e risorse sono usate per progettare vendetta. Il processo tramite il quale si apprende a superare il dolore ed il risentimento crea degli scopi da perseguire. Dalla parte della vittima, il processo coltiva la compassione e riconosce lo sforzo di pentimento dimostrato dal colpevole. Il coraggio del perdono richiede un sacrificio personale che non può essere imposto d’autorità.8

Riconosciute le notevoli risorse della misericordia e della compassione che la Chiesa arreca al processo di riconciliazione e di costruzione della pace, è tuttavia necessario che la Chiesa, insieme ad altri gruppi, possa continuare a promuovere una pace sempre più ampia nella società nel suo insieme. In questo senso, i principi e le linee guida del Compendio della Dottrina Sociale Cattolica hanno particolare valore ma, come mostra Mudida, essi saranno più efficaci usati nel contesto africano “se sono considerati allo scopo di rafforzare le nozioni tradizionali africane di giustizia” e legati al principio guida di ubuntu” che è alla base della filosofia sociale africana.9

Qui c’è sicuramente una sfida per la quale le congregazioni religiose e missionarie internazionali sono virtualmente attrezzate. Le divisioni etniche, tribali e regionali affliggono ancora molte zone del continente africano e sono il principale ostacolo allo sviluppo dei suoi popoli. Oltretutto, come il Sinodo ha riconosciuto, tali divisioni sono evidenti persino in alcune comunità ecclesiastiche africane. Questo contesto rende la testimonianza delle comunità missionarie e religiose particolarmente rilevanti e urgenti.10 Esse rappresentano persone (incluso molti africani) provenienti da un retroterra etnico, culturale e linguistico molto diversificato, le quali lasciano il proprio paese per costruire una casa in mezzo a stranieri. Essi si impegnano ad imparare nuove lingue, a mangiare il cibo locale, richiudendosi in una rete di altri modi di essere persone umane. Forse in maniera più significativa, essi abbracciano un’ampia serie di differenze culturali e etniche nell’ambito delle loro comunità quando vivono e lavorano insieme al servizio del Vangelo. Quindi, proprio con la loro esistenza, queste comunità danno una testimonianza chiara e profetica di quello che Timothy Radcliffe chiama “la vasta casa di Dio, l’ampia disponibilità del Regno a cui tutti possono appartenere ed essere a proprio agio.”11 La loro presenza proclama la verità del Vangelo che Dio non ha favoriti, che siamo tutti figli suoi e che il nostro destino comune è quello di essere una sola famiglia in Lui, e questa è l’unico fondamento sicuro e duraturo per un’umanità riconciliata.


  1. Rafforzamento delle Donne: Dalla Lode all’Impegno

Questa quarta sfida fondamentale si evince dal chiaro riconoscimento del Sinodo del ruolo vitale delle donne nella Chiesa e nella società africana, ed il suo impegno a dar loro una maggiore influenza nella gestione della Chiesa. Alcune religiose sono state invitate a prendere la parola al Sinodo ed esse si sono espresse strenuamente per un ruolo più grande nel processo della formazione decisionale della Chiesa. Una suora dello Zambia, Mary Ann Katiti, Superiore Provinciale delle suore Kasisi, ha dichiarato che “le donne non hanno realmente voce quando si tratta della loro collocazione e dei loro diritti e del loro contributo all’evangelizzazione”.12 L’intervento di una suora congolese ha evidenziato il fatto che le donne in Africa portano sulle proprie spalle una parte sproporzionata del peso derivante dalle varie crisi che affliggono oggi l’Africa- dalla povertà alla malattia, alla violenza ed alla disintegrazione sociale.

Sembrerebbe che il Sinodo abbia risposto alle richieste delle religiose. Il suo Messaggio Conclusivo riconosce “il contributo specifico delle donne, non solo in casa come mogli e madri, ma anche nel contesto sociale” e ha raccomandato che le Chiese locali in Africa “mettano in pratica delle strutture concrete per garantire la reale partecipazione delle donne a livelli appropriati.” La Proposta 47 impegna la Chiesa ad “una maggiore integrazione delle donne nelle strutture e nel processo della formazione decisionale della Chiesa”. Ci sono ora dei segnali che una nuova sensibilità nei confronti delle questioni femminili possa emergere nella Chiesa africana, ma c’è ancora parecchia strada da percorrere. Vorrei proporre che gli istituti missionari e religiosi abbiano un ruolo più rilevante da compiere nel contribuire a sviluppare questa sensibilità embrionale. Essi possono mostrare che la via da percorrere per uomini e donne al servizio della missione della Chiesa deve essere quella della collaborazione su una base di parità. Se crediamo che lo Spirito opera sia fra uomini che donne, allora non è solo possibile ma anche necessario per le donne essere attivamente coinvolte nella politica e nella formazione decisionale a livello locale, diocesano e nazionale. Molti dei lavori svolti da donne sono apprezzabili, ma troppo limitati. Donne diventate necessarie stanno assumendo nuovi compiti nella missione, ma c’è bisogno di un’ulteriore ricognizione dal parte della Chiesa ufficiale di questa evoluzione. La vera collaborazione non significa che una persone stabilisce le finalità e l’altra esegue il compito. La collaborazione significa mettere in pratica la filosofia secondo cui qualunque cosa possa esser fatta insieme, è fatta insieme.

Per partecipare al movimento creativo dello Spirito, donne e uomini insieme devono immergersi più profondamente nella situazione del mondo. I grandi problemi dell’Africa oggi sono quelli che riguardano molto le donne: il movimento dei rifugiati, il più grande mai visto nella storia mondiale; la disoccupazione e la conseguente perdita di dignità; il problema mondiale della droga, le esigenze del consumismo ed i suoi effetti sull’ambiente nei paesi ricchi, la carestia e la malnutrizione; l’Aids e le sue conseguenze sociali, l‘abuso su donne e bambini, il dominio sulla vita di milioni di persone da parte delle corporazioni multinazionali - la lista sembra infinita. Se la Chiesa intende dare una risposta efficace a questi problemi, essa deve coinvolgere molto di più le donne nella propria gestione e nei propri piani, così come nella realizzazione di questi.


  1. Il Buon Governo e la Formazione dei Leader Africani

Pur riconoscendo gli sforzi per migliorare il governo in Africa a livello politico tramite l’Unione Africana (UA) e, a livello economico, attraverso il pannello strategico del Nuovo Partenariato Economico per lo Sviluppo Africano (NEPAD) e il Meccanismo Controllo Paritario Africano (Messaggio 34), il Sinodo ha riservato uno dei suoi attacchi più forti ai leader politici africani, descrivendo la loro prestazione, salvo alcune eccezioni, come “dolorosa” (Messaggio 36). La ragione del loro governo vergognosamente cattivo, suggerisce il Sinodo, consiste nel fatto che questi leader perseguono “l’ingordigia del potere e del lusso a spese del popolo e della nazione. Qualunque sia la responsabilità degli interessi stranieri, c’è sempre la vergognosa e tragica collusione dei leader locali” (ibid.).

A prescindere dall’impegnarsi in discussioni, cosa potrebbe fare la Chiesa per promuovere un migliore governo in Africa? La Proposta 25 fornisce la risposta. Essa dichiara che il ruolo della Chiesa è quello di “offrire ai leader presenti e futuri un’appropriata formazione dottrinale, pastorale e pratica come anche un supporto spirituale (allestendo dei cappellanati). Il Sinodo attira l’attenzione sul valore del Compendio della Dottrina Sociale Cattolica come uno strumento di questa finalità. Inoltre si appella alle Università Cattoliche per “creare delle facoltà di scienze politiche” ed a tutte le Conferenze Episcopali Africane perché “promuovano programmi multidimensionali di educazione civica; realizzino dei programmi volti a stimolare la formazione di una coscienza sociale a qualunque livello; ed incoraggino i cittadini competenti ed onesti a far parte di partiti politici”(ibid.).

Tuttavia non basta che la Chiesa attui dei programmi educativi per i leader africani presenti e futuri E’ davvero necessario che si presti più attenzione alla formazione di una coscienza sociale nei programmi educativi in Africa. La Chiesa comunque deve ugualmente fornire dei modelli del genere di leadership essa si attende dagli uomini politici e sono dell’avviso che le congregazioni internazionali religiose e missionarie possano fare molto per aiutare in questo senso la Chiesa locale. In contrasto con il modello dall’alto verso il basso che collocava il leader in una posizione sopra e svincolata dalla comunità, queste congregazioni hanno elaborato un modello di leadership avente le seguenti caratteristiche:

  • Primo, esso colloca i leader accanto piuttosto che al di sopra i membri delle loro comunità.

 

  • Secondo, esso ripudia titoli e privilegi legati in passato alle posizioni di leadership e vede le funzioni di leadership come ruolo di servizio non connesso ad alcun particolare stato.

 

  • Terzo, esso considera il potere come un processo sociale, qualcosa di essenzialmente relazionale, una qualità resa visibile nelle interazioni dei differenti membri di una comunità. Perciò non è necessario che i leader siano persone potenti. Quello che devono essere è essere capaci di rendere i membri del gruppo in grado di riconoscere la loro interdipendenza e di collaborare fra di loro, in modo da liberare il potere di trasformazione latente nel gruppo.

 

  • Quarto, mentre in passato ai leader era richiesto di pensare per le persone e di fornire loro le risposte, il compito dei leader oggi è quello di agevolare le persone a trovare le risposte da sole.

 

  • Quinto, questo tipo di leadership, mentre aspira a promuovere l’unità, è anche pronto ad accettare e persino a promuovere la diversità di talenti esistenti fra i membri della comunità.

Come risulta dall’attuale crisi (vedi il trattamento dell’abuso sessuale del clero) che colpisce la Chiesa in molte parti del mondo, il modello gerarchico della leadership della Chiesa si viene a trovare sempre di più sotto pressione. La sua incapacità di rispondere oggi adeguatamente alle esigenze e alle sfide della gente diventa sempre più evidente. I tempi sono maturi per passare ad un nuovo stile di leadership, qualcosa di simile a quello che ho indicato qui prima: uno stile di leadership che gli istituti missionari e religiosi hanno modellato per anni.


  1. Programmazione efficace

Una serie di commenti sul 13 Sinodo hanno indicato che la ragione principale del fallimento del primo Sinodo Africano è stata la sua mancanza di un chiaro piano di azione. Ciò non deve accadere di nuovo. Le proposte e le raccomandazioni di questo secondo Sinodo devono essere accompagnate da piani d’azione chiari, con obiettivi specifici, e un calendario per la loro realizzazione e valutazione. Questi piani devono anche specificare chi sarà responsabile dell’effettiva realizzazione del piano e della sua regolare valutazione. In questo senso la Chiesa africana ha sicuramente qualcosa da imparare dalla metodologia usata con apprezzabile consistenza e successo non indifferente dalle congregazioni missionarie e religiose nei loro capitoli e assemblee negli ultimi 30 anni.

Presentare un’Immagine Positiva dell’Africa agli altri Continenti

Qui c’è una sfida che il Sinodo ha più suggerito che esplicitamente menzionato. L’Africa è servita scarsamente dai mass media, che si concentrano quasi esclusivamente sulle cattive notizie, creando quindi una descrizione ampiamente accettata di un continente in uno stato permanente di crisi. Anche l’ ‘Industria dell’Assistenza’, l’alimenta fornendo stereotipi negativi e antiquati degli africani come vittime impotenti di guerre senza fine e di costanti carestie. Persino alcuni più strenui difensori dell’Africa – compresi pop star e politici – danno spesso l’impressione di essere impegnati in una missione messianica per salvare l’Africa a dispetto della sua gente.

Ma la descrizione dell’Africa come un paese di vittime disperate e infelici è un grido lontano da quell’Africa che la maggior parte dei missionari e dei religiosi hanno imparato a conoscere e a amare. Attraverso anni di esperienza di lavoro per e con i suoi popoli, siamo abituati ad un’Africa raramente menzionata nei media, l’Africa dall’immensa bellezza, l’Africa della gente comune che ci umilia con il suo stoicismo, il suo altruismo e la sua piacevole compagnia. Questa non è l’Africa di vittime impotenti, degne solo di pietà. E’ piuttosto l’Africa del canto e della danza, della risata e della festa, dell’energia, della creatività e della capacità di recupero. Il popolo d’Africa deve diventare più centrale nella descrizione dell’Africa presentata in altri continenti. Sicuramente gli istituti internazionali e missionari sono in una posizione ideale per fare esattamente questo.

_________________________________

1 Cfr. Caritas in Veritate, nr.i 5 e 6.

2 Cfr. Laurenti Magesa, “Il Secondo Sinodo Africano: Pensieri sparsi su un Processo” in Hekima Review, December 2009, No 41, pp. 32-33.

3 Cfr. L’Africa non è un Continente al Buio(Nairobi: Edizioni Paoline), 2005.

4 “Global Homogenization: Can Local Cultures Survive” in  http://www.sedos.org/english/amaladoss2.html . Accesso il 10 marzo 2010.

5 Art. cit, pag. 31.

6 Ibid.

7 Art. cit., pag. 32

8 Da A. Tarimo e P. Manuela, La Costruzione e la Gestione della Pace in Africa (Nairobi: Acton), 2007, e citato da Mudida in “Rafforzare il Ruolo della Chiesa nella Trasformazione dei Conflitti in Africa” in Hekima Review, dicembre 2009, pag. 125.

9 Mudida, art. cit., pag. 125.

10 Come ha rilevato nel suo intervento al Sinodo P. Kieran O’Reilly, Superiore Generale SMA.

11 “La Vita Religiosa dopo l’11 settembre: Quali segnali offriamo? In Passione per Cristo, Passione per l’Umanità, Edizioni Paoline, Nairobi, 2005, p. 192.

12 Peter Henriot, “Il Secondo Sinodo Africano: Sfida e Contributo per la nostra Chiesa futura”, in Hekima Review, dicembre 2009, No. 41, pag. 15.

13 Peter Henriot, art. cit, pag. 11. Vedi anche Laurenti Magesa, art. cit, pp. 35-37.


Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

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