CHIAMATA AL FUTURO E VITA RELIGIOSA: SEGNI DI SPERANZA

Published in Missione Oggi

Saluto tutti con deferenza e affetto. Ringrazio Dio per quel che siete e per ciò che significate nella Chiesa, per la vita e la missione che, come religiosi e religiose, avete ricevuto e portate avanti.

Desidero esprimere la mia riconoscenza per essere stato invitato a partecipare, come Vescovo, a questa Assemblea, convocata per parlare della vita religiosa nella Chiesa, tema di vitale importanza per noi tutti.

Io provengo dal presbiterio della diocesi di Avila e della vita religiosa posso dire quel che conosco di essa, soprattutto grazie all’esercizio del ministero episcopale in varie diocesi della Spagna: Santiago de Compostela, Palencia, Bilbao e Valladolid. Riconosco che la vita religiosa è un dono inestimabile di Dio alla Chiesa e, dalla Chiesa, all’umanità tutta. Mi sento partecipe delle vostre gioie e delle vostre sofferenze, della vostra crescita e del vostro calo di vocazioni, dei vostri timori e delle vostre speranze, dei vostri progetti e delle vostre incertezze, delle vostre prove e dei vostri momenti di purificazione. La vostra presenza e le vostre attività sono decisive per la vita e la missione della Chiesa. Se, per ipotesi, sparissero i religiosi delle diocesi che conosco, queste ultime ne risulterebbero immensamente impoverite. La vita religiosa è uno dei luoghi più sensibili della Chiesa. Per questo le crisi, nel senso più ampio del termine, - vale a dire intese come perplessità e discernimento, opportunità per l’approfondimento, cambiamento e purificazione -, hanno avuto forti ripercussioni su di essa.

In occasione della vostra Assemblea dello scorso mese di maggio avete trattato il tema della vita religiosa in Europa e delle sfide che deve affrontare oggi. In questa occasione rivolgiamo il nostro sguardo al futuro, al fine di individuare i segni di speranza e le esperienze di rinnovamento. Certamente focalizziamo la nostra attenzione sul futuro non per agire quali indovini o sognatori, bensì per scorgere le piste che ci orientano verso tale futuro e le anticipazioni che possiamo intravedere sin da ora. La riflessione sulla vita religiosa rispetto al futuro deve tenere conto delle vie aperte che si stanno già percorrendo e dei semi che stanno crescendo, dal momento che si tratta anche di prolungare il passato e il presente. D’altra parte, però, il futuro, nel suo senso più stretto, e certamente nella storia della salvezza, sorprende con novità che lo Spirito creatore e datore di vita può suscitare. Lo Spirito Santo mantiene viva, nella Chiesa, la memoria di Gesù e, al tempo stesso, la guida verso la verità tutta intera (cf Gv 14, 26; 16, 13), illuminando prospettive della Parola di Dio che erano rimaste più in penombra e irrompendo con segni di un’azione estranea ai nostri calcoli. La nostra vita, come persone, come famiglie spirituali e come Chiesa, è alla presenza di Dio, che è provvidenza e guida la storia attraverso i tratti luminosi del cammino, ma anche quando attraversiamo varchi oscuri. Affrontiamo cristianamente il futuro quando rimaniamo fedeli a ciò che abbiamo ricevuto e ci mostriamo disponibili nei confronti dei segni dello Spirito del Signore, che è il fondamento della vita religiosa dalle sue origini, così come lungo tutta la sua storia.

La vita religiosa, o meglio la vita consacrata, ha avuto, nel corso della storia della Chiesa, molte manifestazioni che, da una parte, riflettono la multiforme grazia di Dio (cf 1 Pt 4, 10) e, dall’altra, rispondono alle sfide che le varie situazioni pongono alla Chiesa e alla sua missione. Sono tante le forme storiche della vita consacrata e non smettono di apparire nuove manifestazioni, come ricorda l’esortazione apostolica Vita consecrata, che nella sua introduzione le elenca brevemente. Seppur nelle molteplici forme della vita consacrata, si tratta sempre di seguire Gesù Cristo rimanendogli particolarmente vicino, sia nello stile esterno della povertà, castità e obbedienza, che nel cuore, nella comunione della Chiesa, per testimoniare l’amore e la santità di Dio e proclamare il Vangelo, la Buona Novella della salvezza ai peccatori e ai poveri, con le parole e le opere, mettendo nelle mani di Dio l’intera propria esistenza. La vita religiosa come tale bussa forte alla porta del mondo e lo invita a prestare attenzione a Dio.

1. La vita religiosa è consacrazione a Dio

Guardando al futuro della vita religiosa, in primo luogo desidero sottolineare proprio la dimensione della riconoscenza, dell’adorazione e della dedizione a Dio, che ne costituisce il nucleo più profondo e identificativo e, al tempo stesso, ne garantisce il futuro. Dio è l’Unica cosa necessaria, “solo Dio basta” (Santa Teresa di Gesù); vivere solamente e totalmente per Lui. Non sarebbe opportuno evidenziare la rilevanza della vita religiosa attraverso alcuni compiti che essa svolge con il riconoscimento da parte della società – pur trattandosi di compiti che sono senz’altro un servizio prezioso all’umanità. “Solo Dio” (San Rafael Arnáiz) è la fonte inesauribile della vita religiosa e della sua fecondità nella storia. Il Dio creduto, conosciuto, cercato, amato e servito dalla vita religiosa è il Dio rivelato e comunicato da Gesù Cristo nello Spirito Santo. Questo Dio è Verità e Amore ed è amico degli uomini. Gesù è stato “l’uomo per gli altri”, utilizzando un’espressione molto utilizzata nei decenni passati, perché è “il Figlio di Dio” incarnato. Il centro, la sorgente, il fondamento, il nord e il senso permanente della vita religiosa è Dio Padre Nostro, Signore Gesù Cristo. Quanto più la vita religiosa affonderà le sue radici in questa terra nutritiva, tanto più sarà solida e feconda.

Solamente la forte percezione di ciò che costituisce il cuore della vita religiosa e lo sforzo umile e fedele di viverlo con chiarezza, può orientarci in questa tappa della storia della Chiesa e dell’umanità che ci è dato di vivere. L’identità della vita religiosa è la misura della sua missione e la sorgente della sua genuina rilevanza in mezzo al mondo. In una cultura, per così dire sempre più “secolarizzata” o in via di profonda secolarizzazione, nella quale Dio viene messo a tacere, come se soffrissimo di una singolare afasia, di una difficoltà a pronunciare il suo nome; una cultura nella quale viene messo da parte perché considerato irrilevante quando si tratta di cercare una soluzione ai problemi importanti dell’umanità, nella quale si tende a rinchiuderlo nell’intimità di ogni persona e a relegarlo nella sfera privata, dove, d’altra parte, tanti non credenti percepiscono una fortissima nostalgia e soffrono per il silenzio e la mancanza di Dio. In una tale situazione, la testimonianza di Dio, umile e chiara, gioiosa e paziente, è un compito insostituibile della Chiesa, all’interno della quale la vita religiosa svolge una funzione di primaria importanza. A noi cristiani oggi viene chiesto: “Cosa vedi nel buio della notte, dicci, o sentinella?”. Il servizio più bello che possiamo offrire all’umanità consiste nel testimoniare che Dio esiste, che Dio è buono, che Dio ci ama, che Dio è la dimora della fraternità e il respiro della speranza. I religiosi e le religiose sono come alberi piantati lungo un corso d’acqua, per questo danno frutti anche durante l’estate.

Quel che ho appena detto può risultare elementare, ma, a volte, diamo per scontato ciò che mai dobbiamo smettere di affermare, per quanto ci possa sembrare ovvio. Mi permetto di ricordare alcuni documenti che insegnano autorevolmente qual è il cuore della vita religiosa.

Ecco alcuni passaggi di Vita consecrata. Le parole “«Signore, è bello per noi stare qui!» (Mt 17, 4) esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata: Come è bello restare con Te, dedicarci a Te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza su di Te!” (n. 15). L’incontro con Dio colma l’aspirazione dell’uomo e di conseguenza la persona trabocca di gioia e da lei traspare pienezza. Un santo triste è un triste santo. “Seguendo san Tommaso, si può comprendere l'identità della persona consacrata a partire dalla totalità della sua offerta, paragonabile ad un autentico olocausto” (n. 17 cf. Summa Theologiae II-II, q. 186, a. 1). La comunicazione con Dio, nella preghiera, che è espressione, respiro e ossigeno della fede, nella adorazione, nel silenzio e nella lode, deve illuminare il volto dei religiosi. Che essi siano segno, splendore, annuncio, anticipazione della gloria eterna! Le persone consacrate realizzano il primo stadio missionario aprendo il cuore all’azione dello Spirito di Cristo. “La loro testimonianza aiuta la Chiesa intera a ricordare che al primo posto sta il servizio gratuito di Dio, reso possibile dalla grazia di Cristo, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito. Al mondo viene così annunciata la pace che discende dal Padre, la dedizione che è testimoniata dal Figlio, la gioia che è frutto dello Spirito Santo” (n. 25). Il rinnovamento cristiano ed evangelico si realizza in ogni congiuntura storica soprattutto attraverso i santi. “La vita consacrata è stata, lungo la storia della Chiesa, una presenza viva dell'azione dello Spirito, come spazio privilegiato di amore assoluto a Dio e al prossimo, testimone del progetto divino di fare di tutta l'umanità, all'interno della civiltà dell'amore, la grande famiglia dei figli di Dio” (n. 35). La Chiesa ha visto nella vita religiosa un particolare cammino verso la santità e un fortissimo impulso per la riforma e il rinnovamento della Chiesa. Anche in questo periodo della storia, la Chiesa ha bisogno della testimonianza feconda ed evangelizzatrice della santità dei religiosi. L’assimilazione vitale e profonda del Concilio Vaticano II, la promozione della nuova evangelizzazione, la trasfusione del Vangelo nelle vene dell’umanità all’inizio del terzo millennio come forza ispiratrice e configuratrice del mondo nuovo che sta nascendo, sono compito della Chiesa, che deve e può contare sui religiosi quali collaboratori insostituibili. In che misura contribuiamo gli uni gli altri alla debolezza o al vigore della Chiesa?

Nella benedizione solenne o consacrazione dei professi il Rituale recita: “E tu, o

 

Padre, con la voce misteriosa dello stesso Spirito hai attratto innumerevoli figli a

 

seguire Gesù Cristo Signore e a lasciare ogni cosa per aderire generosamente

 

a te in un eterno patto d’ amore e dedicarsi al servizio dei fratelli”.

 

“La loro vita edifichi la Chiesa, promuova la salvezza del mondo e appaia come segno luminoso dei beni futuri. Sii Tu per loro, Padre santo, il sostegno e la guida e quando compariranno davanti al tuo Figlio, sii Tu la vera ricompensa e allora godranno di essere stati fedeli alla loro consacrazione”. Nella benedizione o consacrazione delle professe chiediamo a Dio: “Siano sempre fedeli a Cristo loro unico sposo, amino la Madre Chiesa con carità attiva e servano tutti gli uomini con amore soprannaturale, essendo per loro testimonianza dei beni futuri e della beata speranza”. Pertanto, la comunità cristiana chiede a Dio che vivano con amore profondo, gioioso, perseverante, indiviso, puro e sacrificato a Gesù Cristo, l’Amore della loro anima e l’unico Sposo della loro vita; di conseguenza, cercare altri dei sarebbe idolatria. L’annuncio della vita eterna, attraverso la realtà esistenziale dei consacrati è un servizio prezioso e oggi molto necessario per i cristiani, che a volte sguazzano tra i beni della terra senza alzare le ali verso i beni del cielo.

Nell’interrogatorio previo alla professione ai candidati viene chiesto: “Voi siete già morti al peccato e consacrati a Dio mediante il Battesimo; volete ora appartenergli più intimamente con il nuovo e definitivo titolo della professione perpetua?” Se nella celebrazione liturgica della Chiesa la fede cristiana si fa preghiera, nella professione religiosa, ciò che costituisce il senso dei consigli evangelici, vissuti come donazione a Dio, diventa supplica. La consacrazione a Dio tocca la parte più profonda della persona; non rimane solamente a livello dell’agire morale o delle azioni del carisma ricevuto, e ancor meno al livello della disciplina religiosa. La donazione di Dio attraverso la professione religiosa e la vita eterna anticipata nella condotta dei consacrati sono intimamente legate. Solo il Dio della vita è la fonte della Vita eterna.

Ricordiamo alcuni passaggi del Concilio, che continua ad essere bussola di orientamento. Con i sacri voti il cristiano “si dona totalmente a Dio amato al di sopra di tutto, così da essere con nuovo e speciale titolo destinato al servizio e all'onore di Dio” (Lumen Gentium 44). Le persone chiamate da Dio, professando i consigli evangelici “si consacrano in modo speciale al Signore, seguendo Cristo che, casto e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8)” (Perfectae caritatis 1). “I religiosi, fedeli alla loro professione, lasciando ogni cosa per amore di Cristo (cf Mc 10,28), lo seguano (cf Mt 19,21) come l'unica cosa necessaria (cf Lc 10,42), ascoltandone le parole (cf Lc 10,39), pieni di sollecitudine per le cose sue (cfr. 1 Cor 7,32)” (Perfectae caritatis 5, cf. Codice di Diritto Canonico, 573). Attraverso la consacrazione religiosa che presuppone quella battesimale, i membri di qualunque istituto cercano prima di tutto e unicamente Dio. Attraverso la contemplazione, devono unirsi a Dio con la mente e con il cuore e associarsi, con amore apostolico, all’opera della salvezza. La dimensione apostolica proviene dall’intima unione con Dio. Gesù Cristo, Mediatore tra Dio Padre e l’umanità, è la via, e lo Spirito Santo la forza per donarsi senza riserve a Dio. Il peggior svuotamento che potrebbe accadere a un religioso sarebbe la “secolarizzazione interiore”, per la quale Dio, con il suo amore e la sua santità, diventerebbe irrilevante e la deviazione più disorientata consisterebbe nel prendere le distanze dalla sequela interiore ed esteriore di Gesù. Cristo è la via concreta per la donazione a Dio e il servizio agli altri. Lui che è la Parola eterna di Dio, incarnandosi, è diventato il nostro cammino.

I voti di povertà, castità e obbedienza, vissuti nello spirito delle beatitudini, sono una alternativa radicale al dio denaro, al disordine sessuale e all’egoismo individualista. Configurano uno stile di vita nella libertà cristiana. Chi vive i voti con equilibrio umano e gioia nel Signore diventa annuncio evangelico fatto persona; invece, merita compassione chi li vive con fatica, come afflitto dal loro peso.

Papa Benedetto XVI, in un discorso al Consiglio Esecutivo dei Superiori Maggiori, pronunciato il 18 febbraio 2008, metteva in guardia dal pericolo che può rappresentare per la vita religiosa il processo di secolarizzazione che avanza nella cultura contemporanea. Un umanesimo che non lascia spazio alla religione o la trasforma in una realtà privata minaccia di far svanire la vita religiosa, di snaturalizzare il senso della consacrazione e trascinare via con sé la sua legittima espressione. Il danno maggiore alla vita consacrata proviene da ciò che inquina la fede, la vita cristiana e la sequela di Gesù, povero, vergine e obbediente. La bellezza delle parole non può nascondere la verità del Vangelo o edulcorare lo scandalo della croce del Signore.

Amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come noi stessi non stanno allo stesso livello, se così si può dire. La fede, la speranza e l’amore per Dio sono sorgente e fondamento; l’amore, la solidarietà e il lavoro per gli altri sono espressione e realizzazione dell’amore per Dio. Chiunque ama è generato da Dio, perché Dio è amore (cf 1 Gv 4, 7 -11). Il giusto ordine dell’amore evangelico ha conseguenze importanti sull’iniziazione cristiana, sulla formazione alla vita religiosa, sulla spiritualità e l’azione pastorale. Dove affondano le radici della fedeltà alla vita consacrata? Senza dubbio Gesù Cristo rappresenta le fondamenta e la radice di ogni religioso perché questi sia fedele al Signore e alle sue vie. La vita religiosa non consiste nell’“auto-realizzazione” di ciascuno – né tanto meno evidentemente nell’“autodistruzione” masochista -, se non si chiarisce bene in cosa consiste questa auto-realizzazione. Cosa significa perdere la vita per Gesù Cristo, per il Vangelo, per il Regno di Dio? (cf. Mr 8, 34-35). Guadagniamo la vita dandola, seguendo Gesù morto e risorto. Se teniamo fisso lo sguardo su Cristo, autore e perfezionatore della fede, possiamo, uniti a Lui, “sottoporci alla croce, disprezzando l’ignominia” (Eb. 12, 2). La radice della fedeltà non risiede certo nel successo del lavoro apostolico. Alcune volte la benedizione di Dio coronerà gli sforzi, ma altre ci sembrerà di faticare tutta la notte senza ottenere la gratificazione dei frutti (cf Lc 5, 5). Gesù Cristo è il centro del nostro amore, dal quale ricevono respiro e luce molti altri amori radiali che formano la vita di una persona, anche dei religiosi.

Alcuni servizi svolti dai consacrati riceveranno magari un grande riconoscimento sociale, altri forse meno o addirittura saranno criticati. Ciascun carisma, però, è stato suscitato da Dio per portare a termine una missione, alla quale il Signore non solo chiama e invia, ma anche accompagna, e per la quale rafforza. Quanto più duro sarà lavorare per il Vangelo e quanto più si svolgerà un lavoro in zone di frontiera, tanto più i cristiani avranno bisogno di rivestire la loro debolezza con la forza di Dio.

Dinanzi all’indifferenza, al disinteresse e persino all’avversione religiosa, abbiamo bisogno di sottolineare che Dio, rivelatosi in Gesù Cristo, è Buona Novella per l’uomo, è Vangelo. Gesù, infatti, è il volto vivo di Dio Amore. L’amore di Dio allarga il cuore, non lo occupa per restringerlo. Tuttavia, oggigiorno, non è facile iniziare alla fede in Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, né aprire la strada all’incontro con Lui. Molti soffrono perché non trovano il luogo adeguato per fare l’esperienza di Dio in mezzo alle loro esperienze umane. Vi sono persone convinte che non ci sia posto per Dio nel nostro mondo. Se in altri momenti si è parlato di “inculturazione” della fede, non stiamo forse soffrendo una sorta di “sculturazione” della fede e dell’esperienza di Dio? E se da un lato possiamo constatare nella cultura e nella conformazione della società questa specie di espulsione di Dio, al tempo stesso, possiamo anche scoprire una singolare presenza di Dio, vale a dire sotto forma di assenza di qualcuno di cui si sente la mancanza e di un certo vuoto sofferto. Non deve forse essere la vita religiosa, proprio per la forza dell’esperienza di Dio, e proprio perché la sua forma di vita è una scommessa radicale su di Lui, un impulso fortissimo a vivere l’incontro con il Signore e l’evangelizzazione, così necessaria in questo nostro mondo? Senza una buona dose di fede vigorosa e senza un vissuto che irradi Dio è molto difficile aprile la strada al Vangelo in mezzo a una umanità che spesso soffre di una singolare malattia, vale a dire da una parte è malata di anemia di Dio e, dall’altra, è inappetente.

Ai fini della presenza della vita religiosa nella società e dell’adempimento della missione ad essa affidata, non è indifferente l’abito religioso né sono irrilevanti altri segni identificativi. Quando la società secolare tende a relegare l’ambito religioso alla sfera privata, quando si cerca attraverso tutti i procedimenti possibili, a volte palesi altre più sottili, di livellare tutto e ridurlo a ciò che è “politicamente corretto”, di nascondere l’elemento religioso e relegarlo ad un ambito considerato insignificante, o trasformarlo in fattore culturale o in mero slancio etico, l’invisibilità della vita religiosa può essere un fattore più di “secolarizzazione” che di “incarnazione” missionaria. Non mi soffermo in questa sede sui motivi che a suo tempo portarono molte congregazioni religiose ad abbandonare l’abito; semplicemente desidero evidenziarne oggi il senso e la rilevanza. La Chiesa è sacramento di salvezza e, di conseguenza, i segni detengono in essa un particolare certificato di cittadinanza. È vero che non bisogna dare all’abito maggior valore di quel che esso ha, dal momento che “gli abiti” che santificano sono le virtù, ma nemmeno è opportuno sconoscere l’importanza dei segni. Ad esempio, una chiesa chiusa è sempre il prolungamento della società secolare, che chiude le porte alla trascendenza; un abito semplice e decoroso può essere un segno che allude al Regno di Dio (Cf. Vita Consecrata 25). Il linguaggio dei segni attira l’attenzione di chi è estraneo, e coloro che portano l’abito e il relativo segno distintivo esteriorizzano anche, in questo modo, la loro identità e appartenenza, che li rende diversi dagli altri cittadini, perché consacrati a Dio che illumina il senso del loro lavoro nel campo dell’educazione, della giustizia, della sanità, per la pace. Sin dall’inizio della storia della Chiesa, la professione della fede identificava la comunità cristiana e la distingueva dai non cristiani. D’altra parte, molti cristiani, e altri che non si riconoscono tali, apprezzano e considerano positivamente il fatto che nella società appiano questi segni. Si ha l’impressione che i presbiteri diocesani e i giovani religiosi siano più inclini a vestire l’abito che li contraddistingue. E se qualche volta devono perdere la faccia per il Signore, vale la pena di farlo, per il servizio che gli dobbiamo. Con l’abito si può entrare anche nei luoghi in cui vive l’umanità più secolarizzata e più umiliata, con semplicità e senza sfidare nessuno. L’amore per la missione saprà consigliare come procedere nelle situazioni più particolari.

2. Il futuro della vita religiosa

Guardando al futuro della vita religiosa in Europa, ringraziamo Dio per i fermenti di rinnovamento che sono sorti. Enumero solamente alcune manifestazioni alle quali guardiamo con gratitudine: si è formata una rete di piccole comunità religiose in mezzo alla gente, che hanno avvicinato la vita religiosa a persone e popolazioni prima lontane; molti hanno avuto l’opportunità di fare un’esperienza nuova dei religiosi e delle religiose. Si sono diffusi stili di preghiera che uniscono in modo gratificante la pietà, la profondità, la bellezza e la semplicità dei segni in cappelle molto accoglienti. Questo modo di vivere ha offerto a molte persone la possibilità di conoscere da vicino la semplicità, la povertà e la sollecitudine dei religiosi che condividono con gli altri le condizioni di vita della gente. Un tratto che deve essere sottolineato è la creazione di una vita comunitaria in cui i membri della stessa si relazionano tra loro in modo spontaneo, vicino e fraterno, e nella quale molte volte condividono la fede e la missione aprendosi all’altro con fiducia.

La mia esperienza è che i religiosi e le religiose oggi sono inseriti e collaborano più intensamente con le Chiese locali rispetto a tempi non molto lontani. Si è verificato un avvicinamento reciproco tra presbiteri religiosi e diocesani, e una più intensa partecipazione di consacrati e fedeli laici alla pastorale della Diocesi. Probabilmente la penuria di vocazioni nelle diocesi e la perdita di servizi propri dei religiosi, ma anche il fatto di tenere presenti gli orientamenti del Concilio Vaticano II, hanno portato a considerare con maggiore chiarezza la Chiesa particolare come la “patria” di tutte le vocazioni. All’interno della Chiesa, che è convocazione (Ecclesia) di Dio, stiamo riscoprendo ciascuno la propria vocazione specifica. Questa maturazione è un frutto salutare del Concilio.

Tuttavia c’è qualcosa riguardo al futuro che appare costantemente nelle comunicazioni tra il Vescovo e le comunità dei religiosi, che, a ragione, ci interroga e preoccupa; mi riferisco alle vocazioni. A parte alcune eccezioni, gia da molti anni soffriamo di una grande scarsità di vocazioni; in molte comunità l’invecchiamento generale è ormai molto alto. Forse alcune congregazioni avranno desistito dall’impegno di trasmettere il carisma e si saranno rassegnate a durare quel tanto che la biologia permetterà loro. In generale, la sofferenza per la penuria di vocazioni è a fior di pelle, si prega molto per esse e gli sforzi nella pastorale vocazionale sono più intensi rispetto al passato. È più probabile che da qualche parte, non molto lontano, il numero di religiosi, di comunità di vita contemplativa e apostolica, e certamente di congregazioni, diminuirà notevolmente. La cartina della vita religiosa cambierà profondamente nelle nostre latitudini, se non si produce presto una flessione significativa. Tra 25 anni, per indicare una data vicina, le case religiose in Spagna saranno molte di meno rispetto ad oggi. La presenza nella vita e nella missione della Chiesa si sarà ridotta in modo inquietante. Lo stesso possiamo affermare riguardo al numero di sacerdoti e, in generale, di cristiani cosiddetti “praticanti”. Ogni congregazione religiosa avrà fatto la sua analisi di previsione per il futuro e avrà preso le misure opportune dinanzi all’attuale diminuzione, magari con la convinzione e il timore che da qui a qualche decennio dovrà rivederla nuovamente. Dico ciò con preoccupazione e sofferenza, con gli occhi ben aperti e tenendo conto di calcoli prevedibili, ma anche con la fiducia in Dio che non delude mai.

In una tale situazione di dolore e incertezza, dobbiamo, da una parte, vivere la fede nel Dio Signore della storia e della Chiesa, e, dall’altra, riflettere sulle esperienze del passato. Impariamo dunque dagli alti e bassi della storia! Non è certo opportuno dimenticare che altre situazioni più propizie e generose dal punto di vista delle vocazioni erano il risultato della confluenza di fattori non solamente cristiani ed ecclesiali, ma anche culturali e sociali. Per orientarci in questa congiuntura ci aiutano le analisi della situazione realizzate in occasione della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa. Lì si parla, utilizzando un’espressione impressionante, di “apostasia silenziosa”. Il Papa fa riferimento molto spesso a questa preoccupante situazione, nella quale è in gioco niente meno che il riconoscimento di Dio e la fede in Lui. É proprio questo il problema principale della missione della Chiesa oggi.

Rivolgiamo dunque lo sguardo al futuro con lucidità, con preoccupazione ma anche con la speranza in Dio, che realizza i suoi disegni attraverso vie inaspettate. Dal momento che Gesù ha vinto la morte, esistono sempre motivi per nutrire la speranza e lavorare per un mondo nuovo. In Gesù Cristo albeggia la salvezza per l’umanità e questa luce ci spinge ad aspettare l’aurora che vince le tenebre. Il Vangelo, che è forza di Dio per i credenti, proclama che Dio può perdonare i nostri peccati, sollevarci dalla prostrazione, fortificare la nostra debolezza e aprire orizzonti di vita e di gioia, quando Lui vuole e come Lui vuole. Anche la notte è tempo di salvezza!

C’è stato un tempo, non molto lontano, in Spagna, in cui quando un ragazzo o una ragazza prendevano sul serio la fede e la sequela di Gesù, di solito si presentiva che sarebbero entrati in seminario o in un noviziato. Il Vaticano II ha analizzato la gioiosa riscoperta della vocazione battesimale, della chiamata a vivere come cristiani in mezzo al mondo. Senza dimenticare altri fattori, non stiamo forse ancora riequilibrando le diverse vocazioni nella Chiesa, quella laicale, sacerdotale e religiosa, la cui grandezza e missione, all’interno della comunione della Chiesa, è stata presentata dal Concilio? Ciascun cristiano ascolta dal Signore la chiamata specifica a percorrere il cammino della vocazione battesimale. Certamente il cristiano non potrà scoprire la sua vocazione se non coltiva la fede, se non ascolta la Parola di Dio, se non prega, se non partecipa ai sacramenti, se non vive fiduciosamente all’interno della Madre Chiesa, se non è accompagnato spiritualmente, se non impara pian piano a seguire Gesù Cristo.

L’attuale situazione della Chiesa in Europa ci sta aiutando a riscoprire il contenuto storico delle immagini bibliche del “resto”, del “piccolo gregge”, del “lievito”, del “sale” e della “luce”, del “chicco di senape”, della “città sul monte”; sperimentiamo con particolare forza la piccolezza, la debolezza e la fragilità, e, al tempo stesso, la grazia di essere quotidianamente liberati dalle minacce che ci circondano, perché il Signore ci difende con il suo amore e la sua fedeltà. Il tesoro del Vangelo lo portiamo in vasi di creta perché si manifesti una potenza straordinaria che proviene da Dio e non da noi (cf 2 Cor 4, 7-12).

Possiamo trasferire quanto abbiamo appena detto anche alla vita religiosa? Il Signore ci ha mandato a predicare il Vangelo a Tutti gli uomini e in tutti gli angoli del mondo, ma non ci ha detto nulla del numero di coloro che crederanno e si convertiranno. È pur vero che il residuo di un passato che si sta esaurendo non è la stessa cosa che il “resto” nella storia della salvezza, attraverso il quale Dio salva il popolo e che è germe di una nuova tappa. Il ricorso al “piccolo gregge” non è tanto meno una illusoria consolazione nella nostra debolezza, che può essere dovuta anche a errori non corretti, al rifiuto di una revisione umile e a resistenze a intraprendere le vie aperte da Dio in ogni generazione.

Lo sguardo rivolto al futuro, a partire dalla nostra attuale situazione, deve spingerci a riscoprire più profondamente il senso genuino della vita religiosa. Affondare nuovamente le radici in ciò che costituisce la sua identità più profonda vuol dire rafforzare la speranza. Identità e futuro della vita religiosa sono inseparabili nel disegno di Dio. L’elemento decisivo non è il successo, ma la fede in Dio, la realtà dell’amore, la sequela di Gesù, la pazienza nelle prove, la chiamata all’Unica cosa necessaria, la speranza nella vita eterna. La consacrazione religiosa affonda la sue radici in Gesù Cristo, volto vivo del Padre, che è passato facendo il bene, che ha accolto i peccatori, ha difeso gli esclusi, è morto per noi ed è risuscitato come il Primogenito di una moltitudine di fratelli e come germe saldissimo di speranza.

Sono convinto che la vita religiosa sia una benedizione di Dio per la sua Chiesa e per ciascun consacrato; che, benedetti da Dio, si alzi dal cuore di ogni religioso e dalla Chiesa tutta intera una benedizione a Dio “a lode e gloria della sua grazia” (cf. Ef. 1, 6). La grazia ricevuta si trasforma in ringraziamento nostro e in supplica a Dio perché continui a benedirci.

 

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:56

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