Pueblo Nuevo. Il villaggio di consolazione

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Mural nella cappella della chiesa di Toribio nel quale si rappresentano episodi  e personaggi chiave della storia del popolo Nasa

Era sabato. La mattina si svegliava inquieta. La rugiada furtiva cadeva frettolosamente per nascondersi tra la terra che cominciava a fumare, riscaldata dai primi raggi di un sole che non poteva essere definito.

Dalla brughiera, molti piedi nudi, duri come la strada rocciosa, si dirigevano verso il villaggio portando quegli odori acidi di aglio e cipolle.

Un uomo piccolo, vestito di poncho e con un cappello calato sugli occhi, montato su un cavallo affamato, passa indifferente davanti allo sguardo furtivo e rannicchiato della moglie e delle figlie che camminano tessendo i dolori di una vita alta come le montagne ma malconcia e tortuosa come i torrenti che risuonano come i duri colpi e gli insulti frutto delle continue sbronze del marito.

Quel sabato il villaggio non era così vivace come al solito. Alcuni videro svolazzare, in mezzo alle nuvole che disegnavano strane figure, un uccello considerato araldo di giorni infausti.

La campana suonò per la messa delle 7. Dal tempio buio e triste, il coro ripeteva con dolore: "Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà".

La chiva, suonando la sua tromba vigorosa, si riempì di vite silenziose che sarebbero poi state scaricate nel grande mercato della valle assieme a pacchi di caffè, mais, aglio e cipolle. Tutti i viaggiatori, rinchiusi in quella specie di gabbia di legno con un motore, seguono con i loro corpi quelle curve infinite, costeggiando i limiti della vita, e scendendo a valle con l'intrepidezza di chi vuole arrivare presto senza sapere se ci sarà mai un ritorno. Scendendo lo sguardo si perde in mezzo alle coltivazioni di canna da zucchero che divorano la gente, la maggior parte nera, che fa risuonare il grido della libertà imprigionata al ritmo di un tamburo proibito.

 Era un sabato... un sabato di novembre. Il sacerdote indigena originario del villaggio aveva già percorso quel mese, come era sua abitudine, alcuni dei sentieri, andando su e giù segundo la pista tracciata da dolori millenari della sua gente, per aspergere con acqua santa ed esorcizzare gli ultimi demoni che chiudevano la strada verso la terra senza mali. Le preghiere per i defunti accompagnavano il cammino di coloro che partivano in fretta per incontrare gli antenati e per brindare con la sempre fresca e abbondante chicha de maíz. Ogni nuovo arrivo aumentava la felicità dell'immenso campo di grano, perché essi stessi erano grano.

Era sabato 10 novembre e il sacerdote indigena non era in montagna. Era sceso dalle montagne a valle per accompagnare e salutare il suo amico, venuto da terre lontane, al quale aveva rivelato, mentre camminavano insieme, i suoi sogni profondi che i molti spiriti che popolavano gli alberi, i fiumi e le lagune gli trasmettevano con insistenza.

Gli aveva dato la jigra tessuta da sua madre, una donna dalle mani ruvide e dallo sguardo profondo che aveva intuito che un giorno si sarebbe avverato il nome del villaggio dove vive: "Pueblo Nuevo". All'interno della jigra, la Bibbia bolliva disperatamente volendo innaffiare come la prima pioggia tutti gli angoli aridi di questa terra.

Era la vigilia del sabato 10 novembre e l'amico del sacerdote indigena, dopo una lunga notte di viaggio verso la capitale, stava ripercorrendo ogni parola, ogni gesto, ogni silenzio del suo amico.

Era la mattina di sabato 10 novembre; la radio sbadigliava le notizie di quel sabato ma l’annuncio è risuonato come un tuono che ha rotto silenzi di anni e il cui rimbombo ha attraversato ogni angolo del paese: avevano sparato a bruciapelo al prete indiano, al padre Álvaro Ulcué Chocué, un cognome dell'epoca precoloniale che pochi conoscono. Si racconta che è stato freddatto in valle ma aveva gli occhi puntati sulle alte montagne verso le quali doveva ancora camminare per continuare ad aspergere l'acqua santa e a cantare le litanie funebri

Fu allora che l'amico del prete indiano tornò dal suo amico Álvaro per la semina del suo corpo e mentre lo stavano seminando in "Pueblo Nuevo" la sua mente si illuminò e alzando gli occhi, vide un sole radioso e pensò che sicuramente ora iniziavano tempi nuovi per "Pueblo Nuevo".

E mentre i gemiti e i lamenti risuonavano, immersi nel dolore e nella desolazione, l'amico del prete indiano, con le lacrime agli occhi, ricordò le parole di colei che aveva visitato in Messico, in uno dei suoi pellegrinaggi attraverso l'America indiana, la madonna di Guadalupe. Sapeva a memoria quello che lei disse all'indio Juan Diego in un momento di disperazione: "Cos’hai, il più giovane dei miei figli? dove vai? dove sei diretto? Ascolta e mettiti bene in cuore, figlio mio più giovane: nulla ti spaventi, nulla ti affligga, non sia turbato il tuo cuore né il tuo volto; non temere questa malattia o qualsiasi altra malattia o qualsiasi cosa fastidiosa, angosciante o dolorosa!. Non sono forse qui io, che sono tua madre? Non sei forse sotto la mia ombra e il mio riparo? Non sono forse la fonte della tua gioia? Non sei forse nell'incavo del mio mantello, dove le mie braccia sono piegate? Hai bisogno di qualcos’altro?".

Dopo il doloroso silenzio della sepoltura, l'amico del prete indiano, che era un sacerdote, fu di nuovo ispirato dalle parole del Profeta: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio! Una voce proclama: Preparate nel deserto la via del Signore, preparate nella steppa un sentiero per il nostro Dio! Si riempiano tutte le valli e si appiattiscano tutte le montagne e le colline; si trasformino i burroni in pianure e gli aspri terreni in pianure! Allora la gloria del Signore sarà rivelata e tutti gli uomini la vedranno insieme, perché la bocca del Signore ha parlato".

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Padre Alvaro Ulcué Cho cué

Perché tanta profezia in un momento di tale desolazione? Con il cappello, il poncho e la jigra tessuta dalle rozze mani della madre del padre Alvaro, cominciò a proclamare la profezia che era in quella Bibbia unta dalle molte volte che Álvaro vi aveva messo le mani nei suoi momenti di confusione e desolazione.

Pensò che questo era il momento chiave per questo popolo per il quale il sacerdote indiano aveva versato il suo sangue. E così, molti indiani, bagnati del sangue del loro nuovo antenato insieme al sacerdote amico degli indiani, cominciarono a parlare nelle tante e tante assemblee. E così hanno potuto continuare a tessere il tessuto del "Pueblo Nuevo", il villaggio sognato dalla anziana madre del padre Alvaro. Il suo nome era Doña Soledad. ... Lei partì un pomeriggio per incontrare il suo Álvaro e i suoi antenati per bere con loro la chicha de maíz. 

Non poteva andarsene in pace senza lasciare il suo sostituto. L'amico sacerdote di suo figlio Álvaro le parlava da tempo di sua madre. Non capiva tutte le parole che usava, ma capiva l'amore con cui questo prete parlava di lei... Una sera intorno alla focolare, le aveva detto quasi di nascosto e sottovoce che sua madre si chiamava "Consolata". Fu un momento intenso come il fuoco che continuava a bruciare quella notte fredda. Poi si è ricordata del suo nome: Soledad. Gli sembrava un nome triste, ma dopo tutto, questa era la storia del suo popolo, si viveva in tale solitudine. Così non aveva dubbi che questo nome, anche se suonava nuovo, era caldo e affettuoso e si adattava al suo "Pueblo Nuevo". Si chiamava Doña Soledad, ma voleva essere chiamata Consolata prima di morire.

Molte cose sono cambiate lì. Il sogno del Pueblo Nuevo è ancora vivo. Il sacerdote indiano, Doña Soledad - Consolata e tutti gli indiani nativi e quelli provenienti da altre terre, marciano in una grande minga proclamando i nuovi tempi per una nuova umanità.

Armando A. Olaya R. è superiore provinciale della Colombia

 

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