Missionari della Consolata in Marocco. Ero forestiero

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Con poco meno di mezzo milione di chilometri quadrati, il Marocco è un paese montagnoso al nord e desertico al sud. La popolazione totale è di 37 milioni di abitanti dei quali il 58% vive nelle città delle quali Rabat, capitale politica, e Casablanca, capitale economica, sono le due più importanti. Le lingue ufficiali del Paese sono l'arabo e il berbero. L'arabo è la lingua più parlata ed è conosciuta anche in buona parte della popolazione berbera perché è la lingua legata alla fede islamica che professano la quasi totalità della popolazione. La lingua occidentale più diffusa è il francese che è la lingua prevalentemente utilizzata nell'amministrazione, nell'economia e nell'insegnamento superiore. 

Con una economia fondamentalmente agricola e di allevamento, dispone anche di importanti miniere di argento, fosfato, piombo e zinco. Fin dalla seconda metà del secolo scorso molti marocchini sono emigrati soprattutto vero i paesi industrializzati dell’Europa e si calcola che siano almeno 5 milioni quelli che risiedono fuori dal paese. Oggi i flussi migratori sono cambiati, negli ultimi 20 anni l'economia è in forte crescita, sospinta anche dalla importante industria turistica,  e il Marocco è diventato anche ricettacolo di immigranti provenienti dall'Africa sub sahariana.

Il problema politico più importante che affronta il Marocco e che è fonte di tensioni anche internazionali è la sovranità sul Sahara Occidentale che è stata una colonia spagnola fino al 1976. Quando la Spagna si ritirò il Marocco ne annesse i due terzi settentrionali e il resto del territorio fu annesso nel 1979 dopo il ritiro della Mauritania. Tuttavia il gruppo armato Fronte Polisario, si oppose alle annessioni e proclamò il 27 febbraio 1976 la Repubblica democratica araba Sahrawi, riconosciuta dall'Unione Africana, ma non dall'ONU e dalla Lega araba.

Sebbene il re sia considerato discendente del Profeta e "Comandante dei credenti" e la quasi totalità della popolazione è di fede islamica sunnita, il paese conta con una legislazione in buona parte laica. In particolare il codice di diritto della famiglia, riformato nel 2004, tutela le donne in modo notevole rispetto ad altri paesi a maggioranza musulmana. 

Tra la comunità cristiane che vivono oggi in Marocco si possono censire quasi novanta nazionalità, e si tratta fondamentalmente di studenti che provengono in  buona parte da altri paesi dell'Africa subsahariana. Il numero totale di cristiani è comunque molto esiguo, circa 25 mila in tutto. Ad ogni modo la presenza cristiana in questo territorio è fra le più antiche. Già nel terzo secolo si notava la presenza cristiana e al concilio di Cartagine del 484 era nota la presenza di vescovi provenienti da questa regione occidentale del nord Africa. La vita cristiana resistette durante il periodo visigoto e anche sotto la dominazione degli arabi a partire dall'anno 700. Nel 1630 si crea la prefettura apostolica del Marocco e oggi il paese conta con due diocesi, Rabat e Tangeri, 35 parrocchie e una cinquantina di sacerdoti residenti. Il paese è stato visitato da papa Francesco nel mese di marzo del 2019 e in quello stesso anno, nel mesi di ottobre, il vescovo Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, è stato nominato cardinale.

I Missionari della Consolata e l'impegno con i migranti

Negli ultimi anni i Missionari della Consolata in Spagna hanno cercato un maggiore impegno nell'opera di accoglienza degli immigrati, un'opzione missionaria della congregazione in Europa. Dopo un processo di discernimento e di studio, la comunità dei Missionari della Consolata ha aperto una comunità a Oujda, in Marocco, su invito del cardinale Cristóbal López. Lo scopo della missione è di accompagnare i migranti in questa città all'estremo est del paese, a circa 15 km dal confine con l'Algeria e 60 km a sud del Mar Mediterraneo. Oujda è un luogo di transito per molte persone provenienti da vari paesi dell'Africa subsahariana, che vogliono raggiungere l'Europa, dopo aver attraversato il deserto e sofferto varie difficoltà. Per il momento, i padri Edwin Osaleh e Francesco Giuliani sono a Oujda. Un terzo missionario della Consolata dovrebbe raggiungerli presto.

Anche in occasione della sua visita in Marocco, il papa si era trovato con un nutrito numero di migranti nella sede della Caritas diocesana di Rabat. In quell'occasione queste erano state le sue parole

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Pubblichiamo un amplio estratto della riflessione di Papa Francesco. il discorso completo qui

Sono lieto di avere questa possibilità di incontrarvi durante la mia visita al Regno del Marocco. Si tratta per me di una rinnovata occasione per esprimere la mia vicinanza a tutti voi, e con voi affrontare una ferita grande e grave che continua a lacerare gli inizi di questo XXI secolo: sono molti milioni i rifugiati e gli altri migranti forzati che chiedono la protezione internazionale, senza contare le vittime della tratta e delle nuove forme di schiavitù in mano ad organizzazioni criminali. Nessuno può essere indifferente davanti a questo dolore. Qualche mese fa (dicembre 2018) si è svolta, qui in Marocco, la Conferenza Intergovernativa di Marrakech che ha ratificato l’adozione del Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Il "Patto sulle migrazioni" costituisce un importante passo avanti per la comunità internazionale che, nell’ambito delle Nazioni Unite, affronta per la prima volta a livello multilaterale il tema in un documento di rilievo.

Questo Patto permette di riconoscere e di prendere coscienza che non si tratta solo di migranti come se le loro vite fossero una realtà estranea o marginale, che non abbia nulla a che fare col resto della società. Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. Si sono fatti molti e positivi passi avanti in diversi ambiti, specialmente nelle società sviluppate, ma non possiamo dimenticare che il progresso dei nostri popoli non si può misurare solo dallo sviluppo tecnologico o economico. Esso dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri.

In questo impegno siamo tutti coinvolti – in modi diversi, ma tutti coinvolti – e tutti siamo necessari per garantire una vita più degna, sicura e solidale. Mi piace pensare che il primo volontario, assistente, soccorritore, amico di un migrante è un altro migrante che conosce in prima persona la sofferenza del cammino: è necessario che voi migranti vi sentiate i primi protagonisti e gestori in tutto questo processo.

Ho voluto sintetizzare in quattro verbi l'impegno che dobbiamo avere con i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

ACCOGLIERE significa innanzi tutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. Questo impegno comune è necessario per non accordare nuovi spazi ai mercanti di carne umana che speculano sui sogni e sui bisogni dei migranti.

PROTEGGERE vuole dire assicurare la difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio. Guardando la realtà di questa regione, la protezione va assicurata anzitutto lungo le vie migratorie, che sono spesso, purtroppo, teatri di violenza, sfruttamento e abusi di ogni genere.

PROMUOVERE significa assicurare a tutti, migranti e locali, la possibilità di trovare un ambiente sicuro dove realizzarsi integralmente. Tale promozione comincia col riconoscimento che nessuno è uno scarto umano, ma è portatore di una ricchezza personale, culturale e professionale che può recare molto valore là dove si trova. Le società di accoglienza ne saranno arricchite se sanno valorizzare al meglio il contributo dei migranti, prevenendo ogni tipo di discriminazione e ogni sentimento xenofobo. Ma non dimentichiamo che la promozione umana dei migranti e delle loro famiglie inizia anche dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, insieme al diritto di emigrare, anche quello di non essere costretti a emigrare, cioè il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una vita degna.

INTEGRARE vuole dire impegnarsi in un processo che valorizzi al tempo stesso il patrimonio culturale della comunità che accoglie e quello dei migranti, costruendo così una società interculturale e aperta. Sappiamo che non è per nulla facile entrare in una cultura che ci è estranea – tanto per chi arriva, quanto per chi accoglie –, metterci nei panni di persone tanto diverse da noi, comprendere i loro pensieri e le loro esperienze. Così, spesso, rinunciamo all’incontro con l’altro e innalziamo barriere per difenderci.

 

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