Nella carta geografica dei Missionari della Consolata anche il Messico c’è

Published in Missione Oggi

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Poco più di un anno a San Antonio Juanacaxtle, a circa 30 km da Guadalajara, capitale dello Stato di Jalisco e altri tre mesi a Tuxtla Gutiérrez, capitale dello Stato del Chiapas, mi sospingono a condividere ciò che sto vivendo in queste terre.

Venivo da un'esperienza culturalmente molto lontana: diciannove anni in Africa occidentale e centrale che mi avevano in qualche modo strutturato e formato. Poi arriva il momento di cambiare continente e rimettersi ad ascoltare, imparare, leggere, studiare e contemplare. Ricominciare il cammino vocazionale di tutti i missionari moderatamente coscienti della loro identità: sempre di passaggio e radicati ovunque sia.

Lo stile consolatino

Noi missionari della Consolata siamo in questo bellissimo paese da quasi tredici anni: era una nuova apertura per l'Istituto fatta e voluta dal continente. Il progetto originario prevedeva la promozione della vocazione missionaria di questo grande paese ma poi i missionari che arrivarono arricchirono questa prospettiva con l'attenzione alle periferie esistenziali perché molte persone con biografie ferite si erano avvicinate e bisognava dare loro una risposta. Lo stile “consolatino” cominciò ad emergere: la visita alle famiglie, l'accompagnamento in situazioni complicate, la disponibilità por i bisogni della chiesa locale e lo sforzo di creare comunione e comunità. 

I primi anni in queste terre furono complicati: i missionari erano tutti stranieri ed erano accompagnati anche da missionari laici in entrambe le comunità. Volevano vivere un nuovo stile di missione, più pluralista, dove tutti i carismi si sommano; volevano che la missione e la spiritualità della Consolata fossero i legami unificanti. Come pionieri hanno dovuto in qualche caso improvvisare; avranno probabilmente sperimentato la solitudine degli inizi dove non ci sono tradizioni da seguire né chiari punti di riferimento. 

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San Antonio Juanacaxtle e Tuxtla Gutiérrez

In questo cammino di discernimento stavano prendendo forma due presenze: una, nello stato di Jalisco, alla periferia di Guadalajara; e l'altra, nello stato di Chiapas, in una parrocchia alla periferia di Tuxtla Gutiérrez. La prima più focalizzata sull'accompagnamento di persone e comunità; la seconda più centrata nel ministero parrocchiale missionario dove la comunità indigena tzeltal di Tierra Colorada rappresentava una sfida.

A San Antonio Juanacaxtle avevamo la cura pastorale di due settori: “Villa Andalucía”, composta da circa novemila famiglie, e “El Faro”, ma siccome quella era anche la comunità dedicata alla formazione dei giovani messicani che volevano diventare missionari della Consolata alla fine siamo diventati anche un riferimento per la pastorale giovanile, accompagnando un gruppo di giovani di San Antonio Juanacaxtle. Poi i primi missionari si erano preparati bene anche studiando all'università psicologia, psicoterapia e comunicazione e così, attenti alla situazione delle persone che avevamo trovato, si sono aperti anche  altri cammini come le “Scuole di Perdono e Riconciliazione”, nate in Colombia, o l’impegno presso un centro chiamato Naim, ricordando la solidarietà di Gesù con la vedova che aveva perso il suo unico figlio, dove si accompagnano persone con distinte fragilità. 

A Tuxtla Gutiérrez invece l'impegno era prettamente parrocchiale, con 22 cappelle da accompagnare e fra le quali anche una comunità indigena a Tierra Colorada, lontana circa due ore dal nostro luogo di residenza. Era una realtà molto strutturata, con molti gruppi che richiedevano un grande impegno perché tutti si sentissero accompagnati; bisogna dedicare tempo alla formazione degli agenti pastorali ( che qui chiamano “piccoli fratelli” e “piccole sorelle”) e anche non pochi sforzi economici per dotare ogni comunità di strutture sufficienti a permettere lo svolgimento della pastorale. Sono molte le attività di promozione umana: un dispensario nelle strutture parrocchiali; una cooperativa di donne che fanno il pane; un pollaio a Tierra Colorada per diversificare il reddito del popolo Tzeltal e un altro progetto situato nella periferia della città chiamato Nueva Palestina.

Guardando al futuro dovremmo tenere presente nella mostra vita comunitaria un po’ più di lavoro di squadra e responsabilità condivisa; e per il nostro impegno pastorale una più chiara opzione per il mondo indigeno di Chiapas. Una scelta di questo tipo ci obbligherebbe a una maggiore stabilità dei missionari presenti: avremo bisogno di immergersi, conoscere, studiare, capire ed amare la cultura; dovremo esprimerci nella loro lingua e, anche senza perder di vista i nostri obbiettivi, camminare al ritmo delle persone.

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Una presenza significativa

Penso che noi Missionari della Consolata in Messico stiamo cercando di fare la nostra parte nell’amplio progetto di costruire il Regno di Dio. Forse dovremmo raccontarci di più, non chiuderci in noi stessi o vivere isolati: dovremmo far conoscere maggiormente le cose buone che lo Spirito di Dio ha fatto per mezzo nostro, le meraviglie del Dio della Vita nei nostri contesti di Guadalajara e Chiapas. 

Ho sempre apprezzato molto la vicinanza alle persone, la disponibilità all’ascolto, la voglia di aiutare alla maturazione di ogni uomo, immagine di Dio, che si avvicina a noi. Per esempio la sensibilità di tutti i missionari manifestata in occasione della pandemia di Covid19 è stata significativa perché molte persone e famiglie hanno sperimentato un'estrema vulnerabilità.

Riconosco che ho ancora molta strada da fare, ma sto camminando. Quindici mesi fa non potevo nemmeno immaginare quello che sarebbe poi successo in questa terra messicana. Il salto culturale dall'Africa occidentale è stato enorme ma la sosta fatta in Italia per fare un po’ di sintesi dopo quasi 25 anni di ordinazione e la pandemia che ci ha rinchiuso in casa per qualche mese mi ha permesso di dedicare più tempo a capire che a fare; a leggere che a proporre. È arrivato il momento di rendere visibile il Messico sulla carta geografica dell'Istituto e nel cuore dei missionari. le persone che accompagniamo sono grate per la nostra presenza e scoprono che la Consolata ha qualcosa che gli altri non hanno. Non è vanagloria, ma i segni del cammino che dobbiamo percorrere: quello della compassione, della semplicità, della vicinanza, della passione e della profondità di vita per essere segni dell'amore di Dio in queste terre.

Messico così...

Messico così
splendido e ben voluto,
fatto di rovine e di spiagge
di migranti e radici profonde
di sismi, maremoti e grandiosi deserti

Messico così
diverso e plurale,
Azteca e Maya, 
indigeno e urbano,
impoverito e arricchito,
lavoratore e narcodipendente,
turistico e industriale,
accogliente e oligarca,
fatto di di cinema e “telenovelas”,
di “tortas ahogadas” e “tamales al chipilín”.

Messico così
familiare e festaiolo,
fecondo e patriarcale,
amante e abusivo,
aperto e geloso,
femminicida e impune, 
appassionato e illuso.
speranzoso e combattivo.

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