“Rispondendo al grido dei poveri rendiamo credibile il Vangelo”

Il Papa durante l’incontro nel centro del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra Il Papa durante l’incontro nel centro del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra REUTERS
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Le parole del Papa durante l’Incontro ecumenico a Ginevra: «Se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi», non confidare nelle strategie, non diventare delle Ong

«La credibilità del Vangelo è messa alla prova dal modo in cui i cristiani rispondono al grido di quanti, in ogni angolo della terra, sono ingiustamente vittime del tragico aumento di un’esclusione che, generando povertà, fomenta i conflitti». Nel suo secondo discorso a Ginevra, davanti ai membri del Consiglio ecumenico delle Chiese, Papa Francesco insiste sulla missione e sulla testimonianza comune al Vangelo che i cristiani possono e debbono dare nel nostro tempo. 

Lo scenario del secondo incontro del viaggio è di nuovo il Centro Ecumenico del Consiglio delle Chiese, dove il Papa è arrivato dopo essersi recato per il pranzo all’Istituto Ecumenico di Bossey, un centro internazionale di incontro, dialogo e formazione del Wcc. Ha sede nel castello di Bossey, un maniero del XVIII secolo, nella campagna, tra le città lacustri di Versoix e Nyon, a circa 25 chilometri da Ginevra. Qui Francesco ha pranzato con alcuni rappresentanti del Wcc (menu: tartare vegetale, pesce alla griglia con riso e torta di limone), per poi uscire nel giardino dove c’è stato lo scambio dei doni. Francesco ha ricevuto un’icona che simboleggia l’unità, e due bottiglie di acqua del Consiglio ecumenico delle Chiese. Ad attenderlo, sotto il sole cocente, c’era un gruppo di studenti dell’Istituto che lo hanno accolto cantando una strofa di un canto della Comunità di Taizé, con le parole “Ubi caritas et amor, Deus ibi est (Dov’è carità e amore, qui c’è Dio)”.  

Dopo il pranzo, e dopo aver salutato i cuochi, Francesco ha fatto ritorno a Ginevra. L’incontro si è aperto con il discorso del reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc, che salutando il Papa ha detto: «La “real-politik”della Chiesa di Gesù Cristo è sempre una questione d’amore». Dopo di lui è intervenuta Agnes Abuom, moderatore del comitato centrale del Wcc, che ha richiamato le tanti attività comuni in aiuto di chi soffre in vari Paesi del mondo, assicurando preghiere per il Papa. 

Francesco, venuto qui a celebrare il 70° anniversario dell’istituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese, ringrazia i primi ecumenisti che, «spinti dall’accorato desiderio di Gesù, non si sono lasciati imbrigliare dagli intricati nodi delle controversie, ma hanno trovato l’audacia di guardare oltre e di credere nell’unità, superando gli steccati dei sospetti e della paura». Persone che «con l’inerme forza del Vangelo, hanno avuto il coraggio di invertire la direzione della storia, quella storia che ci aveva portato a diffidare gli uni degli altri e ad estraniarci reciprocamente, assecondando la diabolica spirale di continue frammentazioni». 

Francesco ha quindi ricordato che il Consiglio delle Chiese «è nato come strumento di quel movimento ecumenico suscitato da un forte appello alla missione: come possono i cristiani evangelizzare se sono divisi tra loro? Questo urgente interrogativo indirizza ancora il nostro cammino e traduce la preghiera del Signore ad essere uniti “perché il mondo creda”». Il Papa ha espresso a questo proposito una preoccupazione, derivante «dall’impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine».  

«Eppure – sottolinea Bergoglio - il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato. Ne va della nostra identità. L’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini è connaturato al nostro essere cristian i. Certamente, il modo in cui esercitare la missione varia a seconda dei tempi e dei luoghi e, di fronte alla tentazione, purtroppo ricorrente, di imporsi seguendo logiche mondane, occorre ricordare che la Chiesa di Cristo cresce per attrazione». È quanto Francesco continua a ripetere in ogni occasione, mutuando parole già espresse da Benedetto XVI.  

«Ma in che cosa consiste questa forza di attrazione? – si è chiesto il Papa - Non certo nelle nostre idee, strategie o programmi: a Gesù Cristo non si crede mediante una raccolta di consensi e il popolo di Dio non è riducibile al rango di una organizzazione non governativa. No, la forza di attrazione sta tutta in quel sublime dono che conquistò l’apostolo Paolo: “Conoscere [Cristo], la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze”». 

Francesco invita dunque a non ridurre «questo tesoro al valore di un umanesimo puramente immanente, adattabile alle mode del momento. E saremmo cattivi custodi se volessimo solo preservarlo, sotterrandolo per paura di essere provocati dalle sfide del mondo». Due atteggiamenti diversi, ma ugualmente deleteri, che fotografano altrettanti approcci oggi riscontrabili nel mondo cristiano: l’adattamento al mondo, o la paura del mondo che fa rinchiudere in un fortino sentendosi assediati. 

«Ciò di cui abbiamo veramente bisogno – ha sottolineato il Papa - è un nuovo slancio evangelizzatore. Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo, che loda il Signore e serve i fratelli, con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Gesù. Sono convinto che, se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi». Riscoprire la missione è dunque la nuova indispensabile frontiera dell’ecumenismo: «L’evangelizzazione segnerà la fioritura di una nuova primavera ecumenica». 

Riflettendo sul motto del viaggio, «Camminare – Pregare – Lavorare insieme», Francesco ha suggerito, per quanto riguarda il camminare, «un duplice movimento: in entrata e in uscita». Per la preghiera, ha ricordato che quando «diciamo “Padre nostro” risuona dentro di noi la nostra figliolanza, ma anche il nostro essere fratelli. La preghiera è l’ossigeno dell’ecumenismo. Senza preghiera la comunione diventa asfittica e non avanza». 

Quindi il Papa ha sottolineato, a proposito dell’azione comune, che «la credibilità del Vangelo è messa alla prova dal modo in cui i cristiani rispondono al grido di quanti, in ogni angolo della terra, sono ingiustamente vittime del tragico aumento di un’esclusione che, generando povertà, fomenta i conflitti. I deboli sono sempre più emarginati, senza pane, lavoro e futuro, mentre i ricchi sono sempre di meno e sempre più ricchi».  

«Sentiamoci interpellati – ha detto il Papa dal pianto di coloro che soffrono, e proviamo compassione, perché “il programma del cristiano è un cuore che vede”», ha osservato citando Benedetto XVI. «Vediamo ciò che è possibile fare concretamente, piuttosto che scoraggiarci per ciò che non lo è. Guardiamo anche a tanti nostri fratelli e sorelle che in varie parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, soffrono perché sono cristiani. Stiamo loro vicini». 

Dopo aver ricordato che «il nostro cammino ecumenico è preceduto e accompagnato da un ecumenismo già realizzato, l’ecumenismo del sang ue», Bergoglio ha invitato a «superare la tentazione di assolutizzare determinati paradigmi culturali e di farci assorbire da interessi di parte». E ha invitato a non dimenticare mai poveri e scartati, coloro «occupano un posto troppo marginale nella grande informazione. Non possiamo disinteressarci, e c’è da inquietarsi quando alcuni cristiani si mostrano indifferenti nei confronti di chi è disagiato. Ancora più triste è la convinzione di quanti ritengono i propri benefici puri segni di predilezione divina, anziché chiamata a servire responsabilmente la famiglia umana e a custodire il creato». Un accenno indiretto alla teoria calvinista della predestinazione. 

Il Papa ha concluso domandando: «Chiediamoci allora: che cosa possiamo fare insieme? Se un servizio è possibile, perché non progettarlo e compierlo insieme?». 

Last modified on Monday, 25 June 2018 08:25

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