L'INCARNAZIONE

Published in Missione Oggi

Manifestazione della bontà di dio e del suo amore per gli uomini (cf. Tt 3,4)

1) Il Progetto di Dio: farsi uomo

Il Natale rivela il progetto che Dio si era proposto. Dio ha voluto comunicarsi completamente a un altro essere differente da lui. Si è degnato darsi in dono a qualcuno. Dio non ha voluto rimanere unicamente Dio. Il creatore ha deciso di farsi anche creatura. Non ha inteso comunicare solamente il suo bene, la sua verità, la sua bellezza. Egli ha inteso fare qualcosa di molto più grande. Ha voluto donarsi: Dio dà se stesso. E per dare se stesso è necessario che esista qualcuno differente che lo possa ricevere.

Questo qualcuno capace di ricevere Dio è l’uomo. Nell’ebreo Gesù di Nazaret è presente Dio in assoluto. L’uomo possiede dunque senso pieno solo in quanto abitazione di Dio. È per questo che è stato creato. Nel suo fratello Gesù di Nazaret l’uomo trova il senso e la realizzazione piena della propria esistenza, pensata e voluta per ospitare Dio.

Il Verbo si è fatto carne nel seno della Vergine Maria e da lei è nato l’uomo - Dio. Colui che nessuno aveva mai visto, colui che gli uomini supplicavano "Signore mostraci il tuo volto", si è mostrato così com’è. Rimanendo il Dio che era da sempre, ha iniziato ad essere uomo.

Dio non è rimasto nel suo mistero indecifrabile; è uscito dalla sua luce inaccessibile per venire nelle tenebre umane. Non è rimasto nella sua onnipotenza eterna; è penetrato nella fragilità della creatura.

Nel presepio si sono manifestati "la bontà di Dio, nostro salvatore, e il suo amore per gli uomini" (Tt 3,4). Dio diventa uomo, si mostra così com’è: il nostro Dio è piccolo perché è grande nell’amore. Egli ha voluto essere realmente come uno di noi, come me, come te, fuorché nel peccato: un uomo limitato che cresce, che impara e interroga, che ascolta e risponde. Dio non ha assunto un’umanità astratta. Sin dal primo momento del suo concepimento, egli si è fatto Gesù di Nazaret, un uomo di razza e di religione ebrea. È cresciuto e maturato dentro gli angusti confini della Palestina, nel ristretto ambiente umano di un paesino sperduto. Non sapeva né il greco, né il latino, ma parlava l’aramaico con l’accento della Galilea. Ha sentito l’oppressione delle forze di occupazione del suo paese, ha conosciuto la fame, la sete, la solitudine, le lacrime per la morte dell’amico, la gioia dell’amicizia, la tristezza, la paura, le tentazioni, lo spavento di fronte alla morte. È passato attraverso la notte oscura dell’abbandono di Dio.

Tutto questo Dio ha preso su di sé in Gesù Cristo. Nulla gli è stato risparmiato. Ha assunto tutto ciò che è autenticamente umano, come l’ira giusta e la sana allegria, la bontà e la durezza, l’amicizia e il conflitto, la vita e la morte. Il Natale ci mostra di che cosa Dio è veramente capace. Egli può farsi realmente altro, un uomo come noi, senza cessare di essere Dio.

La fede cristiana ci insegna che Dio è amore: amore nella sua pienezza originaria ed eterna. È quindi un amore che non ha origine da altri ed è origine di ogni altro. Tale amore si comunica, esce da sé, si dona senza limiti e senza riserve. Da questa pienezza di autodonazione sorge il Verbo come espressione assoluta del mistero dell’amore. Il mistero dell’amore si chiama Padre, la sua espressione assoluta Figlio. Dio non ha nient’altro da dare che se stesso. Quando Dio si dà è Padre. Ciò che scaturisce da questa donazione è il Figlio. Nel Figlio si esprimono e si concretizzano tutta la verità, la bontà, la bellezza e l’infinita ricchezza d’essere del Padre. Qui tutto è infinito ed eterno.

Nel Figlio il Padre esprime anche tutta la ricchezza, la bellezza, la bontà, la verità finite e temporali che possono essere create. Il Padre si rispecchia in tutta la creazione e poiché tutto è stato creato nel Figlio, tutto rispecchia pure il Figlio. Così tutta la creazione, materiale e spirituale, presenta le tracce del Padre e del Figlio. Tutte le cose possiedono una caratteristica paterna e filiale. Tutti sono figli e figlie, fratelli e sorelle insieme con il fratello maggiore, il Figlio eterno, nella casa del Padre.

Tra tutti gli esseri filiali c’è una specie che è, per eccellenza, l’immagine del Padre e del Figlio: l’uomo. Ogni uomo rispecchia, in un modo personale, unico e irripetibile, il Padre e il Figlio. Ma tra questi uomini ce n’è uno che Dio ha predestinato ad essere sua Immagine totale nella creazionerivelazione assoluta del Padre e del Figlio nella storia: Gesù di Nazaret. Il Figlio eterno ha voluto unirsi a lui perché potesse amare Dio, fuori di Dio, come Dio ama; per poter essere finito rimanendo Infinito, per poter essere creatura senza cessare di essere Dio creatore.

Gesù è stato il primo nell’intenzione di Dio, anche se non è stato il primo nell’esecuzione. Adamo era già immagine di Cristo, perché Dio lo ha plasmato pensando a Cristo.

Il progetto di Dio è dunque farsi uomo. Duemila anni fa questo progetto è diventato realtà concreta. Nel Natale celebriamo e attualizziamo questo evento di dolcezza umana e divina. Dio possiede dunque un’umanità che, nel disegno divino, è eterna. L’umanità è espressione temporale del Figlio eterno. Dire che il Figlio si è fatto uomo non significa che il Figlio ha smesso di essere Figlio. Non significa neppure che il Figlio rimane Figlio e che l’umanità gli si è aggiunta come puro strumento di manifestazione e di azione. No, l’umanità di Dio non è un travestimento col quale Dio ci dà l’impressione di assumere la nostra condizione, ma in realtà continua a rimanere nella sua luce inaccessibile senza comunicarsi. Il fatto che Dio è diventato uomo esprime qualcosa di Dio stesso. Dice che egli si è fatto nostro prossimo, ha dato pienamente se stesso nella creazione e nel tempo.

In questo modo l’umanità di Gesù è veramente l’umanità di Dio e la divinità di Gesù è di fatto la divinità dell’uomo. Chi parla con Gesù parla con Dio, chi lo incontra, incontra Dio, chi lo ascolta e lo comprende, ascolta e comprende Dio. L’umanità di Gesù significa la presenza totale di Dio nel mondo, significa la dedizione totale dell’amore del Padre per l’uomo.

Grande cosa dev’essere l’uomo perché Dio ha voluto essere uomo. Se l’uomo è la più grande comunicazione di Dio nella creazione, Gesù è il culmine della comunicazione di Dio nella storia. È per consentire la realizzazione del progetto di Dio che l’uomo è stato pensato e voluto dall’eternità e posto nel tempo con la creazione. Gesù Cristo, Dio e uomo, è il progetto divino totalmente realizzato.

Da questa meditazione si deduce che il Figlio con l’incarnazione non ha raggiunto soltanto la santa umanità di Gesù di Nazaret. Egli ha toccato in qualche modo tutti gli uomini. Ognuno di noi, nel disegno eterno, è stato fatto dal Figlio, per lui, con lui e in lui. Siamo tutti figli nel Figlio. Entrando nella storia e assumendo l’umanità concreta di Gesù, egli ha assunto in certo modo tutti noi che partecipiamo di questa umanità. Il Concilio Vaticano II facendo eco alla grande tradizione della fede, insegna: "Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato" (GS 22). In tal modo siamo tutti fratelli di Gesù Cristo. Ogni uomo è suo rappresentante. Ogni persona traduce un aspetto originale del Figlio eterno. L’uomo è veramente una realtà sacra. Chi gli fa violenza, fa violenza al Figlio di Dio, chi lo ama e lo accoglie, ama e accoglie Dio stesso (Mt 25,40). È stato così fin dall’inizio dell’esistenza dell’uomo e sarà così fino alla fine. Il Figlio riempie della sua presenza tutta la storia: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo... Venne tra la sua gente" (Gv 1, 9-11). Il Natale cominciava ad essere preparato e il Figlio avviava il suo processo di incarnazione con la creazione del mondo e in maniera decisiva con la creazione dell’uomo. Perciò la storia è gravida di Cristo.

Egli è cresciuto a poco a poco fino a squarciare il velo della invisibilità e comparire in tutta la sua aperta evidenza.

Nella sua terza omelia sul Natale, san Leone Magno (+461) insegnava "Sin dalla creazione del mondo, Dio ha costituito un unico principio di salvezza per tutti. La grazia di Dio, per la quale tutti i santi sono stati giustificati, è aumentata ma non ha avuto inizio con la nascita di Cristo; e questo mistero di grande misericordia che riempie ora il mondo intero è già stato efficace nei suoi simboli: l’hanno raggiunto sia quelli che ne hanno accolto la promessa, sia quelli che l’hanno ricevuto quando ci è stato dato... Smettano dunque di lamentarsi coloro che, con empia mormorazione, criticano il piano divino sotto il pretesto del ritardo nel tempo per la nascita del Signore, come se non fosse stato concesso nei tempi passati ciò che si è realizzato nell’ultima età del mondo." (III Sermone, 4). Cristo possiede una portata cosmica. La festa del Natale non è unicamente la festa della nostra storia, ma di tutta la storia, non solo dei cristiani, ma di tutti gli uomini. In tutti i figli continua a nascere il Figlio eterno di Dio e nostro fratello Gesù Cristo.

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L’evangelista Giovanni ci dice che "Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste... Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui" (Gv 1. 3-10). Non è solo l’umanità ad essere compenetrata dal Figlio; anche l’universo intero e, in qualche modo, il suo corpo. Con l’incarnazione "la carne non è più terrena; è carne verbificata (fatta Verbo)", afferma arditamente s. Atanasio (Contra Arianos 3, 34). Con il Figlio la filiazione ha invaso il mondo. Lo stesso sant’Atanasio (+373) insegna qualcosa di più: con l’incarnazione "il Figlio nobilita tutta la creazione... rendendola divina e trasformandola in Figlio e così la conduce al Padre" (Ad Serapionem 1, 25). C’è dunque un carattere filiale e fraterno in tutta la creazione, e non solamente nella sfera umana. C’è una cristificazione in atto nella materia. Tutto ciò che esiste è in rapporto con il Figlio di Dio in quanto siamo tutti fratelli del Figlio primogenito. San Giovanni Damasceno (+749) predicava: "Il Padre si è compiaciuto di realizzare l’unione di tutti gli esseri nel suo Figlio unico. Essendo infatti un microcosmol’uomo unisce in sé tutte le realtà visibili e invisibili; è piaciuto al Signore, che ha creato e governa tutte le cose, unire nel suo Figlio unico e consostanziale la divinità all’umanità e, attraverso questa, all’insieme di tutte le creature affinché Dio fosse tutto in tutto" (PG 96).

A causa di questa visione cosmica dell’incarnazione di Dio, la liturgia antica della Chiesa cantava: "Pieni di gioia per la nascita di Cristo, le montagne e le colline si inchinano e gli elementi del mondo, con gaudio ineffabile, eseguono in questo giorno una melodia sublime" (PL 86). È la celebrazione cosmica che sfugge agli occhi e agli orecchi sensibili, ma è percepita dalla fede. Sappiamo che il mondo è stato definitivamente visitato da Dio. La creazione si rallegra, canta ed è in estasi per l’ospite divino. Siamo tutti cristificati. Siamo fratelli. San Francesco l’aveva capito bene e lo ha mirabilmente manifestato nel Cantico delle Creature.

Il Natale è la festa dei doni perché Dio ci ha dato un dono che non ha prezzo: ci ha dato se stesso in un bambino.

2) Il Progetto dell’uomo: diventare Dio

Chi è l’uomo? Diceva Pascal: "L’uomo è una canna pensante, fragile, così fragile che basta una goccia d’acqua per ucciderlo. Ma egli è l’unico essere della creazione consapevole di essere fragile. Risiede qui la sua grandezza. Il cosmo può essere infinitamente più grande dell’uomo; ma un unico atto d’amore vale più di tutta la mole dell’universo". Solo lui può essere l’infinitamente complesso della creazione. Solo l’uomo può dare un’anima ai pianeti e starsene alla finestra e mettersi in ascolto delle stelle e amarle. Solo lui può dare una coscienza al passato, al presente e al futuro dell’universo e offrirli a Dio. Egli non è un nanetto insignificante nel cosmo. È invece quel centro capace di sintetizzarne le grandezze e di cantarle. A differenza dell’animale, l’uomo è aperto alla totalità del mondo e ha bisogno di creare sempre il suo mondo. Solo lui è capace di creare e trasformare, di progettare e produrre cultura. Egli non è solamente quello che la natura ha fatto di lui; è molto più di quello che egli stesso ha fatto di sé. Egli è un’apertura totale. Fin dove può arrivare? È il suo mistero, la sua grandezza.

L’uomo nonostante tanti condizionamenti interiori ed esteriori è libero. La storia del peccato, dell’odio, del crimine, dell’avversione, dell’oppressione umilia realmente l’uomo; ma tutto questo non elimina la sua grandezza. Da umiliato può trasformarsi in umile: riconosce i suoi errori, perdona e invoca perdono e si affida ad un Essere superiore capace di liberare la sua libertà prigioniera. Signore di tutto, l’uomo può farsi servo nella libertà e nell’amore. È il suo mistero e la sua grandezza.

Chi è l’uomo? È miseria ed è grandezza. E la sua grandezza è tanto più eccelsa quanto più nasce dalla sua stessa miseria. Fondamentalmente egli si presenta come un interrogativo aperto. È desiderio di pienezza, nostalgia infinita, grido lanciato agli immensi spazi vuoti. Cerca l’Infinito e non trova che esseri finiti. Cerca l’Amore assoluto ed è sempre alle prese con tentativi che esasperano ancor più la sua ricerca. In fondo il grande problema dell’uomo è uno solo: essere come Dio, completo, assoluto, eterno, infinitamente realizzato. Troverà compimento questa utopia? Troverà pace il cuore perennemente inquieto dell’uomo?

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Ma non solo l’uomo va in cerca della sua pienezza ardentemente desiderata. La creazione intera sta camminando attraverso i secoli passando da forme imperfette a forme più perfette, sempre in ascesa, mossa da una forza segreta che le fa cercare strade di superamento e di convergenza. Quale polo la attira? Quale molla la fa andare avanti? San Paolo ci ricorda che "la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm 8, 22) perché "nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21).

Il cosmo si sente un organismo privo di testa, in uno stato di fondamentale imperfezione. Ed ecco che Dio ha ascoltato i gemiti e le voci di tutti i secoli e di tutti gli esseri. Il corpo di tutto ciò che esiste nel cielo e sulla terra ha ottenuto finalmente la sua testa vera: "Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà...; il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1, 9-10). E questo è avvenuto quando nacque sulla nostra terra il Verbo della vita nel quale tutto è stato fatto, verso il quale tutto è in cammino e nel quale tutti poniamo le nostre supreme speranze. Con il Natale di Cristo è arrivato a noi il momento sommo delle nozze di Dio con tutta la creazione.

Quando con voce tremante di sacra emozione professiamo che il Verbo si è fatto carne, diciamo di credere che il progetto dell’uomo di essere Dio si è concretizzato, l’utopia del desiderio è diventata "topia" della realtà: l’incarnazione rappresenta la storicizzazione dell’essenziale e suprema aspirazione della natura umana. In Gesù Cristo l’uomo è approdato pienamente in Dio. Solo adesso trova pace il suo cuore inquieto. Perciò gli angeli possono cantare: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama. Quando davanti al presepio professiamo che il Verbo si è fatto carne, diciamo di credere che l’uomo è arrivato a Dio perché Dio per primo è arrivato all’uomo. E Dio è arrivato all’uomo perché nell’uomo c’era, già creata da Dio stesso, un’apertura infinita. L’uomo era un vuoto che attendeva di essere colmato. Ecco che con l’incarnazione di Dio l’apertura è stata totalmente riempita e il vuoto colmato. Così l’uomo è diventato Dio perché Dio è diventato uomo. Il mistero dell’incarnazione viene a decifrare il problema umano. Ce lo insegna il Concilio Vaticano II: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22).

L’altissima vocazione dell’uomo si compie là dove l’uomo supera infinitamente l’uomo, cioè dove l’uomo diventa Dio. La divinizzazione costituisce il senso della ominizzazione. Ma l’uomo raggiunge tale meta non esasperando il suo desiderio e la sua volontà di potenza, ma per opera e grazia dello stesso Dio che si è fatto uomo di sua iniziativa. Facendosi uomo, Dio non ha mutilato l’uomo. Il progetto di Dio non distrugge, ma sublima il progetto umano. Il voler-essere-uomo di Dio fonda il voler-essere-Dio dell’uomo. L’uomo divinizzato è ancora più uomo. Dio innanzi tutto è ancora più Dio (per noi). L’incarnazione definisce il modo con cui Dio ha voluto essere condiscendente nei confronti dell’uomo: rispettando tutto ciò che è umano, prendendo su di sé tutto ciò che costituisce la nostra condizione storica, eccetto il peccato. Il modo della sua condiscendenza risiede pertanto nell’umiliazione, nell’accettazione, nell’abbassamento, nel silenzio. Non è entrato nel mondo in maniera strepitosa: tutto è avvenuto ai margini della storia ufficiale, fuori dalla città, nel cuore della notte, in una grotta destinata agli animali. Dio non volle apparire come Dio, ma come uomo. Volle la soddisfazione totale dell’uomo.

Gesù nel quale Dio donò totalmente se stesso si presenta come il vero Adamo e l’uomo nuovo. Anche l’uomo deve usare la medesima logica di Dio, quella dell’ultimo posto dell’umiltà, dell’abbassamento, del distacco dal proprio io, se vuole che in lui non appaia l’uomo ma Dio. E questo Dio l’uomo non lo trova fuori di sé e del proprio mondo, ma in se stesso, nella propria carne e nel cuore del suo mondo.

Quando professiamo che il Verbo si è fatto carne, diciamo di credere che Colui che era da sempre nel mondo (Gv 1, 10), Colui che era la luce vera che illumina ogni uomo in tutti i tempi (Gv 1, 9), Colui che era presente là dove si diceva la verità, si viveva l’amore, si stabiliva una comunicazione fraterna, Colui che agiva in maniera anonima nella storia conducendola segretamente nella direzione intesa dal progetto misterioso di Dio, ora si è rivelato pienamente, si è fatto conoscere per nome e si chiama Figlio di Dio, il Verbo eterno, Gesù Cristo. Verità, rivelazione, amore, perdono, comunione fraterna non sono più sostantivi astratti; sono diventati realtà concrete; hanno preso corpo; hanno assunto una personalità; si chiamano Gesù Cristo, Figlio eterno di Dio e nostro fratello carnale.

Il Dio che un giorno assunse il mondo facendosi uomo e creatura, non l’ha mai più abbandonato. Ogni giorno è Natale perché ogni giorno porta dentro di sé il Figlio di Dio incarnato. Egli è nella comunità dei fedeli, è nei suoi sacramenti, è nelle sue parole sacre, è nel cuore degli uomini di buona volontà, è in tutto il mondo in cammino verso la parusia. L’incarnazione si prolunga, il Verbo perpetua la sua azione nella storia, Gesù Cristo continua a nascere nella vita degli uomini.

Quando professiamo con gioia inaudita che il Verbo si è fatto carne, diciamo di credere che Dio si trova totalmente in mezzo a noi. Egli è venuto per sempre. Si chiama Gesù di Nazaret. È per mezzo di questo bambino che Dio ha detto definitivamente al mondo e all’universo: Io ti amo. Con Gesù è sbocciato dentro e fuori di noi il senso ultimo. In questo bambino il mondo e l’uomo sono arrivati a buon fine: sono approdati a Dio.

3) Gesù Cristo: incontro tra Dio e l’uomo

Gesù Cristo si presenta come l’incontro dell’uomo che va alla ricerca di Dio e di Dio che va alla ricerca dell’uomo. Egli è il crocevia dove la strada discendente di Dio si interseca con la strada ascendente dell’uomo.

In lui è presente il "vero uomo," in tutto uguale a noi fuorché nel peccato. In lui c’è la nostra ansia e nostalgia infinita di incontro totalmente appagante; in lui si fa sentire senza attenuazioni tutta la nostra fragilità e povertà; in lui sono presenti le nostre lacrime a causa della passione dolorosa del nostro mondo; in lui sono presenti le nostre gioie con la loro soddisfazione temporanea e passeggera; in lui è la nostra piccolezza umana legata alle ristrettezze di un mondo travagliato da ogni sorta di interessi contraddittori; in lui è la nostra vita che è mortale e che va consumandosi irresistibilmente, causandoci l’insicurezza e la paura che precedono la sorpresa del grande incontro. In lui è presente "il vero Dio" che viene a saziare il nostro desiderio infinito di incontro, che prende su di sé la nostra fragilità, che arricchisce la nostra povertà, che asciuga le nostre lacrime, che ci colma di gioia indicibile, che divinizza la nostra piccolezza e dona immortalità alla nostra vita morta.

Il progetto umano è assunto nel progetto divino; il progetto divino compenetra il progetto umano. Il Bambino che giace nella mangiatoia è il sacramento dell’incontro tra divinizzazione e umanizzazione. Adesso, come bambino, non può ancora mostrare tutto ciò che significa quando Dio entra nella carne umana e cosa significa quando l’uomo è portato nell’intimità di Dio. Il processo dell’incarnazione ha avuto inizio con il concepimento di Gesù, si sviluppa nella sua nascita, si intensificherà lungo tutta la sua vita fino a culminare nella risurrezione.

Tutto viene gradualmente assunto da Dio: le angustie del seno materno, tutte le manifestazioni della vita del piccolo embrione, il vagire del neonato, i suoi primi balbettamenti, i suoi pensieri, la crescita problematica dell’adolescente, le sue decisioni di adulto, i conflitti con la situazione del suo tempo, tutta la sua vita e la sua morte. Tutto è assunto da Dio, nella misura stessa in cui si svolge l’esistenza dell’uomo Gesù di Nazaret. Più Gesù era Dio, e più Dio era in Gesù. Quanto più Gesù si inabissava in Dio, tanto più rimaneva e diventava uomo, in quanto l’uomo è tanto più uomo quanto più è capace di essere nell’altro. Essendo totalmente in Dio, che è l’assolutamente Altro, Gesù diventa totalmente uomo.

Più Dio era nell’uomo Gesù, più si manifestava. Più l’uomo Gesù era in Dio, più si divinizzava. Dio era a tal punto in Gesù da identificarsi con lui. Gesù era a tal punto in Dio da identificarsi con lui. Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio.

Il Natale non ci rivela solamente il senso ultimo della vita, la divinizzazione, ma ci rivela anche un nuovo volto di Dio. Il Natale ci fornisce la chiave per decifrare alcuni misteri profondi della nostra esistenza: il dolore, l’umiliazione, la piccolezza, la sofferenza... Dio non risponde al perché della sofferenza: egli soffre insieme a noi. Non risponde al perché del dolore: egli si è fatto l’uomo dei dolori. Non risponde al perché dell’umiliazione: egli si umilia. Non siamo più soli nella nostra solitudine immensa: egli è con noi. Non siamo più solitari, ma solidali. Il Natale ci racconta la storia di un Dio che si è fatto bambino, che invece di rispondere con delle parole, vive una risposta mettendosi al nostro fianco e al nostro livello. La ristrettezza del nostro mondo nel quale Dio è entrato ha una via d’uscita benedetta e una conclusione felice.

Vale la pena di essere uomini. Dio ha voluto essere uno di noi. Non siamo un gregge condannato né una massa anonima, senza direzione e destinazione. Dio non assiste impassibile alla tragedia umana. Egli entra in essa. Vi partecipa e ci rivela che vale la pena vivere la vita così come la viviamo: monotona, anonima, faticosa; fedeli nella lotta per essere ogni giorno migliori, esigenti nella pazienza verso noi stessi e verso gli altri, forti nel sopportare le contraddizioni e saggi nel ricavare una lezione utile per la vita. Tutte queste manifestazioni di vita sono state assunte dal Verbo di Dio. Dio si è manifestato in questa umanità così concreta.

Il cristianesimo annuncia l’umanità, la benevolenza e l’amore di Dio per gli uomini. Accogliamo e viviamo la nostra esistenza con gioia, come Cristo l’ha accolta in sé. Cerchiamo di essere affabili, benevoli, contenti, dolci, sinceri e affettuosi: Dio stesso lo ha sperimentato e ci ha mostrato che tutto ciò è possibile.

Guardiamo le donne con rispetto e vediamo a fondo la loro realtà: scopriamo in esse un simbolo della Vergine Maria.

Guardiamo in profondità il nostro prossimo e ricordiamoci che è fratello di Cristo e fratello nostro.

Abbracciamo i nostri figli come se abbracciassimo il Figlio Gesù che il Padre ci ha donato.

Concludiamo con una preghiera:

Gesù, che sei stato bambino, 
donaci un’anima da bambino 
per poter essere semplici, contenti, 
fiduciosi e pieni di tenerezza e di affetto 
verso tutti gli uomini, nostri fratelli, 
e verso tutti gli esseri della tua creazione. 
Tu che sei Figlio di Dio e hai assunto 
e consacrato ogni cosa 
e ti sei fatto nostro fratello 
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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